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Messaggio Da Federica Ven Nov 11, 2011 12:49 pm

Gli interessi nascosti di Kenya e Francia in Somalia

di Matteo Guglielmo

RUBRICA GEES, CORNO D'AFRICA. Proseguono le operazioni militari di Nairobi in territorio somalo. Gli obiettivi keniani dietro l'intervento e il ruolo di Parigi. Le divisioni della comunità internazionale e la frammentazione politica delle istituzioni di Mogadiscio.
Gli interessi nascosti di Kenya e Francia in Somalia Somalia480
(Carta di Laura Canali)

Nella Somalia meridionale proseguono gli scontri tra l'esercito keniano e le milizie fedeli ad al-Shabaab. L'Operazione "Linda Nchi" (protezione della nazione) è partita ufficialmente il 15 ottobre scorso, quando le autorità di Nairobi hanno ammesso di essere penetrate in territorio somalo con l'obiettivo di debellare la presenza Shabaab nelle regioni del Basso Giuba e del Gedo per porre in sicurezza il confine somalo-keniano.

Nonostante l'operazione lampo, le azioni militari sembrano essersi impantanate in un'area tra le più instabili e pericolose del paese. Le forze di Nairobi cercano di sfondare in tre punti: la baia di Ras Kaambooni, situata all'estremo sud, il corridoio Liboi-Dhooble-Bilis Qoogaaoi, e la direttrice Mandera-Luuq, nel Gedo. Le milizie Shabaab sono invece asserragliate ad Afmadow, villaggio strategico per la difesa della città portuale di Chisimaio, vero obiettivo dell'operazione keniana.

La comunità internazionale si è spaccata. A favore dell'intervento si è espressa a sorpresa la Francia, che in una nota rilasciata il 20 ottobre dal Quai d'Orsay ha fatto sapere di condividere pienamente i timori del Kenya e il suo diritto all'autodifesa. Meno entusiasti si sono invece dimostrati gli Stati Uniti e - soprattutto - l'Italia.

Il Dipartimento di Stato americano ha subito negato un possibile coinvolgimento nelle operazioni a sostegno dell'invasione, mentre il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica si è detto preoccupato per le ripercussioni negative che la missione "Linda Nchi" potrebbe avere sulla stabilità stessa del Corno d'Africa.

Le motivazioni che hanno spinto la Francia a un appoggio così incondizionato all'operazione militare sono ormai note. Più che l'ondata di rapimenti a scopo estorsivo verificatisi nell’area ai danni di cittadini francesi, a preoccupare Parigi sono soprattutto i rischi per gli ingenti investimenti allocati nell'arcipelago di Lamu.

Il 21 settembre scorso la multinazionale Total annunciava l'acquisizione di un pacchetto di azioni (pari a un totale del 40%) in cinque blocchi di esplorazione offshore nel bacino di Lamu. La Total è presente in Kenya dal 1955, ma la recente scoperta di cospicui giacimenti petroliferi offshore in Mozambico e in Tanzania ha reso i diritti di esplorazione keniani particolarmente ambiti, come ha dichiarato Marc Blaizot, vicepresidente per il settore esplorazioni della multinazionale francese.

Del resto è da più di un anno che la diplomazia francese lavora a fari spenti per incrementare il livello di sicurezza nella regione del confine somalo-keniano, soprattutto per consentire a Nairobi di ampliare le sue acque territoriali a discapito di Mogadiscio.

Nell'aprile del 2009 era stato siglato un memorandum di intesa tra il governo somalo - allora presieduto da Omar Abdirashid Ali Sharmarke - e quello keniano per porre le basi di una demarcazione dei rispettivi confini marittimi. Le ambiguità di alcuni passaggi di quell'accordo avrebbero consentito al Kenya di avanzare maggiori diritti sulla piattaforma continentale somala.

Contestualmente al lavoro sulle acque territoriali, ormai entrato in una fase di stallo e di incertezza, il governo francese aveva appoggiato il progetto di creazione di uno Stato cuscinetto tra Somalia e Kenya, spingendo il professor Mohamed Ahmed “Gandi”, ex ministro della Difesa del Governo federale di transizione, a dichiarare nell’aprile 2011 la formazione del Jubaland (conosciuto anche come Azania). L'inconsistenza politica e militare di Gandi ha fatto naufragare il progetto, rendendo però evidenti i forti interessi francesi nella regione.

Mentre l’operazione keniana e la resistenza Shabaab cominciano a mietere le prime vittime tra la popolazione civile, le Istituzioni federali di transizione (Ift) si dimostrano profondamente divise anche rispetto all’intervento. Appena una settimana dopo l’inizio delle operazioni, il presidente Sheikh Sharif Sheikh Ahmed ha rilasciato una dichiarazione in cui si è detto contrario all’entrata di forze keniane in territorio somalo.

Le proteste della presidenza per la violazione della sovranità territoriale operata dal Kenya suonano quasi come un controsenso, visto il comune interesse all’annientamento delle forze Shabaab. Alla base delle clamorose dichiarazioni di Sheikh Sharif vi sarebbero tuttavia ragioni di natura strategica, soprattutto rispetto alle priorità nel processo di radicamento sul territorio delle Ift.

Anche se per diversi osservatori la reazione del presidente rappresenta il disperato tentativo di guadagnare consensi tra la popolazione somala, che resta per lo più spaccata nel giudizio sull’intervento keniano, il vero timore di Sheikh Sharif riguarda il futuro dei circa 2500 soldati somali addestrati in Kenya.

Il rischio è che una volta liberate le regioni del Basso Giuba e del Gedo il contingente somalo addestrato in Kenya possa essere dispiegato esclusivamente a protezione delle zone confinarie, e non della città di Mogadiscio, come auspicato dal presidente. In questo caso la creazione del Jubaland non sarebbe più un ostacolo, soprattutto in vista della scadenza del mandato delle Ift, fissata al prossimo 21 agosto, che renderebbe più urgente un rafforzamento delle realtà amministrative autonome in territorio somalo.

Mentre la Somalia meridionale si avvia verso altra instabilità e violenza, e le sue fragili istituzioni si sciolgono lentamente sotto l’effetto di un’insanabile frammentazione politica, chi sembra subire maggiormente gli effetti dell’invasione è la folta comunità somala che risiede in Kenya.

La serie di piccoli attentati che si stanno susseguendo a Nairobi è il sintomo di una tensione crescente. Le autorità keniane hanno aumentato i controlli nella capitale, soprattutto in quartieri come Eastleigh, conosciuto anche come “la piccola Mogadiscio”. La sensazione dunque è che grazie a “Linda Nchi” nessuno sarà più veramente al sicuro.


Il Kenya interviene in Somalia: casus belli e forze in campo.

Matteo Guglielmo è dottore in Sistemi Politici dell’Africa all’Università degli studi “L’Orientale” di Napoli, autore del volume Somalia le ragioni storiche del conflitto ed. Altravista, 2008.

(10/11/2011)
Fonte: http://temi.repubblica.it
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