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Safari: i racconti di Camilla
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Safari: i racconti di Camilla
"Tra sogno e realtà"
I racconti africani di Camilla
Ci sono notti comode, in morbidi letti in tende-camere spaziose affacciate sapientemente sul fiume o all’ombra di freschi boschetti, tende “ospiti” dove si assaporano i rumori della notte africana cullati dallo sciabordio dell’acqua fra morbidi cuscini e dove si indugia in veranda ancora un po’ prima di andare a letto.
Per me che sono guida e non ospite ci sono notti comode e a volte notti scomode….notti in cui non c’è magari una tenda in più per la guida e quindi mi sistemo all’ombra appena fuori dal campo con la mia piccola tendina igloo, delle stesse che si usano in campeggio, piccola, scomoda ma a mio parere molto romantica, anche se tutto questo romanticismo lo posso dividere solo col mio zaino e al limite col peluche da safari (un piccolo coniglio che ha visto tempi migliori quando era ancora morbido)….mi piace sempre accamparmi con l’igloo, per quanto meno comodo è sempre una esperienza particolare e spesso si sentono le presenze notturne in maniera diversa… La savana vista dal sacco a pelo fa un effetto diverso che dal letto di una grande tenda ospiti…..stesa a terra nell’igloo ho lo stesso punto di vista che può avere un animale alto poche decine di centimetri, da terra, mentre lo sguardo si sposta dal mantello di stelle ai cespugli appena visibili nel buio davanti a me, intravedo una pista degli elefanti che si snoda fra i cespugli per continuare pochi metri a fianco alla tenda,improvvisamente noto dei rami bassi marcati da un ippopotamo che al giorno non avevo notato, al buio lo spazio intorno a me prende contorni e distanze diverse da quello che sembrava durante il giorno quando ho montato la tenda. Il vento entra diretto dalla zanzariera dell’igloo, un vento che sembra strisciare fra le strette piste degli animali tra i cespugli,solleva un po’ di polvere rossa che finisce immancabilmente dentro la tendina..
Continua.....
FONTE: Malindikenya.net
I racconti africani di Camilla
Ci sono notti comode, in morbidi letti in tende-camere spaziose affacciate sapientemente sul fiume o all’ombra di freschi boschetti, tende “ospiti” dove si assaporano i rumori della notte africana cullati dallo sciabordio dell’acqua fra morbidi cuscini e dove si indugia in veranda ancora un po’ prima di andare a letto.
Per me che sono guida e non ospite ci sono notti comode e a volte notti scomode….notti in cui non c’è magari una tenda in più per la guida e quindi mi sistemo all’ombra appena fuori dal campo con la mia piccola tendina igloo, delle stesse che si usano in campeggio, piccola, scomoda ma a mio parere molto romantica, anche se tutto questo romanticismo lo posso dividere solo col mio zaino e al limite col peluche da safari (un piccolo coniglio che ha visto tempi migliori quando era ancora morbido)….mi piace sempre accamparmi con l’igloo, per quanto meno comodo è sempre una esperienza particolare e spesso si sentono le presenze notturne in maniera diversa… La savana vista dal sacco a pelo fa un effetto diverso che dal letto di una grande tenda ospiti…..stesa a terra nell’igloo ho lo stesso punto di vista che può avere un animale alto poche decine di centimetri, da terra, mentre lo sguardo si sposta dal mantello di stelle ai cespugli appena visibili nel buio davanti a me, intravedo una pista degli elefanti che si snoda fra i cespugli per continuare pochi metri a fianco alla tenda,improvvisamente noto dei rami bassi marcati da un ippopotamo che al giorno non avevo notato, al buio lo spazio intorno a me prende contorni e distanze diverse da quello che sembrava durante il giorno quando ho montato la tenda. Il vento entra diretto dalla zanzariera dell’igloo, un vento che sembra strisciare fra le strette piste degli animali tra i cespugli,solleva un po’ di polvere rossa che finisce immancabilmente dentro la tendina..
Continua.....
FONTE: Malindikenya.net
fio- Sostenitore
- Numero di messaggi : 3168
Data d'iscrizione : 21.04.09
Età : 77
Località : Como-Malindi-Africa
Re: Safari: i racconti di Camilla
CAMILLA FRASCA CACCIA
PROFESSIONAL SAFARI GUIDE KPSGA SILVER N°1352
Nata ad Urbino nel 1975 e vissuta a Rimini, dopo la laurea decide nel
1999 di trasferirsi a vivere in Kenya.
Seguendo la sua passione per gli animali e l'avventura ,dopo varie esperienze lavorative nell'ambiente dei safari,a Nairobi nel 2003 ottiene la certificazione di "Professional Safari Guide" bronze KPSGA,diventando così la prima donna italiana guida professionale di safari. Dopo avere accompagnato diversi safari come guida freelance, seguendo la sua idea di safari "non turistico" e personalizzato fonda la compagnia di safari Bush Company. Nel 2007 ottiene il prestigioso livello "SILVER", la certificazione guida professionale di safari al momento più alta in Kenya, diventando così la prima guida SILVER madrelingua italiana. Attualmente accompagna personalmente tutti i safari..
BUSH COMPANY LTD
P.O.Box 1345 Malindi Kenya
Tel 00254 733 789807
www.buschcompany.it
Mail : camikenya@yahoo.it
PROFESSIONAL SAFARI GUIDE KPSGA SILVER N°1352
Nata ad Urbino nel 1975 e vissuta a Rimini, dopo la laurea decide nel
1999 di trasferirsi a vivere in Kenya.
Seguendo la sua passione per gli animali e l'avventura ,dopo varie esperienze lavorative nell'ambiente dei safari,a Nairobi nel 2003 ottiene la certificazione di "Professional Safari Guide" bronze KPSGA,diventando così la prima donna italiana guida professionale di safari. Dopo avere accompagnato diversi safari come guida freelance, seguendo la sua idea di safari "non turistico" e personalizzato fonda la compagnia di safari Bush Company. Nel 2007 ottiene il prestigioso livello "SILVER", la certificazione guida professionale di safari al momento più alta in Kenya, diventando così la prima guida SILVER madrelingua italiana. Attualmente accompagna personalmente tutti i safari..
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fio- Sostenitore
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Tra sogno e realtà
Fa caldo, è febbraio e la temperatura durante il giorno si è alzata senza accennare a scendere troppo durante la notte, dormo, o almeno ci provo a dormire, con solo le zanzariere a separarmi dall’esterno.
Ruggiti di leoni, lontani, forse sulla collina dietro di noi, forse al di là del fiume….è una ottima ninna nanna…provare a tendere l’orecchio per sentire i ruggiti e aspettare i prossimi…di solito mi addormento prima di riuscire a sentirli i prossimi…!...ma alcune notti non sono così tranquille, certe notti le iene si avvicinano al campo, entrano nel campo, si aggirano furtive lasciando solo le impronte a denunciare il loro passaggio oppure si chiamano, urlano alla notte la loro presenza, i loro agghiaccianti urli sono forse il suono più caratteristico delle notti africane. Dicono le leggende africane che le streghe durante la notte si spostano a cavallo delle iene. A me però le iene piacciono , mi spaventano più di altri animali, la loro curiosità priva della naturale paura nei confronti dell’uomo le rende più pericolose di altri animali, e gli odori della cucina e degli scarti spesso è per loro irresistibile, nonostante l’aspetto e le abitudini però a me le iene piacciono, una sorta di simpatia per i brutti mescolata però ad un rispetto nei confronti di un animale tanto potente e assoluto padrone della notte. La notte è grande lì fuori dalla tendina, è talmente grande che non se ne vedono i confini, il nero sembra risucchiare le forme e i colori, piante presenti durante il giorno sembrano scomparse lasciando il posto a forme strane di rami che sembrano apparsi solo adesso come esseri notturni. I pesanti passi di un ippopotamo si avvicinano alla tenda, tendo l’orecchio e riesco a distinguere il suono dei denti che masticano l’erba lì vicino a me, provo a guardare ma non si vede niente, dopo poco se ne va, non so perché ma mi dispiace che se ne si andato. Urli di iene, sinistri ululati cominciano a rincorrersi da un punto all’altro del campo, come sirene impazzite o stonate per poi ripiombare nel silenzio più assoluto. E’ difficile prendere sonno, le iene continuano a lanciare le loro grida lì vicino e il caldo non da tregua, il venticello notturno più che rinfrescare continua a portare sabbia rossa che riesce a passare tra le maglie della zanzariera, ma non voglio chiudere le pareti della tenda, farebbe troppo caldo e poi mi dispiace non poter vedere le stelle che brillano sopra di me. Dopo essermi svegliata più volte a causa di passi di animali , finalmente mi addormento pesantemente. Scompare la notte africana con le sue presenze e le sue ombre, sono lontane le iene e i passi degli ippopotami, la scena si illumina di luci e voci, c’è tanta gente, sono tutti bianchi e vestiti da sera, sono in Italia, è una cena, è una festa, anche io sono elegante, la musica avvolge la scena , quasi tutti hanno un piatto o un bicchiere in mano, stuzzichini e vino bianco, alcune persone indossano una maschera come quelle veneziane, mi piace il posto, l’atmosfera è molto bella, se solo riuscissi a raggiungere il tavolo del buffet…vorrei una pizzetta o una patatina, mi muovo tra la musica e i vestiti morbidi, come in un caleidoscopio la gente e la luce girano lentamente tutto intorno. Raggiungo il tavolo e lì delicatamente appoggiato tra un vassoio e i flute c’è un gatto, un bellissimo gatto. Che strano, penso, un gatto qui, lo cerco nuovamente con gli occhi ma il gatto è scomparso tra uomini in completi scuri e donne dai colori tenui, lunghe gonne e acconciature ottocentesche. Il gatto riappare fra la gente poco più in là, leggero e silenzioso salta su una mensola in alto e mi guarda da lassù, estraneo alla musica e alla gente, per poi scendere morbido e dileguarsi fra i colori dei vestiti dopo però avermi guardato ancora, sembra che voglia che lo segua, e io lo seguo, mentre il caleidoscopio continua a girare lentamente, navigando tra musica e luce lo seguo col mio flute in mano. Sto guardando il gatto, è maculato, come un leopardo, gli occhi sono verdi e diventano gialli mentre mi guarda, io lo sto guardando da vicino, il mio viso è vicino al suo muso, anche lui mi guarda prima con curiosità, poi mi fissa, anche io lo fisso, i nostri occhi sono vicinissimi ormai e la musica è sempre più ovattata,le voci della festa sembrano sfumare mentre guardandolo mi rendo improvvisamente conto che tra me e lui in realtà c’è una retina. E’ a quel punto che la musica cessa all’improvviso, le luci si spengono e piombo nel buio, congelata cerco di muovermi ma non ci riesco, i sottili rumori della notte africana si amplificano rimbombandomi nelle orecchie e finalmente apro gli occhi. Muovendomi nel sonno mi ero avvicinata alla zanzariera e ora il mio viso è lì a pochi centimetri dalla retina. Mi rendo conto che lui deve essere ancora lì a fissarmi e ancora intorpidita dal sonno non penso come dovrei e la mia mano, che poco prima reggeva il bicchiere , afferra la torcia e illumino davanti a me, ma così ovviamente la luce può solo illuminare la trama della retina e perdo tempo a spegnere la torcia e ,facendomi ombra con le mani , cerco di guardare al buio attraverso la zanzariera…..non c’è nulla, ormai se n’è andato…….rimango lì intontita,sola, la gente è sparita, al posto del morbido vestito color avorio ho la mia t-shirt militare e la terra rossa che mi gratta il viso al posto del leggero trucco cipriato non ha nulla a che vedere con ciò che avevo indosso poco prima alla festa…un ippopotamo lancia una serie di richiami dal fiume, i grilli continuano monotoni la loro litania. Chi mi fissava e annusava dalla zanzariera?....un leopardo, una iena, una genetta….? Non lo saprò mai…… forse i signori della festa sanno chi era quel gatto….se verrò invitata alla prossima festa potrò domandarlo…
Ruggiti di leoni, lontani, forse sulla collina dietro di noi, forse al di là del fiume….è una ottima ninna nanna…provare a tendere l’orecchio per sentire i ruggiti e aspettare i prossimi…di solito mi addormento prima di riuscire a sentirli i prossimi…!...ma alcune notti non sono così tranquille, certe notti le iene si avvicinano al campo, entrano nel campo, si aggirano furtive lasciando solo le impronte a denunciare il loro passaggio oppure si chiamano, urlano alla notte la loro presenza, i loro agghiaccianti urli sono forse il suono più caratteristico delle notti africane. Dicono le leggende africane che le streghe durante la notte si spostano a cavallo delle iene. A me però le iene piacciono , mi spaventano più di altri animali, la loro curiosità priva della naturale paura nei confronti dell’uomo le rende più pericolose di altri animali, e gli odori della cucina e degli scarti spesso è per loro irresistibile, nonostante l’aspetto e le abitudini però a me le iene piacciono, una sorta di simpatia per i brutti mescolata però ad un rispetto nei confronti di un animale tanto potente e assoluto padrone della notte. La notte è grande lì fuori dalla tendina, è talmente grande che non se ne vedono i confini, il nero sembra risucchiare le forme e i colori, piante presenti durante il giorno sembrano scomparse lasciando il posto a forme strane di rami che sembrano apparsi solo adesso come esseri notturni. I pesanti passi di un ippopotamo si avvicinano alla tenda, tendo l’orecchio e riesco a distinguere il suono dei denti che masticano l’erba lì vicino a me, provo a guardare ma non si vede niente, dopo poco se ne va, non so perché ma mi dispiace che se ne si andato. Urli di iene, sinistri ululati cominciano a rincorrersi da un punto all’altro del campo, come sirene impazzite o stonate per poi ripiombare nel silenzio più assoluto. E’ difficile prendere sonno, le iene continuano a lanciare le loro grida lì vicino e il caldo non da tregua, il venticello notturno più che rinfrescare continua a portare sabbia rossa che riesce a passare tra le maglie della zanzariera, ma non voglio chiudere le pareti della tenda, farebbe troppo caldo e poi mi dispiace non poter vedere le stelle che brillano sopra di me. Dopo essermi svegliata più volte a causa di passi di animali , finalmente mi addormento pesantemente. Scompare la notte africana con le sue presenze e le sue ombre, sono lontane le iene e i passi degli ippopotami, la scena si illumina di luci e voci, c’è tanta gente, sono tutti bianchi e vestiti da sera, sono in Italia, è una cena, è una festa, anche io sono elegante, la musica avvolge la scena , quasi tutti hanno un piatto o un bicchiere in mano, stuzzichini e vino bianco, alcune persone indossano una maschera come quelle veneziane, mi piace il posto, l’atmosfera è molto bella, se solo riuscissi a raggiungere il tavolo del buffet…vorrei una pizzetta o una patatina, mi muovo tra la musica e i vestiti morbidi, come in un caleidoscopio la gente e la luce girano lentamente tutto intorno. Raggiungo il tavolo e lì delicatamente appoggiato tra un vassoio e i flute c’è un gatto, un bellissimo gatto. Che strano, penso, un gatto qui, lo cerco nuovamente con gli occhi ma il gatto è scomparso tra uomini in completi scuri e donne dai colori tenui, lunghe gonne e acconciature ottocentesche. Il gatto riappare fra la gente poco più in là, leggero e silenzioso salta su una mensola in alto e mi guarda da lassù, estraneo alla musica e alla gente, per poi scendere morbido e dileguarsi fra i colori dei vestiti dopo però avermi guardato ancora, sembra che voglia che lo segua, e io lo seguo, mentre il caleidoscopio continua a girare lentamente, navigando tra musica e luce lo seguo col mio flute in mano. Sto guardando il gatto, è maculato, come un leopardo, gli occhi sono verdi e diventano gialli mentre mi guarda, io lo sto guardando da vicino, il mio viso è vicino al suo muso, anche lui mi guarda prima con curiosità, poi mi fissa, anche io lo fisso, i nostri occhi sono vicinissimi ormai e la musica è sempre più ovattata,le voci della festa sembrano sfumare mentre guardandolo mi rendo improvvisamente conto che tra me e lui in realtà c’è una retina. E’ a quel punto che la musica cessa all’improvviso, le luci si spengono e piombo nel buio, congelata cerco di muovermi ma non ci riesco, i sottili rumori della notte africana si amplificano rimbombandomi nelle orecchie e finalmente apro gli occhi. Muovendomi nel sonno mi ero avvicinata alla zanzariera e ora il mio viso è lì a pochi centimetri dalla retina. Mi rendo conto che lui deve essere ancora lì a fissarmi e ancora intorpidita dal sonno non penso come dovrei e la mia mano, che poco prima reggeva il bicchiere , afferra la torcia e illumino davanti a me, ma così ovviamente la luce può solo illuminare la trama della retina e perdo tempo a spegnere la torcia e ,facendomi ombra con le mani , cerco di guardare al buio attraverso la zanzariera…..non c’è nulla, ormai se n’è andato…….rimango lì intontita,sola, la gente è sparita, al posto del morbido vestito color avorio ho la mia t-shirt militare e la terra rossa che mi gratta il viso al posto del leggero trucco cipriato non ha nulla a che vedere con ciò che avevo indosso poco prima alla festa…un ippopotamo lancia una serie di richiami dal fiume, i grilli continuano monotoni la loro litania. Chi mi fissava e annusava dalla zanzariera?....un leopardo, una iena, una genetta….? Non lo saprò mai…… forse i signori della festa sanno chi era quel gatto….se verrò invitata alla prossima festa potrò domandarlo…
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Secondo racconto di Camilla: Il facocero
Quante volte osservando un documentario ci siamo chiesti perché chi girava il filmato non sia intervenuto…..perchè nessuno della troupe fosse andato in aiuto al leoncino abbandonato ed esposto ai nemici, perché nessuno avesse portato l’acqua all’elefantessa morente o sbloccato dal fango l’antilope incastrata oppure più semplicemente quante volte abbiamo sentito dire che le scene di caccia fanno impressione e , soprattutto le donne, spesso dire che in quei filmati distolgono lo sguardo. A volte nel documentario stesso viene spiegato perché nessuno interviene, per non turbare l’ordine delle cose imposto dalla natura, perché anche il predatore “cattivo” deve mangiare e i suoi cuccioli aspettano la carne e vogliono vivere tanto quanto il cucciolino di gazzella appena nato che funge da preda viva per il gioco dei cuccioloni dei ghepardi….. in ogni caso la pubblicità o il finale felice con un bel tramonto infuocato fanno dimenticare presto la tragedia e solitamente immagini della prossima generazione di animali fanno concludere con un messaggio positivo e di speranza…..ma quando si è davvero sul posto cosa accade?
Chi ritiene con sicurezza che mai interverrebbe, chi ha fatto della canzoncina sul cerchio della vita del “Re Leone” di Walt Disney il proprio motto per guardare ogni scena di documentari senza provare impressione o pretendere un intervento da parte di chi era presente, beh…. vorrei vederlo assistere in prima persona per vedere che reazione avrebbe. Certo una caccia dal vivo è emozionante, adrenalinica quel tanto da superare il parteggiare per la preda o per il predatore e per godersi la scena in tutta la sua eccezionalità. Quando infatti ci capita un appostamento o una caccia dal vivo mi piace sempre osservare i miei ospiti e le loro reazioni, ma quello che ci è capito una mattina di ottobre a Tsavo ha lasciato dubbiosa e piena di domande anche me….
Il game drive era stato molto bello, era stata una mattinata fresca e giraffe e alcelafi con la loro presenza a gruppetti qua e là sulle colline avevano dato un tocco da quadretto agreste ai nostri paesaggi…lasciati i prati stavamo attraversando una colata di lava ricoperta di basse acacie spinose e meravigliose e torreggianti euphorbie candelabrum, un paesaggio aspro e arido interrotto qua e là da zone di verde intenso, troppo fitto per poter scorgere qualcosa. Passammo senza fermarci vicino ad un laghetto creato da una sorgente naturale, con uno spiazzo di terra battuta davanti e privo di cespugli intorno, solitamente ricoperto di un sottile e poco invitante straterello di alghe verdi non è tanto frequentato dagli uccelli come altre sorgenti che avevamo già incontrato e non mi sembrò opportuno fermarci, oltretutto cominciava ad alzarsi il sole e non volevo che i miei ospiti cominciassero a soffrire il caldo.
Mentre passavamo tutto sembrava fermo e silenzioso nel laghetto, quando vidi un ippopotamo a pelo d’acqua, strano, quel laghetto non è mai frequentato da ippopotami, ma quella testa aveva qualcosa di strano….no non era un ippopotamo….tornammo indietro per vedere meglio, automaticamente avevo collegato l’immagine ad un ippopotamo ma si trattava della testa di un facocero. Ehi c’è un facocero che fa il bagno! Dicevano gli ospiti incuriositi, ma io sapevo che c’era qualcosa di strano….un facocero che fa il bagno ha la stessa aria ridicola,soddisfatta e rilassata che ci si aspetterebbe da un maiale sdraiato nel fango….ma questo per quanto immobile aveva invece l’aria di uno che cerca l’aria, di qualcuno prossimo ad affogare…l’inclinazione della sua testa era troppo alta, sembrava fissare il cielo e non si vedevano né la groppa né il fianco, il fatto poi che mantenesse questa assurda posizione senza muoversi gli conferiva un che di sinistramente comico. Con il binocolo osservai meglio, e mentre cercavamo di capire di cosa si trattasse, il suino cominciò a spostarsi lentamente verso la riva e con misurata potenza qualcosa lo trascinò improvvisamente esattamente dove si trovava un attimo prima. Fu allora che indicai ai miei ospiti di non guardare il facocero ma poco dietro di lui, una fila di dentellature triangolari affioravano sull’acqua, come la lunga coda di un dragone….la lunga coda di un coccodrillo fungeva da ancora e da timone in un lentissimo tira e molla da e per la riva. Nel trambusto che seguì all’interno della nostra auto, binocoli che venivano puntati sul laghetto, rullini fotografici che venivano freneticamente cambiati, scambi di incredule osservazioni tra gli ospiti, in questo lasso di tempo non accadde nulla , il facocero continuava a fissare il cielo e la coda semisommersa era tutto ciò che tradiva la presenza dell’enorme coccodrillo. All’improvviso accadde qualcosa, in un paio di secondi in tutto, il facocero fece un giro completo su se stesso finendo a testa in acqua e zampette all’aria per ritornare esattamente come era partito, nella stessa posizione, nel momento in cui riemerse gridò, un grido che ci agghiacciò, che zittì per un secondo le cicale che già frinivano forte sotto il sole alto, e che continuarono incuranti di ciò che accadeva nel laghetto, unico suono in un silenzio che sembrava opprimente e feroce quanto il sole.
Il facocero era piuttosto grosso, un grosso maschio, che probabilmente era andato a bere o addirittura a farsi un bagnetto di fango sulla riva del laghetto quando il coccodrillo doveva averlo preso , un grosso coccodrillo, abbastanza grosso da giocare a tira e molla col grosso suino. Riuscimmo a vedere il coccodrillo, teneva il facocero solo con la punta del muso, un morso fermo e deciso sul fianco del facocero, non abbastanza saldo da strattonarlo troppo ma abbastanza per non lasciarlo finchè non fosse sfinito. Non sapevamo da quanto tempo fossero lì, il facocero sembrava calmo e ben determinato a raggiungere la riva, arrancava trascinandosi dietro tutto il peso del coccodrillo che però non sembrava opporre resistenza e solo quando il facocero era prossimo alla salvezza, solo allora il coccodrillo cominciava a tirare indietro, facendo ricominciare il tragico sforzo del facocero, e ogni tanto , per fiaccare il determinato e forte suino, il coccodrillo gli impartiva il terribile giro della morte, ogni volta il facocero riemergeva a fatica, urlando e facendo bollicine dal naso, e sempre determinato, continuando a lottare in una guerra che sembrava già persa per lui, arrancava fino alla riva per essere strattonato al centro del laghetto una volta ancora. Non era la rapida caccia del ghepardo, non era l’astuto appostamento delle leonesse, né la violenza delle iene, non c’era spazio per l’adrenalina che si dice cancelli il dolore delle prede, questa volta lo spettacolo era una lenta tragedia, con un finale già conosciuto ma ancora lontana dall’ultimo atto. “Ma perché non se lo mangia e la fa finita?”, “ forse non è abbastanza forte per ucciderlo e aspetta di sfinirlo sennò rischia di farlo scappare…” , “ se scappasse chissà se la ferita gli permetterebbe di sopravvivere…” , queste e altre domande si alternavano nell’ auto, l’unica certezza era che quel facocero non aveva nessuna intenzione di diventare il pasto del coccodrillo, la sua determinazione e la sua forza erano incredibilmente ferme e il poverino sembrava fare il gioco del coccodrillo senza rendersene conto. Per quanto la nostra simpatia andasse al facocero, ad ogni giro della morte speravamo fosse definitivamente fiaccato e invece ogni volta ricominciava, dopo un po’ di bollicine in più e con più determinazione. Non si poteva non parteggiare per lui, se non altro per la feroce determinazione con la quale intendeva salvarsi la pelle. Certo, tutti erano consapevoli che anche il coccodrillo doveva mangiare, magari però poteva mangiarsi uno meno determinato, o quantomeno non proprio davanti ai nostri occhi, insomma il facocero era diventato il nostro eroico gladiatore nell’arena che meritava di avere salva la vita ma noi non potevamo alzare il pollice. Oppure si. Mi aspettavo che qualcuno lo dicesse e infatti dopo un po’ di questa lenta agonia un ragazzo esordì “ con la macchina possiamo avvicinarci e gettando un sasso vicino al coccodrillo forse lo lascerebbe…..” da questa cominciarono altre mille proposte tutte volte a salvare la vita del nostro maialetto , e come mi aspettavo cominciarono anche le disquisizioni sul se fosse giusto o meno.
Per quanto colpita, sapevo che l’unica cosa giusta da fare era comportarci come se non fossimo mai passati di lì, continuo a pensare che l’unica cosa che possiamo lasciare in questo ambiente non più nostro è solo la nostra impronta e niente altro, se il facocero fosse stato in difficoltà da solo magari un piccolo aiuto non avrebbe creato nessuno squilibrio ma in questo caso aiutare lui significava danneggiare il coccodrillo. Chissà quando sarebbe capitato ancora un altro facocero non attento da catturare e mangiare…..chissà se la selezione naturale stesse eliminando un facocero disattento o stesse facilitando la vita a un coccodrillo particolarmente capace, oppure era stato solo un caso e niente più…. in ogni caso cercai di convincere tutti gli ospiti che non era giusto intervenire e di comune accordo decidemmo di andare senza aspettare l’esito della battaglia, ognuno avrebbe scelto il finale che più gli piaceva pensare, tanto non sarebbe comunque cambiato nulla per i veri protagonisti. Ce ne andammo mentre le cicale continuavano a frinire incuranti e sono certa che tutti maledirono in mente loro le cicale perché alla fine ci stavamo comportando esattamente come loro…
Tratto da Malindikenya
Chi ritiene con sicurezza che mai interverrebbe, chi ha fatto della canzoncina sul cerchio della vita del “Re Leone” di Walt Disney il proprio motto per guardare ogni scena di documentari senza provare impressione o pretendere un intervento da parte di chi era presente, beh…. vorrei vederlo assistere in prima persona per vedere che reazione avrebbe. Certo una caccia dal vivo è emozionante, adrenalinica quel tanto da superare il parteggiare per la preda o per il predatore e per godersi la scena in tutta la sua eccezionalità. Quando infatti ci capita un appostamento o una caccia dal vivo mi piace sempre osservare i miei ospiti e le loro reazioni, ma quello che ci è capito una mattina di ottobre a Tsavo ha lasciato dubbiosa e piena di domande anche me….
Il game drive era stato molto bello, era stata una mattinata fresca e giraffe e alcelafi con la loro presenza a gruppetti qua e là sulle colline avevano dato un tocco da quadretto agreste ai nostri paesaggi…lasciati i prati stavamo attraversando una colata di lava ricoperta di basse acacie spinose e meravigliose e torreggianti euphorbie candelabrum, un paesaggio aspro e arido interrotto qua e là da zone di verde intenso, troppo fitto per poter scorgere qualcosa. Passammo senza fermarci vicino ad un laghetto creato da una sorgente naturale, con uno spiazzo di terra battuta davanti e privo di cespugli intorno, solitamente ricoperto di un sottile e poco invitante straterello di alghe verdi non è tanto frequentato dagli uccelli come altre sorgenti che avevamo già incontrato e non mi sembrò opportuno fermarci, oltretutto cominciava ad alzarsi il sole e non volevo che i miei ospiti cominciassero a soffrire il caldo.
Mentre passavamo tutto sembrava fermo e silenzioso nel laghetto, quando vidi un ippopotamo a pelo d’acqua, strano, quel laghetto non è mai frequentato da ippopotami, ma quella testa aveva qualcosa di strano….no non era un ippopotamo….tornammo indietro per vedere meglio, automaticamente avevo collegato l’immagine ad un ippopotamo ma si trattava della testa di un facocero. Ehi c’è un facocero che fa il bagno! Dicevano gli ospiti incuriositi, ma io sapevo che c’era qualcosa di strano….un facocero che fa il bagno ha la stessa aria ridicola,soddisfatta e rilassata che ci si aspetterebbe da un maiale sdraiato nel fango….ma questo per quanto immobile aveva invece l’aria di uno che cerca l’aria, di qualcuno prossimo ad affogare…l’inclinazione della sua testa era troppo alta, sembrava fissare il cielo e non si vedevano né la groppa né il fianco, il fatto poi che mantenesse questa assurda posizione senza muoversi gli conferiva un che di sinistramente comico. Con il binocolo osservai meglio, e mentre cercavamo di capire di cosa si trattasse, il suino cominciò a spostarsi lentamente verso la riva e con misurata potenza qualcosa lo trascinò improvvisamente esattamente dove si trovava un attimo prima. Fu allora che indicai ai miei ospiti di non guardare il facocero ma poco dietro di lui, una fila di dentellature triangolari affioravano sull’acqua, come la lunga coda di un dragone….la lunga coda di un coccodrillo fungeva da ancora e da timone in un lentissimo tira e molla da e per la riva. Nel trambusto che seguì all’interno della nostra auto, binocoli che venivano puntati sul laghetto, rullini fotografici che venivano freneticamente cambiati, scambi di incredule osservazioni tra gli ospiti, in questo lasso di tempo non accadde nulla , il facocero continuava a fissare il cielo e la coda semisommersa era tutto ciò che tradiva la presenza dell’enorme coccodrillo. All’improvviso accadde qualcosa, in un paio di secondi in tutto, il facocero fece un giro completo su se stesso finendo a testa in acqua e zampette all’aria per ritornare esattamente come era partito, nella stessa posizione, nel momento in cui riemerse gridò, un grido che ci agghiacciò, che zittì per un secondo le cicale che già frinivano forte sotto il sole alto, e che continuarono incuranti di ciò che accadeva nel laghetto, unico suono in un silenzio che sembrava opprimente e feroce quanto il sole.
Il facocero era piuttosto grosso, un grosso maschio, che probabilmente era andato a bere o addirittura a farsi un bagnetto di fango sulla riva del laghetto quando il coccodrillo doveva averlo preso , un grosso coccodrillo, abbastanza grosso da giocare a tira e molla col grosso suino. Riuscimmo a vedere il coccodrillo, teneva il facocero solo con la punta del muso, un morso fermo e deciso sul fianco del facocero, non abbastanza saldo da strattonarlo troppo ma abbastanza per non lasciarlo finchè non fosse sfinito. Non sapevamo da quanto tempo fossero lì, il facocero sembrava calmo e ben determinato a raggiungere la riva, arrancava trascinandosi dietro tutto il peso del coccodrillo che però non sembrava opporre resistenza e solo quando il facocero era prossimo alla salvezza, solo allora il coccodrillo cominciava a tirare indietro, facendo ricominciare il tragico sforzo del facocero, e ogni tanto , per fiaccare il determinato e forte suino, il coccodrillo gli impartiva il terribile giro della morte, ogni volta il facocero riemergeva a fatica, urlando e facendo bollicine dal naso, e sempre determinato, continuando a lottare in una guerra che sembrava già persa per lui, arrancava fino alla riva per essere strattonato al centro del laghetto una volta ancora. Non era la rapida caccia del ghepardo, non era l’astuto appostamento delle leonesse, né la violenza delle iene, non c’era spazio per l’adrenalina che si dice cancelli il dolore delle prede, questa volta lo spettacolo era una lenta tragedia, con un finale già conosciuto ma ancora lontana dall’ultimo atto. “Ma perché non se lo mangia e la fa finita?”, “ forse non è abbastanza forte per ucciderlo e aspetta di sfinirlo sennò rischia di farlo scappare…” , “ se scappasse chissà se la ferita gli permetterebbe di sopravvivere…” , queste e altre domande si alternavano nell’ auto, l’unica certezza era che quel facocero non aveva nessuna intenzione di diventare il pasto del coccodrillo, la sua determinazione e la sua forza erano incredibilmente ferme e il poverino sembrava fare il gioco del coccodrillo senza rendersene conto. Per quanto la nostra simpatia andasse al facocero, ad ogni giro della morte speravamo fosse definitivamente fiaccato e invece ogni volta ricominciava, dopo un po’ di bollicine in più e con più determinazione. Non si poteva non parteggiare per lui, se non altro per la feroce determinazione con la quale intendeva salvarsi la pelle. Certo, tutti erano consapevoli che anche il coccodrillo doveva mangiare, magari però poteva mangiarsi uno meno determinato, o quantomeno non proprio davanti ai nostri occhi, insomma il facocero era diventato il nostro eroico gladiatore nell’arena che meritava di avere salva la vita ma noi non potevamo alzare il pollice. Oppure si. Mi aspettavo che qualcuno lo dicesse e infatti dopo un po’ di questa lenta agonia un ragazzo esordì “ con la macchina possiamo avvicinarci e gettando un sasso vicino al coccodrillo forse lo lascerebbe…..” da questa cominciarono altre mille proposte tutte volte a salvare la vita del nostro maialetto , e come mi aspettavo cominciarono anche le disquisizioni sul se fosse giusto o meno.
Per quanto colpita, sapevo che l’unica cosa giusta da fare era comportarci come se non fossimo mai passati di lì, continuo a pensare che l’unica cosa che possiamo lasciare in questo ambiente non più nostro è solo la nostra impronta e niente altro, se il facocero fosse stato in difficoltà da solo magari un piccolo aiuto non avrebbe creato nessuno squilibrio ma in questo caso aiutare lui significava danneggiare il coccodrillo. Chissà quando sarebbe capitato ancora un altro facocero non attento da catturare e mangiare…..chissà se la selezione naturale stesse eliminando un facocero disattento o stesse facilitando la vita a un coccodrillo particolarmente capace, oppure era stato solo un caso e niente più…. in ogni caso cercai di convincere tutti gli ospiti che non era giusto intervenire e di comune accordo decidemmo di andare senza aspettare l’esito della battaglia, ognuno avrebbe scelto il finale che più gli piaceva pensare, tanto non sarebbe comunque cambiato nulla per i veri protagonisti. Ce ne andammo mentre le cicale continuavano a frinire incuranti e sono certa che tutti maledirono in mente loro le cicale perché alla fine ci stavamo comportando esattamente come loro…
Tratto da Malindikenya
"Il Crocodile Dundee "- Terzo racconto di Camilla
"Il Crocodile Dundee " - Terzo racconto di Camilla
Noi li chiamiamo i "Crocrodile Dundee".
Non sono rettili, non sono animali preistorici e nemmeno una nuova specie, purtroppo per noi non sono a rischio di estinzione, non sono nemmeno avventurosi eroi cinematografici, non è facile trovarli ma quando li si incontra non lo si scorda più, e di solito non se lo scordano nemmeno loro… E’ una specie pericolosa, non per noi ma per sé stessa, estremamente attratta da nuove situazioni, soprattutto quando non le conosce e non sa affrontarle adeguatamente, rumorosa, scoordinata, con la scocciante tendenza a perdersi o impantanarsi irrimediabilmente nel fango con la macchina…..è il turista fai da te.
Si muove in gruppo, quasi sempre amici e giovani , nel caso più pericoloso si tratta di famigliole che si affidano al capobranco, solitamente un maschio alfa che cerca di convincere gli altri e anche se stesso di conoscere praticamente tutto ciò che serve di sapere per affrontare un safari. Vecchie ferrate in alta montagna dalle improbabili connessioni con la savana, qualche non meglio precisata avventura nel deserto e qualche assolutamente inutile esperienza rallystica, li convincono di essere non solo all’altezza della situazione ma soprattutto di essere troppo avanti per affidarsi alla serietà di guide di safari che fanno questo di lavoro e , dopo avere appeso al chiodo giacca e cravatta per le due settimane di ferie e provato allo specchio la migliore espressione alla Robert Redford, eccoli pronti ad affittare il magnifico mezzo meccanico che li condurrà nella loro nuova avventura.
Continua....
Noi li chiamiamo i "Crocrodile Dundee".
Non sono rettili, non sono animali preistorici e nemmeno una nuova specie, purtroppo per noi non sono a rischio di estinzione, non sono nemmeno avventurosi eroi cinematografici, non è facile trovarli ma quando li si incontra non lo si scorda più, e di solito non se lo scordano nemmeno loro… E’ una specie pericolosa, non per noi ma per sé stessa, estremamente attratta da nuove situazioni, soprattutto quando non le conosce e non sa affrontarle adeguatamente, rumorosa, scoordinata, con la scocciante tendenza a perdersi o impantanarsi irrimediabilmente nel fango con la macchina…..è il turista fai da te.
Si muove in gruppo, quasi sempre amici e giovani , nel caso più pericoloso si tratta di famigliole che si affidano al capobranco, solitamente un maschio alfa che cerca di convincere gli altri e anche se stesso di conoscere praticamente tutto ciò che serve di sapere per affrontare un safari. Vecchie ferrate in alta montagna dalle improbabili connessioni con la savana, qualche non meglio precisata avventura nel deserto e qualche assolutamente inutile esperienza rallystica, li convincono di essere non solo all’altezza della situazione ma soprattutto di essere troppo avanti per affidarsi alla serietà di guide di safari che fanno questo di lavoro e , dopo avere appeso al chiodo giacca e cravatta per le due settimane di ferie e provato allo specchio la migliore espressione alla Robert Redford, eccoli pronti ad affittare il magnifico mezzo meccanico che li condurrà nella loro nuova avventura.
Continua....
fio- Sostenitore
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Re: Safari: i racconti di Camilla
Poco importa che , meglio che allenarsi a guidare in campagna il cherokee in Italia , avessero preso lezioni di inglese, in quel caso avrebbero capito la frase detta a metà dall’indiano che fregandosi le mani gli ha affittato il nuovissimo land cruiser che era appartenuto al nonno del primo colono nei lontani anni 30’, si perché anche se il mezzo è verniciato di fresco non ha le 4 ruote motrici funzionanti, le ha staccate l’indiano stesso, per evitare che l’antico mezzo venga portato in savana, certo lo ha chiesto a Robert, ma lui, credendosi esperto di “come si tratta con questi qui” gli ha assicurato, facendo l’occhiolino agli amici, che noooo , non hanno mica intenzione di fare un safari da soli…no ci fanno solo un giretto nei paraggi.
Ed ecco che il nostro Crocrodile appagato alla guida della jeep conduce i suoi sventurati compagni di avventura in savana. Una jeep , una cartina del parco, cosa ci vorrà di più per fare un safari eh? Guardali guardali quelli là…..che sciocchi, in safari con la guida ….eh nooo, noi si che facciamo l’avventura seria…..gliela facciamo vedere noi ai turisti con la guida…….e si di solito è così, ce la fanno proprio vedere, di solito dal fosso di una pista con il mezzo piegato di lato oppure miseramente insabbiati sotto un sole cocente.
Quando il Crocrodile Dundee ha la fortuna di non trovare fango sabbia e di non bucare e gloriosamente l’antico radiatore regge il colpo , nella migliore delle ipotesi non vede la maggior parte degli animali, che non se ne stanno certo lì in esposizione ad aspettare lui e la sua banda, ma che nella maggior parte dei casi appunto vanno trovati, avvistati da un occhio esperto tra la vegetazione, a volte anche annusati, spesso individuati da tracce lasciate sul terreno, o spesso , vanno capiti. A volte ci affiancano, l’aria afflitta perchè non hanno ancora visto il leone (ma cosa pensavano, di andare allo zoo e trovarlo dopo la prima curva?) e ci chiedono cosa stiamo guardando , “ci sono dei gerenuk laggiù” gli indichiamo noi , loro , privi dei binocoli (ma va? Non ci avevamo pensato…) , ci dicono “ ah si le gazzelle le abbiamo già viste un sacco di volte”, e noi con un po’ di perfidia “ quelle che avete visto prima erano impala e probabilmente avrete visto anche il grosso branco di gazzelle di Grant che era vicino al fiume ma questi sono Gerenuk! Avete visto che belli ? e come sono DIVERSI dagli altri…..! ”. Un po’ perché non riescono a vederli senza binocolo e un po’ perché cominciano a realizzare che senza guida stanno guardando un documentario senza l’audio , a quel punto ingranano la marcia e se ne vanno.
Ovviamente affidandosi alla cartina e alla scarna segnaletica si ritrovano a girare e rigirare sulle piste principali, ignorando le nostre piccole piste più affascinanti e meno percorse perché lontane dai punti turistici (sia ben chiaro , a noi va benissimo così! Ci piace di più essere soli in certi posti incantati), e basandosi su ragionamenti fatti sui km (da noi si ragiona in termini di “da quanto tempo non hanno aggiustato una pista” che non in km) e quindi sballano tutti i tempi del loro giro, facendo game drive sotto il sole cocente e arrivando per pranzo nel pomeriggio quando sarebbe meglio uscire nuovamente in game drive dopo il meritato relax.
Per fortuna non si incontrano così spesso ma, quasi dimenticato lungo il fiume , a ricordarci di loro c’è sempre lui, quello che noi chiamiamo il “Monumento del Turista Stordito” . Si tratta di un pajero bianco, o almeno di quello che un tempo è stato un pajero bianco, la storia , ormai leggenda tra gli addetti ai lavori dei safari, ripetuta centinaia di volte dai driver, è sempre la stessa : un gruppo di turisti , italiani (eh si, sembra essere la sottospecie più diffusa del Crocrodile Dundee) che affitta il pajero a Malindi, e , cartina alla mano, si avventura nel più grande parco nazionale del Kenya: lo Tsavo.
Incontrando pozze da pioggia recente, stufi di impantanarsi di continuo, fanno l’errore più grossolano e facile da farsi per chi non conosce il black cotton , il fango spugnoso, viscido e nero , che spesso incolla anche mezzi a quattro ruote motrici guidati bene. Loro di fronte al tratto infangato con enormi buchi come malefiche rotaie per le ruote, si fermano, riflettono, e fanno l’errore, invece di entrare dentro al fango rimanendo nelle rotaie con le ridotte inserite, scelgono il peggio, escono dalla pista per passare sull’apparente solido terreno biancastro che nasconde il black cotton fresco , e si impantanano , definitivamente. Che avessero o meno le quattro ruote funzionanti a quel punto ha poca importanza, un po’ di esperienza e almeno un machete per cominciare a tagliare arbusti da mettere sotto le ruote e un crick da fango avrebbero aiutato, ma solitamente i Crocrodile Dundee non pensano nemmeno alle bottiglie d’acqua supplementari, se avessero idee riguardo all’attrezzatura giusta avrebbero abbastanza conoscenza per lasciar stare la cosa e affidarsi ai professionisti.
Dopo avere bruciato la frizione e sentito i pareri stravaganti di tutti i componenti il gruppo restano lì, ad ascoltare il silenzio che improvvisamente non è più così silenzioso, e non si tratta solo dello scorrere del fiume, improvvisamente è un silenzio di rami rotti, di zoccoli rapidi, di versi mai sentiti prima. Aspettano ma per quella pista, che non viene percorsa da chi la conosce date le condizioni meteorologiche, quel giorno non passa nessuno. Comincia a fare buio, e loro cominciano a preoccuparsi. Pensano che dopo tutto è una bella avventura e che al massimo dormiranno in auto ma è lì che realizzano che non hanno pensato agli imprevisti, non hanno con loro acqua in più e i panini del pranzo se li sono già mangiati a pranzo appunto. Passa un gruppo di leoni, non troppo vicini ma nemmeno troppo lontani per non notarli e li guardano incuriositi, poi scendono al fiume e scompaiono nei cespugli, e loro cominciano a chiedersi dove siano andati, perchè non si vedono più? se ne sono andati via o sono sotto la riva lì vicini a loro? Cominciano ad avere paura, con loro non c’è una guida che li avrebbe rassicurati sul fatto che in macchina non avrebbero avuto nulla da temere dai leoni ma che invece farebbero meglio a stare più lontani da quei cespugli dai quali può uscire qualunque animale pericoloso e spaventato come un bufalo. Pur di fare qualcosa decidono di bruciare una gomma , il fumo nero dovrebbe farsi vedere da lontano, l’idea non è male, ma (e qui vorrei conoscerli personalmente per chiedere loro come abbiano fatto..) , le voci discordano sulla versione, non si sa come mai ma quello che va a fuoco è il pajero intero. Forse non sono riusciti a staccare la gomma e hanno deciso di provarci lo stesso , sta di fatto che in breve si ritrovano con l’unica loro protezione, la macchina , andata in fiamme. Dopo una notte passata sulle molle del mezzo tiepido , e , il giorno seguente sotto il sole impietoso come sa esserlo nello Tsavo, dopo avere bevuto l’acqua del radiatore che si era salvato dal fuoco , nel pomeriggio successivo vengono trovati per caso da una macchina dei rangers che passava di lì. Safari finito, pajero da ripagare all’indiano.
Nonostante storie come queste si sentano anche in altri parchi, questo non scoraggia i Crocrodile Dundee a tentare il safari fai da te, spinti dall’idea di vivere una avventura a loro parere più vera, si lanciano in una situazione costosa, pericolosa e paradossalmente visitano i luoghi più turistici , vedendo e capendo la metà di quello che la savana offre….sempre che tutto vada bene!(1/08/2009)
Tratto da www.malindikenya.net
Ed ecco che il nostro Crocrodile appagato alla guida della jeep conduce i suoi sventurati compagni di avventura in savana. Una jeep , una cartina del parco, cosa ci vorrà di più per fare un safari eh? Guardali guardali quelli là…..che sciocchi, in safari con la guida ….eh nooo, noi si che facciamo l’avventura seria…..gliela facciamo vedere noi ai turisti con la guida…….e si di solito è così, ce la fanno proprio vedere, di solito dal fosso di una pista con il mezzo piegato di lato oppure miseramente insabbiati sotto un sole cocente.
Quando il Crocrodile Dundee ha la fortuna di non trovare fango sabbia e di non bucare e gloriosamente l’antico radiatore regge il colpo , nella migliore delle ipotesi non vede la maggior parte degli animali, che non se ne stanno certo lì in esposizione ad aspettare lui e la sua banda, ma che nella maggior parte dei casi appunto vanno trovati, avvistati da un occhio esperto tra la vegetazione, a volte anche annusati, spesso individuati da tracce lasciate sul terreno, o spesso , vanno capiti. A volte ci affiancano, l’aria afflitta perchè non hanno ancora visto il leone (ma cosa pensavano, di andare allo zoo e trovarlo dopo la prima curva?) e ci chiedono cosa stiamo guardando , “ci sono dei gerenuk laggiù” gli indichiamo noi , loro , privi dei binocoli (ma va? Non ci avevamo pensato…) , ci dicono “ ah si le gazzelle le abbiamo già viste un sacco di volte”, e noi con un po’ di perfidia “ quelle che avete visto prima erano impala e probabilmente avrete visto anche il grosso branco di gazzelle di Grant che era vicino al fiume ma questi sono Gerenuk! Avete visto che belli ? e come sono DIVERSI dagli altri…..! ”. Un po’ perché non riescono a vederli senza binocolo e un po’ perché cominciano a realizzare che senza guida stanno guardando un documentario senza l’audio , a quel punto ingranano la marcia e se ne vanno.
Ovviamente affidandosi alla cartina e alla scarna segnaletica si ritrovano a girare e rigirare sulle piste principali, ignorando le nostre piccole piste più affascinanti e meno percorse perché lontane dai punti turistici (sia ben chiaro , a noi va benissimo così! Ci piace di più essere soli in certi posti incantati), e basandosi su ragionamenti fatti sui km (da noi si ragiona in termini di “da quanto tempo non hanno aggiustato una pista” che non in km) e quindi sballano tutti i tempi del loro giro, facendo game drive sotto il sole cocente e arrivando per pranzo nel pomeriggio quando sarebbe meglio uscire nuovamente in game drive dopo il meritato relax.
Per fortuna non si incontrano così spesso ma, quasi dimenticato lungo il fiume , a ricordarci di loro c’è sempre lui, quello che noi chiamiamo il “Monumento del Turista Stordito” . Si tratta di un pajero bianco, o almeno di quello che un tempo è stato un pajero bianco, la storia , ormai leggenda tra gli addetti ai lavori dei safari, ripetuta centinaia di volte dai driver, è sempre la stessa : un gruppo di turisti , italiani (eh si, sembra essere la sottospecie più diffusa del Crocrodile Dundee) che affitta il pajero a Malindi, e , cartina alla mano, si avventura nel più grande parco nazionale del Kenya: lo Tsavo.
Incontrando pozze da pioggia recente, stufi di impantanarsi di continuo, fanno l’errore più grossolano e facile da farsi per chi non conosce il black cotton , il fango spugnoso, viscido e nero , che spesso incolla anche mezzi a quattro ruote motrici guidati bene. Loro di fronte al tratto infangato con enormi buchi come malefiche rotaie per le ruote, si fermano, riflettono, e fanno l’errore, invece di entrare dentro al fango rimanendo nelle rotaie con le ridotte inserite, scelgono il peggio, escono dalla pista per passare sull’apparente solido terreno biancastro che nasconde il black cotton fresco , e si impantanano , definitivamente. Che avessero o meno le quattro ruote funzionanti a quel punto ha poca importanza, un po’ di esperienza e almeno un machete per cominciare a tagliare arbusti da mettere sotto le ruote e un crick da fango avrebbero aiutato, ma solitamente i Crocrodile Dundee non pensano nemmeno alle bottiglie d’acqua supplementari, se avessero idee riguardo all’attrezzatura giusta avrebbero abbastanza conoscenza per lasciar stare la cosa e affidarsi ai professionisti.
Dopo avere bruciato la frizione e sentito i pareri stravaganti di tutti i componenti il gruppo restano lì, ad ascoltare il silenzio che improvvisamente non è più così silenzioso, e non si tratta solo dello scorrere del fiume, improvvisamente è un silenzio di rami rotti, di zoccoli rapidi, di versi mai sentiti prima. Aspettano ma per quella pista, che non viene percorsa da chi la conosce date le condizioni meteorologiche, quel giorno non passa nessuno. Comincia a fare buio, e loro cominciano a preoccuparsi. Pensano che dopo tutto è una bella avventura e che al massimo dormiranno in auto ma è lì che realizzano che non hanno pensato agli imprevisti, non hanno con loro acqua in più e i panini del pranzo se li sono già mangiati a pranzo appunto. Passa un gruppo di leoni, non troppo vicini ma nemmeno troppo lontani per non notarli e li guardano incuriositi, poi scendono al fiume e scompaiono nei cespugli, e loro cominciano a chiedersi dove siano andati, perchè non si vedono più? se ne sono andati via o sono sotto la riva lì vicini a loro? Cominciano ad avere paura, con loro non c’è una guida che li avrebbe rassicurati sul fatto che in macchina non avrebbero avuto nulla da temere dai leoni ma che invece farebbero meglio a stare più lontani da quei cespugli dai quali può uscire qualunque animale pericoloso e spaventato come un bufalo. Pur di fare qualcosa decidono di bruciare una gomma , il fumo nero dovrebbe farsi vedere da lontano, l’idea non è male, ma (e qui vorrei conoscerli personalmente per chiedere loro come abbiano fatto..) , le voci discordano sulla versione, non si sa come mai ma quello che va a fuoco è il pajero intero. Forse non sono riusciti a staccare la gomma e hanno deciso di provarci lo stesso , sta di fatto che in breve si ritrovano con l’unica loro protezione, la macchina , andata in fiamme. Dopo una notte passata sulle molle del mezzo tiepido , e , il giorno seguente sotto il sole impietoso come sa esserlo nello Tsavo, dopo avere bevuto l’acqua del radiatore che si era salvato dal fuoco , nel pomeriggio successivo vengono trovati per caso da una macchina dei rangers che passava di lì. Safari finito, pajero da ripagare all’indiano.
Nonostante storie come queste si sentano anche in altri parchi, questo non scoraggia i Crocrodile Dundee a tentare il safari fai da te, spinti dall’idea di vivere una avventura a loro parere più vera, si lanciano in una situazione costosa, pericolosa e paradossalmente visitano i luoghi più turistici , vedendo e capendo la metà di quello che la savana offre….sempre che tutto vada bene!(1/08/2009)
Tratto da www.malindikenya.net
Federica- ADMIN
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"Sotto un cielo stellato " - Quarto racconto di Camilla
"Sotto un cielo stellato " - Quarto racconto di Camilla.
Un cielo stellato, un fuoco, degli amici intorno, chiacchiere coi nasi all’insù a guardare le stelle ridendo della giornata passata insieme, qualche bicchiere di vino di troppo forse e ancora stelle e allegria. Chi più chi meno tutti portano nei propri ricordi qualcosa di simile. Qualcuno ha magari anche una chitarra ad arricchire il ricordo,altri magari una spiaggia, altri un campeggio. Non proprio tutti hanno la carica degli elefanti….ma andiamo con ordine. Tutto è nato navigando in internet, alla ricerca di una tendina da campeggio montabile sul tetto del land cruiser. E così dopo avere valutato i pro e contro di vari modelli, aspettato con ansia l’arrivo del pacco e montato la tendina sul tetto, siamo partiti impazienti di provare il nostro nuovo modo di fare campeggio. In savana. Si dimenticavo di dire che noi quando non lavoriamo ci divertiamo con delle gitarelle fuori porta che ci conducono immancabilmente o nello Tsavo o in qualche zona limitrofa ma sempre nel bush. A volte i miei ospiti durante un safari mi chiedono cosa faccio durante il mio tempo libero e rimangono stupiti quando dico loro che spesso vado in safari, con gli amici, tra noi, per divertirci senza dover trovare necessariamente un leone da mostrare ma solo per il gusto di starcene lì, lontani dal mondo, in mezzo alle spine, fra i suoni e gli odori dei quali ormai non possiamo più fare a meno. E così avevamo fatto, eccitati all’idea di campeggiare invece che di farci ospitare in un campo tendato come quelli dove porto i miei ospiti, eravamo partiti non senza esserci preparati a dovere per essere autosufficienti, o quasi, in savana.
E quindi montagne di taniche, tanichine e tanicone d’acqua, stipate nelle jeep e nel trailer, ghiacciaie colme di ghiaccio, macheti vari, coltelli e martelli per tagliare, picchettare,pelare patate , bombole del gas, sedioline da safari , una cucina intera con tanto di cuoco stipato in cima, insomma organizzatissimi per scomparire dal mondo per quattro giorni. Stipati e contenti dentro alle jeep eravamo arrivati nella zona prefissata: il Galana Ranch, una zona vastissima adiacente al parco nazionale dello Tsavo Est, enorme, senza fine , arido.
Il primo problema da risolvere era “dove”.
Il punto dove posizionare il campo è fondamentale, sia per questioni logistiche, prima fra tutte l’ombra su tende e cucina , sia per questioni romantiche , almeno per quanto riguarda me che trovo indispensabile avere una bella vista dalla tenda ed essere il più possibile vicina agli animali. L’idea più ombreggiata e romantica che ci venne in mente fu il fiume , il fiume Galana, lo stesso serpentone di acqua rossa che abbevera lo Tsavo attraversa infatti anche il Galana Ranch. Un nostro amico provò a suggerire che sul fiume avremmo avuto più animali vicini, magari anche pericolosi, ma tutti facemmo spallucce, finalmente che non dovevo preoccuparmi dell’incolumità dei miei ospiti volevo la mia tendina nuova-vista fiume e se fossero passati degli animali tanto meglio, li avrei visti più da vicino, per professionalità non posso fare follie in safari con ospiti ma adesso la storia era diversa, solo noi.
Enormi palme dum sembravano avessero dedicato la loro esistenza solo per darci il benvenuto con la loro ombra e noi ammaliati dall’ansa del fiume che disegnava una s davanti a noi piantammo il campo a pochi metri dall’acqua, all’ombra delle palme.Il fatto che tutto intorno fosse disseminato da escrementi di elefanti venne notato da tutti e nessuno ne parlò, mai ci saremmo voluti spostare di lì. Il fatto poi che tutto intorno le altissime sponde non permettessero agli animali l’accesso all’acqua rendeva il nostro campo l’unico accesso della zona, era più che evidente ma il nostro accogliente gazebo sul fiume e la cucina sotto il tamarindo con il cuoco che già preparava il pranzo rese questo “dettaglio” ancora più trascurabile.
Le tendine furono sistemate, le lanterne accese, il fuoco preparato con le sedioline intorno, e , come sempre accade, scese la notte.
Ed eccoci dunque qui,il cielo stellato, il fuoco, amici intorno. La cena volgeva al termine e intorno alla fievole luce sul tavolo gli insetti cozzavano tra loro ronzando, tra ronzii e risate udimmo uno sciabordio d’acqua più vicino, sembrava che il fiume si fosse alzato, oppure…… immediatamente afferrammo la torcia dal tavolo e illuminai l’acqua. Un enorme ippopotamo era a quattro metri da noi, stava dirigendosi nel punto dove chiaramente usciva tutte le sere, una specie di scivolo naturale che usciva…proprio in mezzo al nostro gazebo.
Abbagliato dalla luce e spaventato da quello che dovrebbe essergli sembrato una astronave piena di alieni, si fermò gocciolante, fiutò l’aria e corse, per fortuna dalla parte opposta alla nostra continuando a girarsi con aria offesa. Lo trovammo molto divertente ed eccitati dall’incontro ci spostammo al fuoco. L’effetto vino e ippopotamo insieme contribuirono a rendere più frizzante la serata intorno al fuoco e , mentre la via lattea scintillava sopra di noi , la notte continuava, rotta dalle nostre risate e dal verso di un gufo poco distante. Non avendo orari da rispettare il giorno dopo ci attardavamo intorno al fuoco quando udimmo dei passi che ci fecero sobbalzare, erano i nostri aiutanti di campo che andati a letto presto si erano poi svegliati e si erano avvicinati furtivi a noi, “Ndovu” dissero sottovoce indicando verso il punto dove avevamo posizionato la nostra doccia da campo. Elefanti. Ancora eccitati dall’incontro con l’ippopotamo e scaldati dalla serata allegra facemmo ciò che mai avremmo fatto pensandoci un attimo e che mai mi sarei sognata di fare con ospiti al seguito….ci dirigemmo allegramente verso la zona indicata. Accendemmo la torcia e li vedemmo. Due maschi, piuttosto grandi erano scesi silenziosi nel fiume passando a fianco alle tende, ora però, illuminati dalla torcia e allarmati dalle nostre voci, si girarono, ci guardarono e aprirono le orecchie. In un secondo l’euforia passò, mi rivolsi alla mia amica che era arrivata fresca fresca dall’Italia ed era ancora scossa dall’ippopotamo e le dissi “andiamo veloci alla macchina di Renzo, se arrivano e succede qualcosa resta dentro contro il pavimento”.Mentre lo dicevo gli elefanti a testa alta si lanciarono verso di noi e noi nel buio corremmo verso la macchina del nostro amico, ci lanciammo nel portellone posteriore del land rover e ci trovammo incastrate tra taniche e bottiglie d’acqua e d’improvviso echeggiò uno sparo. Un nostro amico sparò in aria e i due elefanti che comunque avevano già deviato rientrarono in acqua e corsero via sotto di noi nel fiume scomparendo nella notte.
La reazione che seguì fu di euforia totale, un incontro con un ippopotamo e una carica di elefanti, il tutto nel giro di poche ore accampati su uno splendido fiume lontani da tutto, c’era di che esserne euforici!!
A quel punto ci aspettavamo di incontrare o quantomeno di sentire leoni vicini al campo per terminare degnamente la serata invece quello che accadde fu ancora più bizzarro.
Finalmente testai la mia tendina raggiungendo il mio compagno che già da qualche ora ne stava provando la comodità dormendo profondamente anche durante la carica degli elefanti e senza sentire lo sparo… stavo quasi per addormentarmi anche io quando cominciai a sentire disquisizioni di astronomia fatte dai ritardatari che proprio davanti alla nostra tenda avevano deciso si osservare la luna nascente.
O almeno osservavano quella che sembrava essere una luna nascente, peccato che però non nascesse…..non saliva proprio. Era un chiarore aranciato basso sull’orizzonte nero.E lì rimaneva, senza aumentare né diminuire senza che la luna vera e propria facesse capolino e salisse gialla in cielo. A quel punto mi incuriosii anche io e cominciai ad osservare dalla zanzariera. Mentre qualcuno azzardava ipotesi di costellazioni e rifrazioni ottiche , qualcun altro più pragmaticamente ipotizzò una cosa più semplice e più ovvia : un incendio. Mentre proseguiva la discussione sul cosa potesse essere il chiarore,sopraffatti dal sonno alla spicciolata i ragazzi andarono alle loro tende.
Dietro la nostra tenda c’era quella che noi chiamiamo la tenda ospiti, una tenda da campeggio che montiamo se qualcuno si aggrega a noi. Quella sera era occupata dalla nostra amica appena arrivata dall’Italia ed al suo primo campeggio in savana, e ovviamente anche alla sua prima carica di elefanti ! fresca di emozioni e un po’ scossa dall’incontro con gli elefanti era andata a dormire quando uno dei ragazzi che divideva la tenda ospiti se ne andò a dormire in macchina perché meno caldo e, dopo poco, anche l’ultimo rimasto in tenda con lei improvvisamente imbracciò il fucile e disse “ ho sentito dei rumori in acqua , aspetta qui che vado a vedere”.
Il caso volle che la telefonata che lo avvertiva dell’incendio di un campo tendato distante una decina di km (ebbene si era un incendio e non la luna….) lo raggiungesse mentre era fuori dalla tenda, così il nostro amico svegliò quello che dormiva in macchina ,caricarono due tracciatori e partirono per andare al campo in fiamme per vedere di dare una mano o per spezzare una notte troppo calda per poter dormire.
Peccato che non avvisarono la nostra amica.
Io sentii la telefonata, sentii i discorsi in swahili tra i tracciatori che uscivano e dedussi che andavano al campo in fiamme e continuai a dormire ignara del fatto che la mia amica era terrorizzata in tenda, rimasta da sola mentre aspettava il ritorno dell’amico che era aveva sentito strani rumori…..
Dopo essersi immaginata ippopotami o leopardi o leoni che avevano divorato il nostro amico , lei era rimasta immobile attanagliata dalla paura temendo che la feroce belva la sentisse respirare in tenda e che , se avesse chiamato qualcuno, a quel punto l’animale l’avrebbe definitivamente localizzata. Solo quando il terrore ebbe il sopravvento allora cominciò a chiamare , sempre più forte fino a quando la sua voce a metà tra l’isterico e il piangente mi svegliò. La rassicurai e la presi anche un po’ in giro, d’altronde è la sorte dei nuovi arrivati, e continuammo a dormire. La mattina dopo , mentre ancora al buio i tracciatori accovacciati intorno al fuoco si preparavano il chai (the innaffiato di latte, inizio di ogni giornata africana) li sentivo ridacchiare dalla mia tenda, facevano il verso alla mia amica, mimando la voce terrorizzata che chiamava senza tregua “Lucaaaaa Lucaaaa” …. La storia della mzungu (europea, bianca) che urlava terrorizzata dalla tenda venne raccontata tra i tracciatori più e più volte, ogni volta esasperando il tono di voce e ogni volta arricchita da nuovi particolari, veri o finti che fossero…..
Un ippopotamo a cena, una carica di elefanti come ammazzacaffè, un incendio di ninna nanna e le urla della nostra amica come sveglia…..non male per un tranquillo campeggio tra amici …..nel bush……!
Tratto da www.malindikenya.net
Un cielo stellato, un fuoco, degli amici intorno, chiacchiere coi nasi all’insù a guardare le stelle ridendo della giornata passata insieme, qualche bicchiere di vino di troppo forse e ancora stelle e allegria. Chi più chi meno tutti portano nei propri ricordi qualcosa di simile. Qualcuno ha magari anche una chitarra ad arricchire il ricordo,altri magari una spiaggia, altri un campeggio. Non proprio tutti hanno la carica degli elefanti….ma andiamo con ordine. Tutto è nato navigando in internet, alla ricerca di una tendina da campeggio montabile sul tetto del land cruiser. E così dopo avere valutato i pro e contro di vari modelli, aspettato con ansia l’arrivo del pacco e montato la tendina sul tetto, siamo partiti impazienti di provare il nostro nuovo modo di fare campeggio. In savana. Si dimenticavo di dire che noi quando non lavoriamo ci divertiamo con delle gitarelle fuori porta che ci conducono immancabilmente o nello Tsavo o in qualche zona limitrofa ma sempre nel bush. A volte i miei ospiti durante un safari mi chiedono cosa faccio durante il mio tempo libero e rimangono stupiti quando dico loro che spesso vado in safari, con gli amici, tra noi, per divertirci senza dover trovare necessariamente un leone da mostrare ma solo per il gusto di starcene lì, lontani dal mondo, in mezzo alle spine, fra i suoni e gli odori dei quali ormai non possiamo più fare a meno. E così avevamo fatto, eccitati all’idea di campeggiare invece che di farci ospitare in un campo tendato come quelli dove porto i miei ospiti, eravamo partiti non senza esserci preparati a dovere per essere autosufficienti, o quasi, in savana.
E quindi montagne di taniche, tanichine e tanicone d’acqua, stipate nelle jeep e nel trailer, ghiacciaie colme di ghiaccio, macheti vari, coltelli e martelli per tagliare, picchettare,pelare patate , bombole del gas, sedioline da safari , una cucina intera con tanto di cuoco stipato in cima, insomma organizzatissimi per scomparire dal mondo per quattro giorni. Stipati e contenti dentro alle jeep eravamo arrivati nella zona prefissata: il Galana Ranch, una zona vastissima adiacente al parco nazionale dello Tsavo Est, enorme, senza fine , arido.
Il primo problema da risolvere era “dove”.
Il punto dove posizionare il campo è fondamentale, sia per questioni logistiche, prima fra tutte l’ombra su tende e cucina , sia per questioni romantiche , almeno per quanto riguarda me che trovo indispensabile avere una bella vista dalla tenda ed essere il più possibile vicina agli animali. L’idea più ombreggiata e romantica che ci venne in mente fu il fiume , il fiume Galana, lo stesso serpentone di acqua rossa che abbevera lo Tsavo attraversa infatti anche il Galana Ranch. Un nostro amico provò a suggerire che sul fiume avremmo avuto più animali vicini, magari anche pericolosi, ma tutti facemmo spallucce, finalmente che non dovevo preoccuparmi dell’incolumità dei miei ospiti volevo la mia tendina nuova-vista fiume e se fossero passati degli animali tanto meglio, li avrei visti più da vicino, per professionalità non posso fare follie in safari con ospiti ma adesso la storia era diversa, solo noi.
Enormi palme dum sembravano avessero dedicato la loro esistenza solo per darci il benvenuto con la loro ombra e noi ammaliati dall’ansa del fiume che disegnava una s davanti a noi piantammo il campo a pochi metri dall’acqua, all’ombra delle palme.Il fatto che tutto intorno fosse disseminato da escrementi di elefanti venne notato da tutti e nessuno ne parlò, mai ci saremmo voluti spostare di lì. Il fatto poi che tutto intorno le altissime sponde non permettessero agli animali l’accesso all’acqua rendeva il nostro campo l’unico accesso della zona, era più che evidente ma il nostro accogliente gazebo sul fiume e la cucina sotto il tamarindo con il cuoco che già preparava il pranzo rese questo “dettaglio” ancora più trascurabile.
Le tendine furono sistemate, le lanterne accese, il fuoco preparato con le sedioline intorno, e , come sempre accade, scese la notte.
Ed eccoci dunque qui,il cielo stellato, il fuoco, amici intorno. La cena volgeva al termine e intorno alla fievole luce sul tavolo gli insetti cozzavano tra loro ronzando, tra ronzii e risate udimmo uno sciabordio d’acqua più vicino, sembrava che il fiume si fosse alzato, oppure…… immediatamente afferrammo la torcia dal tavolo e illuminai l’acqua. Un enorme ippopotamo era a quattro metri da noi, stava dirigendosi nel punto dove chiaramente usciva tutte le sere, una specie di scivolo naturale che usciva…proprio in mezzo al nostro gazebo.
Abbagliato dalla luce e spaventato da quello che dovrebbe essergli sembrato una astronave piena di alieni, si fermò gocciolante, fiutò l’aria e corse, per fortuna dalla parte opposta alla nostra continuando a girarsi con aria offesa. Lo trovammo molto divertente ed eccitati dall’incontro ci spostammo al fuoco. L’effetto vino e ippopotamo insieme contribuirono a rendere più frizzante la serata intorno al fuoco e , mentre la via lattea scintillava sopra di noi , la notte continuava, rotta dalle nostre risate e dal verso di un gufo poco distante. Non avendo orari da rispettare il giorno dopo ci attardavamo intorno al fuoco quando udimmo dei passi che ci fecero sobbalzare, erano i nostri aiutanti di campo che andati a letto presto si erano poi svegliati e si erano avvicinati furtivi a noi, “Ndovu” dissero sottovoce indicando verso il punto dove avevamo posizionato la nostra doccia da campo. Elefanti. Ancora eccitati dall’incontro con l’ippopotamo e scaldati dalla serata allegra facemmo ciò che mai avremmo fatto pensandoci un attimo e che mai mi sarei sognata di fare con ospiti al seguito….ci dirigemmo allegramente verso la zona indicata. Accendemmo la torcia e li vedemmo. Due maschi, piuttosto grandi erano scesi silenziosi nel fiume passando a fianco alle tende, ora però, illuminati dalla torcia e allarmati dalle nostre voci, si girarono, ci guardarono e aprirono le orecchie. In un secondo l’euforia passò, mi rivolsi alla mia amica che era arrivata fresca fresca dall’Italia ed era ancora scossa dall’ippopotamo e le dissi “andiamo veloci alla macchina di Renzo, se arrivano e succede qualcosa resta dentro contro il pavimento”.Mentre lo dicevo gli elefanti a testa alta si lanciarono verso di noi e noi nel buio corremmo verso la macchina del nostro amico, ci lanciammo nel portellone posteriore del land rover e ci trovammo incastrate tra taniche e bottiglie d’acqua e d’improvviso echeggiò uno sparo. Un nostro amico sparò in aria e i due elefanti che comunque avevano già deviato rientrarono in acqua e corsero via sotto di noi nel fiume scomparendo nella notte.
La reazione che seguì fu di euforia totale, un incontro con un ippopotamo e una carica di elefanti, il tutto nel giro di poche ore accampati su uno splendido fiume lontani da tutto, c’era di che esserne euforici!!
A quel punto ci aspettavamo di incontrare o quantomeno di sentire leoni vicini al campo per terminare degnamente la serata invece quello che accadde fu ancora più bizzarro.
Finalmente testai la mia tendina raggiungendo il mio compagno che già da qualche ora ne stava provando la comodità dormendo profondamente anche durante la carica degli elefanti e senza sentire lo sparo… stavo quasi per addormentarmi anche io quando cominciai a sentire disquisizioni di astronomia fatte dai ritardatari che proprio davanti alla nostra tenda avevano deciso si osservare la luna nascente.
O almeno osservavano quella che sembrava essere una luna nascente, peccato che però non nascesse…..non saliva proprio. Era un chiarore aranciato basso sull’orizzonte nero.E lì rimaneva, senza aumentare né diminuire senza che la luna vera e propria facesse capolino e salisse gialla in cielo. A quel punto mi incuriosii anche io e cominciai ad osservare dalla zanzariera. Mentre qualcuno azzardava ipotesi di costellazioni e rifrazioni ottiche , qualcun altro più pragmaticamente ipotizzò una cosa più semplice e più ovvia : un incendio. Mentre proseguiva la discussione sul cosa potesse essere il chiarore,sopraffatti dal sonno alla spicciolata i ragazzi andarono alle loro tende.
Dietro la nostra tenda c’era quella che noi chiamiamo la tenda ospiti, una tenda da campeggio che montiamo se qualcuno si aggrega a noi. Quella sera era occupata dalla nostra amica appena arrivata dall’Italia ed al suo primo campeggio in savana, e ovviamente anche alla sua prima carica di elefanti ! fresca di emozioni e un po’ scossa dall’incontro con gli elefanti era andata a dormire quando uno dei ragazzi che divideva la tenda ospiti se ne andò a dormire in macchina perché meno caldo e, dopo poco, anche l’ultimo rimasto in tenda con lei improvvisamente imbracciò il fucile e disse “ ho sentito dei rumori in acqua , aspetta qui che vado a vedere”.
Il caso volle che la telefonata che lo avvertiva dell’incendio di un campo tendato distante una decina di km (ebbene si era un incendio e non la luna….) lo raggiungesse mentre era fuori dalla tenda, così il nostro amico svegliò quello che dormiva in macchina ,caricarono due tracciatori e partirono per andare al campo in fiamme per vedere di dare una mano o per spezzare una notte troppo calda per poter dormire.
Peccato che non avvisarono la nostra amica.
Io sentii la telefonata, sentii i discorsi in swahili tra i tracciatori che uscivano e dedussi che andavano al campo in fiamme e continuai a dormire ignara del fatto che la mia amica era terrorizzata in tenda, rimasta da sola mentre aspettava il ritorno dell’amico che era aveva sentito strani rumori…..
Dopo essersi immaginata ippopotami o leopardi o leoni che avevano divorato il nostro amico , lei era rimasta immobile attanagliata dalla paura temendo che la feroce belva la sentisse respirare in tenda e che , se avesse chiamato qualcuno, a quel punto l’animale l’avrebbe definitivamente localizzata. Solo quando il terrore ebbe il sopravvento allora cominciò a chiamare , sempre più forte fino a quando la sua voce a metà tra l’isterico e il piangente mi svegliò. La rassicurai e la presi anche un po’ in giro, d’altronde è la sorte dei nuovi arrivati, e continuammo a dormire. La mattina dopo , mentre ancora al buio i tracciatori accovacciati intorno al fuoco si preparavano il chai (the innaffiato di latte, inizio di ogni giornata africana) li sentivo ridacchiare dalla mia tenda, facevano il verso alla mia amica, mimando la voce terrorizzata che chiamava senza tregua “Lucaaaaa Lucaaaa” …. La storia della mzungu (europea, bianca) che urlava terrorizzata dalla tenda venne raccontata tra i tracciatori più e più volte, ogni volta esasperando il tono di voce e ogni volta arricchita da nuovi particolari, veri o finti che fossero…..
Un ippopotamo a cena, una carica di elefanti come ammazzacaffè, un incendio di ninna nanna e le urla della nostra amica come sveglia…..non male per un tranquillo campeggio tra amici …..nel bush……!
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"Strane parentele" - Quinto racconto di Camilla
"Strane parentele" - Quinto racconto di Camilla.
“Ehi lassù c’è un coso…un topo….no no è una marmotta….no no è una specie di castoro…si si c’è un castoro sulla roccia che ci guarda…ma no non ha la coda….no non è un castoro…..ehi ma qui in Kenya ci sono i castori….?.....”
….Topo, marmotta, castoro senza coda, pantegana di savana, sono tanti e bizzarri i nomi che spesso sento affibbiare dai visitatori ad un simpatico animaletto peloso presente in gruppetti più o meno numerosi ovunque ci sia una collinetta rocciosa in savana.
E’la procavia delle rocce, o più semplicemente l’irace, un animaletto di circa un paio di chili di peso, dall’aspetto simile a una marmotta, di un colore marroncino-grigio che lo rende quasi indistingubile dalla roccia su cui sta appollaiato.
Mentre gli improvvisati accompagnatori di tour turistici liquidano la questione con un “topo di savana…” io immancabilmente mi sento in dovere di spiegare ai miei ospiti cosa è un irace. Nemmeno fossi stata contattata da un improbabile sindacato per la difesa dell’immagine dell’irace , o fossi la responsabile di un movimento per la rivalutazione del mammiferetto peloso in questione….eppure ogni volta che passando con la jeep avvistiamo un gruppetto di procavie sdraiate sulle rocce con l’aria annoiata, a quel punto immancabilmente spengo il motore della auto e comincio a spiegare chi è in realtà l’irace.
Inizialmente devo dire che i miei ospiti ,ammaliati dai grandi mammiferi, dai predatori e dalla varietà di creature particolari , considerano il mio interesse per l’irace come una sorta di improvvisa demenza professionale e mi osservano con la stessa aria spenta che avrebbero ad una conferenza sul raffreddore del pesce rosso.
Ma è quando gli dico chi è realmente l’irace che allora si accende un po’ di entusiasmo ed improvvisamente la supposta pantegana di savana appare ai loro occhi come un essere degno di più attenzione.
Si perché in realtà la procavia non è un roditore! E qui ogni volta credo di avere detto qualcosa di rivelatore, di scioccante, di avere aperto a comuni mortali il regno nascosto dell’irace…e invece nulla, nemmeno un segno di vago interesse negli occhi dei miei ospiti….allora rivelo di più…” ragazzi ma avete capito..?....quella specie di topo non è un topo, non appartiene alla famiglia dei roditori, non rode! …bruca l’erba come una antilope!!!!!” è a questo punto che ogni volta credo di averli scioccati e invece vedo appena qualche sopracciglio alzato e sguardi perplessi che pensano “ma questa c’è o ci fa?..eppure sembrava tanto preparata…”…
Insomma….perchè afferrino il binocolo ed osservino il mammiferetto che si gratta distrattamente sulla roccia devo rivelare la verità più nascosta , il segreto che cambierà per sempre la loro considerazione dell’irace…..la sua parentela!!..... quel coso di un paio di chili scarsi, arrampicato sulla roccia è in realtà il parente più vicino dell’elefante.
A questo punto sì che la procavia guadagna parecchi punti di interesse e con gli ospiti che cercano di valutare se sono pazza io o se effettivamente può esserci una vaga parentela tra il marmottino e il pachiderma, allora tranquillamente posso cominciare a spiegare cosa effettivamente accomuna ancora oggi due animali tanto diversi che hanno però avuto un passato in comune e che ancora oggi portano tratti uguali che li rende indiscutibilmente parenti, stretti, strettissimi.
Innanzitutto l’irace appartiene all’ordine dei paenungulata ovvero quasi ungulati…insomma un erbivoro simile ad una antilope. Fin qui si tratta solo di disquisizioni tassonomiche, ma è osservando alcuni tratti particolari e comuni ai due animali che la parentela risulta decisiva….
Tutti sanno che le enormi zanne dell’elefante sono denti, ma in pochi sanno che a differenza delle zanne di tutti gli animali zannuti (dal cane al leone al babbuino all’ippopotamo al cinghiale) in cui si tratta di canini modificati, nel caso dell’elefante le sue due zanne sono incisivi modificati. Ebbene, anche la piccola procavia possiede due piccole zannine (che rimangono nascoste dentro la bocca) che sono appunto incisivi. Chiunque abbia avuto la fortuna di osservare un elefantino che prende il latte dalla mamma avrà notato che si posiziona tra le zampe anteriori della elefantessa e non tra le posteriori come farebbe qualunque altro piccolo di altro mammifero, questo perché l’elefante ha due mammelle tra le zampe anteriori, come le scimmie, l’uomo e….l’irace.
Inoltre in molti sanno che l’elefante ha una gestazione tra le più lunghe del regno animale, 22 mesi per l’esattezza, e da un animaletto piccolo come l’irace ci si aspetterebbe una quarantina di giorni massimo di gestazione, invece mamma irace deve aspettare ben otto mesi per partorire i piccoli iracini che prenderanno il latte davanti a lei proprio come un bambino o …un elefantino.
Inoltre sia elefante che irace hanno i testicoli interni e le dita in entrambi terminano in unghie rotonde, né artigli né zoccoli, ma la classica unghia tonda dell’elefante dei cartoni animati, esattamente riconoscibile anche nel piedino peloso dell’irace.
Svelato tutto questo a questo punto quelli che erano ospiti dall’aria basita si sono trasformati tutti in interessatissimi esploratori con il binocolo puntato all’insù ad osservare le procavie che, continuando pacifiche a prendere il sole , si sono trasformate improvvisamente e loro insaputa in personaggi degni di una intera puntata di superquark.
Ed è allora che immancabilmente sento dire “…ma che bello…proprio interessante questa parentela….proprio carini questi toponi!”
…..a quel punto l’aria basita ce l’ho io…per favore non chiamateli topi…..!
FACT FILES
- Esistono tre tipi diversi di irace, l’irace delle rocce, l’irace del bush e l’irace degli alberi.
- L’organizzazione sociale delle procavie ricorda quella della marmotta, con una sentinella che dall’alto controlla e da l’allarme in caso di predatore.
- Tale è il rischio di predazione che l’irace spende solo un’ora della propria giornata brucando foglie ed erbe, il resto del tempo lo passa in prossimità di rocce e buchi in cui nascondersi.
- Spesso i piccoli di irace si raggruppano salendo sulla schiena della madre.
- L’irace possiede una ghiandola odorosa sulla schiena nascosta da un ciuffo di peli che si aprono in caso di stati emotivi alterati, con tale ghiandola i componenti del gruppo si strofinano uno con l’altro per essere tutti “marchiati” con gli stessi odori.
- La procavia degli alberi ha una laringe modificata che le permette di emettere potenti grida nella notte, un suono caratteristico delle foreste di montagna in cui è presente tale specie di irace.
- Iraci catturati da predatori spesso fingono di essere morti per poi scappare alla prima distrazione del predatore.(17/08/2009)
Tratto da www.malindikenya.net
“Ehi lassù c’è un coso…un topo….no no è una marmotta….no no è una specie di castoro…si si c’è un castoro sulla roccia che ci guarda…ma no non ha la coda….no non è un castoro…..ehi ma qui in Kenya ci sono i castori….?.....”
….Topo, marmotta, castoro senza coda, pantegana di savana, sono tanti e bizzarri i nomi che spesso sento affibbiare dai visitatori ad un simpatico animaletto peloso presente in gruppetti più o meno numerosi ovunque ci sia una collinetta rocciosa in savana.
E’la procavia delle rocce, o più semplicemente l’irace, un animaletto di circa un paio di chili di peso, dall’aspetto simile a una marmotta, di un colore marroncino-grigio che lo rende quasi indistingubile dalla roccia su cui sta appollaiato.
Mentre gli improvvisati accompagnatori di tour turistici liquidano la questione con un “topo di savana…” io immancabilmente mi sento in dovere di spiegare ai miei ospiti cosa è un irace. Nemmeno fossi stata contattata da un improbabile sindacato per la difesa dell’immagine dell’irace , o fossi la responsabile di un movimento per la rivalutazione del mammiferetto peloso in questione….eppure ogni volta che passando con la jeep avvistiamo un gruppetto di procavie sdraiate sulle rocce con l’aria annoiata, a quel punto immancabilmente spengo il motore della auto e comincio a spiegare chi è in realtà l’irace.
Inizialmente devo dire che i miei ospiti ,ammaliati dai grandi mammiferi, dai predatori e dalla varietà di creature particolari , considerano il mio interesse per l’irace come una sorta di improvvisa demenza professionale e mi osservano con la stessa aria spenta che avrebbero ad una conferenza sul raffreddore del pesce rosso.
Ma è quando gli dico chi è realmente l’irace che allora si accende un po’ di entusiasmo ed improvvisamente la supposta pantegana di savana appare ai loro occhi come un essere degno di più attenzione.
Si perché in realtà la procavia non è un roditore! E qui ogni volta credo di avere detto qualcosa di rivelatore, di scioccante, di avere aperto a comuni mortali il regno nascosto dell’irace…e invece nulla, nemmeno un segno di vago interesse negli occhi dei miei ospiti….allora rivelo di più…” ragazzi ma avete capito..?....quella specie di topo non è un topo, non appartiene alla famiglia dei roditori, non rode! …bruca l’erba come una antilope!!!!!” è a questo punto che ogni volta credo di averli scioccati e invece vedo appena qualche sopracciglio alzato e sguardi perplessi che pensano “ma questa c’è o ci fa?..eppure sembrava tanto preparata…”…
Insomma….perchè afferrino il binocolo ed osservino il mammiferetto che si gratta distrattamente sulla roccia devo rivelare la verità più nascosta , il segreto che cambierà per sempre la loro considerazione dell’irace…..la sua parentela!!..... quel coso di un paio di chili scarsi, arrampicato sulla roccia è in realtà il parente più vicino dell’elefante.
A questo punto sì che la procavia guadagna parecchi punti di interesse e con gli ospiti che cercano di valutare se sono pazza io o se effettivamente può esserci una vaga parentela tra il marmottino e il pachiderma, allora tranquillamente posso cominciare a spiegare cosa effettivamente accomuna ancora oggi due animali tanto diversi che hanno però avuto un passato in comune e che ancora oggi portano tratti uguali che li rende indiscutibilmente parenti, stretti, strettissimi.
Innanzitutto l’irace appartiene all’ordine dei paenungulata ovvero quasi ungulati…insomma un erbivoro simile ad una antilope. Fin qui si tratta solo di disquisizioni tassonomiche, ma è osservando alcuni tratti particolari e comuni ai due animali che la parentela risulta decisiva….
Tutti sanno che le enormi zanne dell’elefante sono denti, ma in pochi sanno che a differenza delle zanne di tutti gli animali zannuti (dal cane al leone al babbuino all’ippopotamo al cinghiale) in cui si tratta di canini modificati, nel caso dell’elefante le sue due zanne sono incisivi modificati. Ebbene, anche la piccola procavia possiede due piccole zannine (che rimangono nascoste dentro la bocca) che sono appunto incisivi. Chiunque abbia avuto la fortuna di osservare un elefantino che prende il latte dalla mamma avrà notato che si posiziona tra le zampe anteriori della elefantessa e non tra le posteriori come farebbe qualunque altro piccolo di altro mammifero, questo perché l’elefante ha due mammelle tra le zampe anteriori, come le scimmie, l’uomo e….l’irace.
Inoltre in molti sanno che l’elefante ha una gestazione tra le più lunghe del regno animale, 22 mesi per l’esattezza, e da un animaletto piccolo come l’irace ci si aspetterebbe una quarantina di giorni massimo di gestazione, invece mamma irace deve aspettare ben otto mesi per partorire i piccoli iracini che prenderanno il latte davanti a lei proprio come un bambino o …un elefantino.
Inoltre sia elefante che irace hanno i testicoli interni e le dita in entrambi terminano in unghie rotonde, né artigli né zoccoli, ma la classica unghia tonda dell’elefante dei cartoni animati, esattamente riconoscibile anche nel piedino peloso dell’irace.
Svelato tutto questo a questo punto quelli che erano ospiti dall’aria basita si sono trasformati tutti in interessatissimi esploratori con il binocolo puntato all’insù ad osservare le procavie che, continuando pacifiche a prendere il sole , si sono trasformate improvvisamente e loro insaputa in personaggi degni di una intera puntata di superquark.
Ed è allora che immancabilmente sento dire “…ma che bello…proprio interessante questa parentela….proprio carini questi toponi!”
…..a quel punto l’aria basita ce l’ho io…per favore non chiamateli topi…..!
FACT FILES
- Esistono tre tipi diversi di irace, l’irace delle rocce, l’irace del bush e l’irace degli alberi.
- L’organizzazione sociale delle procavie ricorda quella della marmotta, con una sentinella che dall’alto controlla e da l’allarme in caso di predatore.
- Tale è il rischio di predazione che l’irace spende solo un’ora della propria giornata brucando foglie ed erbe, il resto del tempo lo passa in prossimità di rocce e buchi in cui nascondersi.
- Spesso i piccoli di irace si raggruppano salendo sulla schiena della madre.
- L’irace possiede una ghiandola odorosa sulla schiena nascosta da un ciuffo di peli che si aprono in caso di stati emotivi alterati, con tale ghiandola i componenti del gruppo si strofinano uno con l’altro per essere tutti “marchiati” con gli stessi odori.
- La procavia degli alberi ha una laringe modificata che le permette di emettere potenti grida nella notte, un suono caratteristico delle foreste di montagna in cui è presente tale specie di irace.
- Iraci catturati da predatori spesso fingono di essere morti per poi scappare alla prima distrazione del predatore.(17/08/2009)
Tratto da www.malindikenya.net
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Racconti di Camilla 6 - Sapiens fino a che punto?
Racconti di Camilla 6 - Sapiens fino a che punto?
Osservare gli animali in safari non significa solamente avvistarli e fotografarli. Molto spesso, in maniera inaspettata e piacevole per i miei ospiti, il trovarsi di fronte ad un branco di impala o ad una famiglia di elefanti significa entrare per un attimo nella storia delle loro vite, negli intricati rapporti sociali e di parentela, trovarsi di fronte a comportamenti apparentemente privi di senso ma dettati da validissime motivazioni che mai ci saremmo aspettati in “caprette” in versione “wild”.
L’emozione dei primi incontri , con la fretta di avvistare tutto e subito, di fotografare meglio possibile, lascia poco spazio ad una analisi di cosa e perché stanno facendo e di chi rappresenta cosa nel branco o della situazione che abbiamo di fronte agli occhi. Quindi di solito durante i primi incontri mi limito a dare pochissime spiegazioni agli ospiti, lascio che sia l’incontro stesso a dettare le emozioni, che la vista si abitui alle forme nascoste dietro ai cespugli, e solo quando negli incontri successivi li vedo fotografare con più calma e prendersi il tempo di cominciare ad osservare anche con il binocolo, allora comincio a fare domande io agli ospiti, a chiedere perché quel maschio di impala se ne sta a margine del gruppo oppure se è maschio o femmina l’elefante più grosso di un branco….Non voglio certo valutare il grado di preparazione dei miei ospiti o capire quanti documentari abbiano visto prima di venire in safari, voglio semplicemente solleticargli la mente sul fatto che chi abbiamo di fronte non è solo un magnifico esemplare di uno dei tanti innumerevoli abitanti del bush, ma che è un elemento con un preciso ruolo nella vita dei suoi simili, con delle priorità , degli intenti, uno scopo e una funzione, che non se ne sta lì a far niente.
SEGUE
Osservare gli animali in safari non significa solamente avvistarli e fotografarli. Molto spesso, in maniera inaspettata e piacevole per i miei ospiti, il trovarsi di fronte ad un branco di impala o ad una famiglia di elefanti significa entrare per un attimo nella storia delle loro vite, negli intricati rapporti sociali e di parentela, trovarsi di fronte a comportamenti apparentemente privi di senso ma dettati da validissime motivazioni che mai ci saremmo aspettati in “caprette” in versione “wild”.
L’emozione dei primi incontri , con la fretta di avvistare tutto e subito, di fotografare meglio possibile, lascia poco spazio ad una analisi di cosa e perché stanno facendo e di chi rappresenta cosa nel branco o della situazione che abbiamo di fronte agli occhi. Quindi di solito durante i primi incontri mi limito a dare pochissime spiegazioni agli ospiti, lascio che sia l’incontro stesso a dettare le emozioni, che la vista si abitui alle forme nascoste dietro ai cespugli, e solo quando negli incontri successivi li vedo fotografare con più calma e prendersi il tempo di cominciare ad osservare anche con il binocolo, allora comincio a fare domande io agli ospiti, a chiedere perché quel maschio di impala se ne sta a margine del gruppo oppure se è maschio o femmina l’elefante più grosso di un branco….Non voglio certo valutare il grado di preparazione dei miei ospiti o capire quanti documentari abbiano visto prima di venire in safari, voglio semplicemente solleticargli la mente sul fatto che chi abbiamo di fronte non è solo un magnifico esemplare di uno dei tanti innumerevoli abitanti del bush, ma che è un elemento con un preciso ruolo nella vita dei suoi simili, con delle priorità , degli intenti, uno scopo e una funzione, che non se ne sta lì a far niente.
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fio- Sostenitore
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Re: Safari: i racconti di Camilla
...ma soprattutto che tutti i suoi comportamenti , molti comprensibili anche da noi, hanno una funzione ben precisa nel grande spazio del mondo selvaggio. Ha quindi una età, che varrebbe la pena valutare se possibile, ha una posizione sociale, che difende o dalla quale deve difendersi, gestisce un patrimonio, che può essere sotto forma di territorio o di femmine, ha delle speranze come allevare un figlio o assumere la guida di un gruppo e via dicendo …. All’improvviso l’animale di fronte a noi viene ad assumere una sembianza molto meno impersonale e veniamo tutti , per il breve attimo in cui siamo con lui, coinvolti nella sua vita. Non voglio certo umanizzare gli animali, i loro comportamenti non vanno mai ricondotti a quelli umani, così facendo si forzerebbero delle interpretazioni allontanandosi dal vero significato delle loro azioni, e dal momento che già i documentari troppo spesso “romanzano” alcune situazioni famigliari per fare più presa sul pubblico, non voglio cadere nello stesso errore e cerco di spiegare nel modo più coerente possibile quali siano i loro comportamenti. Ma nello spiegare questo, anno dopo anno, situazione dopo situazione, mi sono resa conto che in effetti molti comportamenti una volta analizzati ed osservati più e più volte trovano molte similitudini con i nostri. Quello che dovrebbe un momento di spiegazione scientifica molto spesso diventa così un momento divertentissimo in cui ognuno di noi si ritrova per un attimo nelle scornate dei due impala, nella ramanzina fatta da mamma elefantessa al piccolo disobbediente o nella spulciatura sociale dei babbuini.
Ed ecco che immancabilmente la simpatia dell’ospite single scapolo incallito va immediatamente al piccolo e giallo uccellino tessitore, il quale con pazienza certosina e capacità di abile artigiano e ingegnere tesse e tesse e continua a tessere filando un piccolissimo e perfetto nido sferico con una deliziosa entrata rivolta in modo che non entri il vento prevalente, spesso ne fa anche più di uno per dare più possibilità di scelta alla futura sposa e una volta osservato il lavoro e ritenutosi soddisfatto si mette in bella mostra sul nido mostrando orgoglioso il suo invidiabile colore giallo e la sua opera perfetta pronta ad ospitare la più dolce delle uccelline tessitrici. Ed ecco che spesso accade l’inaspettato….con fare deciso ed arrogante la dolce uccellina valuta il maschio , se lo ritiene all’altezza passa a valutare il nido , all’esterno, all’interno, lo visita con cura per vedere se davvero il pretendente sappia il fatto suo. Se dovesse trovarlo di suo gradimento acconsentirà a metter su casa con il maschio e vivranno felici e contenti con qualche ovetto da covare, ma se per qualche motivo l’opera architettonica del poverino non dovesse essere all’altezza dei gusti di lei, allora l’uccellina non solo se ne andrà a cercarsi un altro maschio più promettente ma prima di andarsene distruggerà il faticoso lavoro del tessitore, lasciandolo con la casa sfasciata e depresso nelle sue piume gialle. A questo punto qualcuno fa commenti, c’è chi arriva a tirare in ballo ex fidanzate e spesso le mogli pensano che sarebbe il caso di riproporre quei lavori in terrazzo che vengono sempre bocciati dal marito troppo poco interessato alla casa…..e a quel punto che dopo avere illustrato la vita dei simpatici volatili passo all’ultimo affondo assicurando ai miei ospiti che “..ovviamente c’è sempre un perché nei comportamenti degli animali, in questo caso è certo che le azioni della femmina , per quanto apparentemente non troppo gentili, servono a far si che nessun tessitore non abbastanza abile possa fare figli, in questo modo la natura si assicura una progenie di tessitori validi dal punto di vista architettonico….” Inutile dire che a questo punto il single incallito simpatizza in pieno con il poveretto piumato , ma in quanto umano arriva a sentirsi superiore al volatile che ancora è legato questo cerchio perverso di trovar moglie a tutti i costi e per un attimo le sue monoporzoni da scongelare al microonde non gli sembrano più poi così male…..! Diversa è invece la situazione quando trovandoci di fronte ad un branco di impala comincio a spiegare la struttura dell’harem. Un solo maschio dominante proprietario dell’intero branco di impala, unico maschio adulto del gruppo, nel branco sono presenti solo maschi cuccioli e le madri, tutte “mogli” dell’unico capo. A questo punto c’è sempre qualche uomo in auto che entra in sintonia col capobranco definendolo “beato lui” oppure “lui si che ha capito come si fa….!” , io allora lascio parlare, lascio che si gonfi tutto il maschilismo che la scena degli impala suggerisce e quando i miei interlocutori sembrano soddisfatti e osservano il fiero maschio in mezzo alle sue femmine allora svelo l’improbabile, e cioè che quello che sembrerebbe essere il gallo del pollaio in realtà è solo una povera antilope che deve fare un lavoro davvero duro, ovvero svolgere mansioni da cane da pastore, in quanto le femmine tendono a disperdersi rischiando di essere prese da branchi di altri maschi, e quindi gira e gira intorno al branco senza pace richiamando all’ordine le femmine più indisciplinate, deve inoltre cacciare lontano dal branco quei giovani maschietti adolescenti che vorrebbero rimanere nella tranquillità del branco insieme alle madri ma che ormai sono troppo cresciuti e troppo maschi per i suoi gusti, deve poi tenere lontani gli scapoli che continuamente si avvicinano alle femmine e quindi oltre che mantenere un’attenzione costante deve rincorrere e minacciare tali scapoli tutto il giorno, infine deve continuare a marcare il territorio durante i loro spostamenti e sorvegliare i dintorni in quanto responsabile della sicurezza del branco, e , cosa più difficile di tutte ,deve affrontare i maschi sfidanti che duellano con lui per rubargli il posto, e ovviamente in tutto questo appena ha un attimo di tempo deve accoppiarsi con le femmine in calore. In questo continuo lavoro durissimo il poveretto non ha praticamente tempo per nutrirsi e ruminare come dovrebbe e questo comporta una perdita di tono muscolare che nel giro di un paio di mesi solamente lo vedrà lasciare il posto ad un maschio più forte che lo ha battuto in duello. In tutto questo le femmine continuano a brucare pacifiche senza interessarsi del carosello di maschi che si alternano a capo dell’harem, consce del fatto che comunque in qualunque momento ci sarà sempre il maschio migliore a disposizione. I poveri maschi faticano per conquistare il posto di capo harem, faticano per le mansioni che a quel punto gli competono e dopo un brevissimo tempo se ne vanno sconfitti ed umiliati. Non un gran che per essere un “beato lui”….. Tutto questo è spiegabile perché in natura tutte le femmine sono preziose per procreare mentre di maschio ne basta uno ma buono, anzi più è feroce la selezione e peggiori le prove che deve affrontare e maggior sicurezza si ha che sia proprio lui a dover essere il padre della futura generazione. Questa spiegazione fa sempre torcere il naso a chi si proponeva per il fan club del capobranco, è un po’ come ammettere che sarebbe meglio un Brad Pitt per tutte , rapidamente sostituito da uno migliore quando non è più in tono….
Ma è quando ci troviamo a tu per tu con tutta una truppa di babbuini che le similitudini tra i nostri e i loro comportamenti saltano agli occhi di tutti. Le grida atterrite dei piccoli spaventati dalla nostra presenza e le madri che subito accorrono a prenderli e coccolarli fanno sorridere tutti ma è quando svelo qualche particolare sulla loro vita sociale che improvvisamente sembrano tanto simili a noi non solo per il modo di sedersi o di grattarsi la testa…. Il fatto che nella complicata scala gerarchica che governa le loro vite ci sia un “diritto di nascita” lascia piuttosto esterefatti i miei ospiti che improvvisamente si rendono conto che esistono favoritismi e rispetto acquisiti non sempre per merito quanto piuttosto per nascita da una femmina dominante. E così un figlio stupido e debole di una femmina dominante potrà essere più protetto e più in alto nella scala sociale rispetto a quello più sveglio e capace di una femmina di grado inferiore….fa riflettere…. E che dire del divertente spettacolo del momento del grooming , in cui tutti i babbuini si spulciano a vicenda con grande impegno dello spulciatore e grande soddisfazione dello spulciato…. Chi è di grado superiore si fa spulciare da uno di grado inferiore, le femmine spulciano i grandi maschi e tutti spulciano i piccoli, un vero e proprio ordine di spulciatura che peraltro assume più una funzione sociale che non igienica appunto… addirittura se un babbuino è molto più in alto nella scala gerarchica rispetto a chi vorrebbe spulciarlo potrebbe impedire a quest’ultimo di dedicarsi a lui, e a questo punto c’è sempre chi tra gli ospiti con aria pensosa riflette su chi in ufficio potrebbe spulciare e chi impedirgli di farsi spulciare da lui…..
E che dire delle liti tra cercopitechi , quando due clan di queste simpatiche scimmiette si incontrano su una linea di confine o se un gruppo sfida apertamente l’altro entrando nel suo territorio allora si scatenano delle faide terribili con litigi anche piuttosto violenti. In questi momenti di baruffa totale in cui tutti sono impegnati a litigare, spesso gli ultimi del branco, i reietti perché appena arrivati o deboli o colpevoli di qualche malefatta nel branco , spesso non partecipano alla lite ma nella confusione cercano di stringere i rapporti con i reietti dell’altra fazione , così che in caso di futura malaparata dalla loro parte possano sempre avere “amici” tra gli avversari tramite i quali magari essere introdotti nel nuovo branco….. chi non conosce qualcuno così…??...
Lasciando stare i primati,più simili a noi, anche l’osservazione del comportamento dei grandi felini fa spesso riflettere. Spesso nei documentari vediamo l’orribile uccisione dei piccoli di leone da parte di leoni maschi nuovi proprietari del branco. I nuovi arrivati uccidono tutti i piccoli leoncini per eliminare i figli degli sconfitti e mandare in calore nuovamente le femmine e sostituirli con la loro stessa progenie. Ogni cambio di proprietà del branco costituisce dunque un forte stress per le leonesse che hanno tutta la convenienza a far si che i leoni maschi attualmente capi le difendano al meglio dall’attacco di nuovi arrivati. In cambio di questa protezione le femmine cacciano spesso al posto dei maschi lasciandogli prendere la possibilità di mangiare per primi, ma fanno anche molto di più, qualcosa che sembra avere a che fare molto da vicino con una sorta di malizia femminile…..poichè i maschi per difenderle devono essere sempre presenti, è essenziale che mantengano sempre l’interesse nei confronti del branco, rimanendo il più possibile nei paraggi, e quale miglior modo di trattenerli se non col sesso?....di tutti i frequenti calori che presentano le leonesse , calori seguiti da qualche intera giornata col maschio con innumerevoli accoppiamenti, sembra che solo pochissimi siano veri calori seguiti da ovulazione, il più delle volte si tratta appunto di finti calori all’unico scopo di trattenere il maschio o i maschi nei paraggi mantenendo vivo l’interesse..un metodo molto ingegnoso inventato dalla natura…..non pensavamo mica di essere i soli a essere capaci di malizia…??
Che siano divertenti o meno, le similitudini tra il nostro comportamento e quello degli animali osservati in libertà, spesso fa riflettere, è una specie di specchio, nel quale possiamo vedere a che punto della nostra evoluzione siamo arrivati, in cosa non siamo cambiati per nulla e cosa dovremmo imparare da loro e fino a che punto siamo invece arrivati a essere davvero sapiens…(29/08/2009)
Ed ecco che immancabilmente la simpatia dell’ospite single scapolo incallito va immediatamente al piccolo e giallo uccellino tessitore, il quale con pazienza certosina e capacità di abile artigiano e ingegnere tesse e tesse e continua a tessere filando un piccolissimo e perfetto nido sferico con una deliziosa entrata rivolta in modo che non entri il vento prevalente, spesso ne fa anche più di uno per dare più possibilità di scelta alla futura sposa e una volta osservato il lavoro e ritenutosi soddisfatto si mette in bella mostra sul nido mostrando orgoglioso il suo invidiabile colore giallo e la sua opera perfetta pronta ad ospitare la più dolce delle uccelline tessitrici. Ed ecco che spesso accade l’inaspettato….con fare deciso ed arrogante la dolce uccellina valuta il maschio , se lo ritiene all’altezza passa a valutare il nido , all’esterno, all’interno, lo visita con cura per vedere se davvero il pretendente sappia il fatto suo. Se dovesse trovarlo di suo gradimento acconsentirà a metter su casa con il maschio e vivranno felici e contenti con qualche ovetto da covare, ma se per qualche motivo l’opera architettonica del poverino non dovesse essere all’altezza dei gusti di lei, allora l’uccellina non solo se ne andrà a cercarsi un altro maschio più promettente ma prima di andarsene distruggerà il faticoso lavoro del tessitore, lasciandolo con la casa sfasciata e depresso nelle sue piume gialle. A questo punto qualcuno fa commenti, c’è chi arriva a tirare in ballo ex fidanzate e spesso le mogli pensano che sarebbe il caso di riproporre quei lavori in terrazzo che vengono sempre bocciati dal marito troppo poco interessato alla casa…..e a quel punto che dopo avere illustrato la vita dei simpatici volatili passo all’ultimo affondo assicurando ai miei ospiti che “..ovviamente c’è sempre un perché nei comportamenti degli animali, in questo caso è certo che le azioni della femmina , per quanto apparentemente non troppo gentili, servono a far si che nessun tessitore non abbastanza abile possa fare figli, in questo modo la natura si assicura una progenie di tessitori validi dal punto di vista architettonico….” Inutile dire che a questo punto il single incallito simpatizza in pieno con il poveretto piumato , ma in quanto umano arriva a sentirsi superiore al volatile che ancora è legato questo cerchio perverso di trovar moglie a tutti i costi e per un attimo le sue monoporzoni da scongelare al microonde non gli sembrano più poi così male…..! Diversa è invece la situazione quando trovandoci di fronte ad un branco di impala comincio a spiegare la struttura dell’harem. Un solo maschio dominante proprietario dell’intero branco di impala, unico maschio adulto del gruppo, nel branco sono presenti solo maschi cuccioli e le madri, tutte “mogli” dell’unico capo. A questo punto c’è sempre qualche uomo in auto che entra in sintonia col capobranco definendolo “beato lui” oppure “lui si che ha capito come si fa….!” , io allora lascio parlare, lascio che si gonfi tutto il maschilismo che la scena degli impala suggerisce e quando i miei interlocutori sembrano soddisfatti e osservano il fiero maschio in mezzo alle sue femmine allora svelo l’improbabile, e cioè che quello che sembrerebbe essere il gallo del pollaio in realtà è solo una povera antilope che deve fare un lavoro davvero duro, ovvero svolgere mansioni da cane da pastore, in quanto le femmine tendono a disperdersi rischiando di essere prese da branchi di altri maschi, e quindi gira e gira intorno al branco senza pace richiamando all’ordine le femmine più indisciplinate, deve inoltre cacciare lontano dal branco quei giovani maschietti adolescenti che vorrebbero rimanere nella tranquillità del branco insieme alle madri ma che ormai sono troppo cresciuti e troppo maschi per i suoi gusti, deve poi tenere lontani gli scapoli che continuamente si avvicinano alle femmine e quindi oltre che mantenere un’attenzione costante deve rincorrere e minacciare tali scapoli tutto il giorno, infine deve continuare a marcare il territorio durante i loro spostamenti e sorvegliare i dintorni in quanto responsabile della sicurezza del branco, e , cosa più difficile di tutte ,deve affrontare i maschi sfidanti che duellano con lui per rubargli il posto, e ovviamente in tutto questo appena ha un attimo di tempo deve accoppiarsi con le femmine in calore. In questo continuo lavoro durissimo il poveretto non ha praticamente tempo per nutrirsi e ruminare come dovrebbe e questo comporta una perdita di tono muscolare che nel giro di un paio di mesi solamente lo vedrà lasciare il posto ad un maschio più forte che lo ha battuto in duello. In tutto questo le femmine continuano a brucare pacifiche senza interessarsi del carosello di maschi che si alternano a capo dell’harem, consce del fatto che comunque in qualunque momento ci sarà sempre il maschio migliore a disposizione. I poveri maschi faticano per conquistare il posto di capo harem, faticano per le mansioni che a quel punto gli competono e dopo un brevissimo tempo se ne vanno sconfitti ed umiliati. Non un gran che per essere un “beato lui”….. Tutto questo è spiegabile perché in natura tutte le femmine sono preziose per procreare mentre di maschio ne basta uno ma buono, anzi più è feroce la selezione e peggiori le prove che deve affrontare e maggior sicurezza si ha che sia proprio lui a dover essere il padre della futura generazione. Questa spiegazione fa sempre torcere il naso a chi si proponeva per il fan club del capobranco, è un po’ come ammettere che sarebbe meglio un Brad Pitt per tutte , rapidamente sostituito da uno migliore quando non è più in tono….
Ma è quando ci troviamo a tu per tu con tutta una truppa di babbuini che le similitudini tra i nostri e i loro comportamenti saltano agli occhi di tutti. Le grida atterrite dei piccoli spaventati dalla nostra presenza e le madri che subito accorrono a prenderli e coccolarli fanno sorridere tutti ma è quando svelo qualche particolare sulla loro vita sociale che improvvisamente sembrano tanto simili a noi non solo per il modo di sedersi o di grattarsi la testa…. Il fatto che nella complicata scala gerarchica che governa le loro vite ci sia un “diritto di nascita” lascia piuttosto esterefatti i miei ospiti che improvvisamente si rendono conto che esistono favoritismi e rispetto acquisiti non sempre per merito quanto piuttosto per nascita da una femmina dominante. E così un figlio stupido e debole di una femmina dominante potrà essere più protetto e più in alto nella scala sociale rispetto a quello più sveglio e capace di una femmina di grado inferiore….fa riflettere…. E che dire del divertente spettacolo del momento del grooming , in cui tutti i babbuini si spulciano a vicenda con grande impegno dello spulciatore e grande soddisfazione dello spulciato…. Chi è di grado superiore si fa spulciare da uno di grado inferiore, le femmine spulciano i grandi maschi e tutti spulciano i piccoli, un vero e proprio ordine di spulciatura che peraltro assume più una funzione sociale che non igienica appunto… addirittura se un babbuino è molto più in alto nella scala gerarchica rispetto a chi vorrebbe spulciarlo potrebbe impedire a quest’ultimo di dedicarsi a lui, e a questo punto c’è sempre chi tra gli ospiti con aria pensosa riflette su chi in ufficio potrebbe spulciare e chi impedirgli di farsi spulciare da lui…..
E che dire delle liti tra cercopitechi , quando due clan di queste simpatiche scimmiette si incontrano su una linea di confine o se un gruppo sfida apertamente l’altro entrando nel suo territorio allora si scatenano delle faide terribili con litigi anche piuttosto violenti. In questi momenti di baruffa totale in cui tutti sono impegnati a litigare, spesso gli ultimi del branco, i reietti perché appena arrivati o deboli o colpevoli di qualche malefatta nel branco , spesso non partecipano alla lite ma nella confusione cercano di stringere i rapporti con i reietti dell’altra fazione , così che in caso di futura malaparata dalla loro parte possano sempre avere “amici” tra gli avversari tramite i quali magari essere introdotti nel nuovo branco….. chi non conosce qualcuno così…??...
Lasciando stare i primati,più simili a noi, anche l’osservazione del comportamento dei grandi felini fa spesso riflettere. Spesso nei documentari vediamo l’orribile uccisione dei piccoli di leone da parte di leoni maschi nuovi proprietari del branco. I nuovi arrivati uccidono tutti i piccoli leoncini per eliminare i figli degli sconfitti e mandare in calore nuovamente le femmine e sostituirli con la loro stessa progenie. Ogni cambio di proprietà del branco costituisce dunque un forte stress per le leonesse che hanno tutta la convenienza a far si che i leoni maschi attualmente capi le difendano al meglio dall’attacco di nuovi arrivati. In cambio di questa protezione le femmine cacciano spesso al posto dei maschi lasciandogli prendere la possibilità di mangiare per primi, ma fanno anche molto di più, qualcosa che sembra avere a che fare molto da vicino con una sorta di malizia femminile…..poichè i maschi per difenderle devono essere sempre presenti, è essenziale che mantengano sempre l’interesse nei confronti del branco, rimanendo il più possibile nei paraggi, e quale miglior modo di trattenerli se non col sesso?....di tutti i frequenti calori che presentano le leonesse , calori seguiti da qualche intera giornata col maschio con innumerevoli accoppiamenti, sembra che solo pochissimi siano veri calori seguiti da ovulazione, il più delle volte si tratta appunto di finti calori all’unico scopo di trattenere il maschio o i maschi nei paraggi mantenendo vivo l’interesse..un metodo molto ingegnoso inventato dalla natura…..non pensavamo mica di essere i soli a essere capaci di malizia…??
Che siano divertenti o meno, le similitudini tra il nostro comportamento e quello degli animali osservati in libertà, spesso fa riflettere, è una specie di specchio, nel quale possiamo vedere a che punto della nostra evoluzione siamo arrivati, in cosa non siamo cambiati per nulla e cosa dovremmo imparare da loro e fino a che punto siamo invece arrivati a essere davvero sapiens…(29/08/2009)
Federica- ADMIN
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Racconti di Camilla 7 - Il senso dell'umorismo di un elefante
Racconti di Camilla 7 - Il senso dell'umorismo di un elefante
Tutti i safari che organizzo con partenza dalla costa del Kenya prevedono sempre come primo parco lo Tsavo Est. Questo perché oltre alla bellezza del parco , Tsavo si trova relativamente vicino ed è raggiungibile dalla famosa Malindi in soli 120 km di strada sterrata attraverso villaggi e campagne.
Quindi che si tratti un safari di due o di dodici giorni in ogni caso la prima notte che i miei ospiti passano in savana li vede alloggiati sulle rive del fiume Galana in un campo molto particolare ed esclusivo , dove il contatto con la natura è assoluto e dove, circondati dai paesaggi mozzafiato del Galana River, si può comodamente dal proprio letto osservare ippopotami in acqua o a volte anche elefanti che attraversano il fiume o che mangiano all’ombra delle palme dum lungo la riva. Le emozioni che si provano sono sempre forti e gli incontri con animali grandi e piccoli che spesso frequentano il campo sono sempre suggestivi.
Solitamente è affascinante anche l’incontro con le coloratissime e preistoriche agame, lucertole di grandi dimensioni che amano prendere il sole cacciando formiche lungo i muretti e sulle pietre nel campo, o spesso capita che una procavia o un cercopiteco prendano coraggio ed entrino di soppiatto nella zona pranzo per rubare un pezzetto di pane.
Fonte: www.malindikenya.net
Tutti i safari che organizzo con partenza dalla costa del Kenya prevedono sempre come primo parco lo Tsavo Est. Questo perché oltre alla bellezza del parco , Tsavo si trova relativamente vicino ed è raggiungibile dalla famosa Malindi in soli 120 km di strada sterrata attraverso villaggi e campagne.
Quindi che si tratti un safari di due o di dodici giorni in ogni caso la prima notte che i miei ospiti passano in savana li vede alloggiati sulle rive del fiume Galana in un campo molto particolare ed esclusivo , dove il contatto con la natura è assoluto e dove, circondati dai paesaggi mozzafiato del Galana River, si può comodamente dal proprio letto osservare ippopotami in acqua o a volte anche elefanti che attraversano il fiume o che mangiano all’ombra delle palme dum lungo la riva. Le emozioni che si provano sono sempre forti e gli incontri con animali grandi e piccoli che spesso frequentano il campo sono sempre suggestivi.
Solitamente è affascinante anche l’incontro con le coloratissime e preistoriche agame, lucertole di grandi dimensioni che amano prendere il sole cacciando formiche lungo i muretti e sulle pietre nel campo, o spesso capita che una procavia o un cercopiteco prendano coraggio ed entrino di soppiatto nella zona pranzo per rubare un pezzetto di pane.
Fonte: www.malindikenya.net
Federica- ADMIN
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Re: Safari: i racconti di Camilla
continuo...
Ma l’incontro unico che lascia affascinati ed increduli è sicuramente quello con Tusker. Tusker è un elefante. Un elefante che porta un nome, in quanto a differenza di altri animali che possono trovarsi casualmente all’interno del campo, Tusker invece frequenta abitualmente il campo. Non si tratta di un elefante attrazione, nulla a che vedere con gli elefanti asiatici che aspettano una banana data dai turisti all’entrata dell’hotel in Tahilandia e non è neppure un animale semi-addomesticato che si trova lì per compiacere gli ospiti del campo, nulla di tutto questo.
Tusker è lì semplicemente perché si trovava lì anche prima che costruissero il campo, semplicemente perché non ha ritenuto opportuno spostarsi solo perché degli esseri insignificanti quali gli uomini hanno deciso di accamparsi proprio in una delle sue anse favorite del fiume. Non è addomesticato, non è possibile accarezzarlo, avvicinarlo, e nemmeno spostarlo se decide di non farlo, un enorme e selvaggio elefante africano maschio di una quarantina di anni di età e di circa seimila chili di peso che sta lì perché gli va. Riposa all’ombra delle palme quando è caldo, mangia l’erba intorno alle tende , raccoglie e mangia i frutti dum caduti sui vialetti del campo, passeggia incurante all’interno del campo senza curarsi degli sguardi atterriti degli ospiti e delle acrobazie dei camerieri e inservienti del campo che devono spostarsi da un punto all’altro controllando che i vialetti siano liberi dal pachiderma e stando attenti a non essere sorpresi alle spalle da questa montagna di pelle rugosa e grigio-rossa apparentemente docile ma capace di distruggere un’autovettura o una capanna in un accesso d’ira.
E’ all’apparenza talmente docile e a suo agio che spesso non tutti gli ospiti comprendono che in realtà si tratta di un elefante realmente selvatico e non abituato a trattare con gli esseri umani ed in grado di caricare, tant’è che spesso gli attendenti del campo devono stare attenti a che gli ospiti non cerchino di avvicinarsi a lui o di interagire in alcun modo con lui.
Infatti , per quanto sia tranquillo, a volte è capitato che facesse letteralmente volare un inserviente del campo, come quando un cameriere ignaro si lavava le mani in un catino e non ha sentito l’elefante che , silenziosissimo, stava andando proprio lì incuriosito dall’acqua nel catino ed ha così semplicemente “spostato” il poveretto facendolo volare con una proboscidata…siamo quindi abituati alla sua presenza e sappiamo così di avvertire gli ospiti su come comportarsi e quando ci muoviamo all’interno del campo sappiamo di doverci aspettare di incontrarlo in un vialetto, di lasciargli il passo a debita distanza, in quanto a casa “sua” lui intende passare per primo e fare tutto ciò che gli va. E’ talmente abituale la sua presenza che appena arrivo al campo oltre alle domande su come va e se ha piovuto,la prima cosa che solitamente chiedo è “Tusker? È qua?” .
A volte non c’è, proprio perché è un animale libero che può fare ciò che vuole , spesso se ne va, per un giorno o per un mese, ogni tanto mi capita di incontrarlo nei paraggi durante i game drive, riesco a riconoscerlo perché oltre ad avere una enorme unica zanna, ha anche una particolare ciste sul fianco, ricordo forse di un combattimento con un altro maschio o di una ferita dovuta ai bracconieri. Ma quando piove Tusker se ne va per lunghi periodi, alle prime piogge diventa irascibile, pericoloso , spesso sembra caricare senza motivo e si deve girare molto alla larga quando è al campo e all’improvviso sparisce, per un mese o magari tre, si fa rivedere o non lo rifarà per lungo tempo, forse attraversa il fiume e se ne va dall’altra parte dell’altipiano a cercare nuovi pascoli, e ritornerà col ritornare del secco, ancora all’ombra delle palme dum del campo…. “Ma perché sta qui?” è la domanda che mi spento porre spesso dagli ospiti, e allora io rispondo che sta lì perché ci è sempre stato da prima che costruissero il campo, che probabilmente si trova a suo agio in quella parte di fiume e che………ma alla fine non mi spiego proprio nemmeno io perché voglia stare proprio lì, in mezzo agli umani , visti da tutti gli animali in savana come un pericolo, evitati quando possibile da tutti gli animali, elefanti compresi,umani sempre e comunque portatori di pericolo, confusione e distruttori della pace e del silenzio che regna ovunque lungo il fiume. Eppure i frutti delle palme dum sono tanto dolci al campo quanto quelli in altri punti del fiume, l’erba è la stessa anche cento metri più in là e l’ombra rinfresca al campo tanto quanto sull’altra riva del fiume…eppure l’enorme e vecchio elefante sta lì.
Una sera ero fuori dalla mia canadese picchettata ai margini del campo degli ospiti e lui era pochi metri avanti a me senza curarsi affatto della mia presenza, raccoglieva con la punta della proboscide e con pazienza certosina delle erbette tra i cespugli spinosi e io con altrettanta calma e pazienza piluccavo e assaporavo i miei cioccolatini (piccolo lusso da tenda che mi concedo la sera…) , potevamo considerarci a cena insieme e dunque gli chiesi a voce alta “Perché stai sempre qui?” , non che mi aspettassi una risposta, a dire il vero non credo nemmeno mi abbia sentita anche perché si girò in un fragore di rami rotti e si mise a piluccare un po’ più in là. Ma il perché rimane un mistero.
Non mi piace umanizzare gli animali, mi piace l’approccio che hanno studiosi e ricercatori che evitano il più possibile di antropomorfizzare i loro animali ed hanno sempre una risposta per tutto..ma nel caso degli elefanti anche i più specializzati etologi rimangono con dei punti interrogativi e delle domande non risposte, perché con gli elefanti, animali estremamente complessi e non ancora del tutto compresi, spesso cercare risposte equivale inevitabilmente ad umanizzare i loro comportamenti.
Ma poichè non sono una etologa non mi sembra troppo grave umanizzare un po’ il nostro gigante rugoso e anche perché effettivamente sembra essere l’unica risposta possibile, questa è la risposta che mi sono data : lui sta lì perché si diverte. Si diverte a guardare noi, ad interagire alla sua maniera con noi, a farci sentire piccoli e schiacciabili in casa sua, ad affermare il suo essere superiore e dotato di molto più buon senso di noi, al punto di tollerare esseri così stupidi e pericolosi come gli umani nella sua casa. Può un animale divertirsi senza giocare? Può un animale dimostrare curiosità fine a se stessa, non dettata da un bisogno o da una paura, può avere senso dell’umorismo? Non essendo una biologa che studia elefanti, cautamente e ignorantemente io rispondo di sì, almeno per quanto Tusker mi dimostra ogni volta che lo incontro al campo. Altrimenti non riuscirei a spiegarmi perché si trova a passare spesso nella zona dove rientrano le jeep dal game drive proprio nell’ora in cui gli ospiti rientrano, oppure prima della partenza fa diventare matti i drivers che vorrebbero prendere le auto parcheggiate ma lui proprio a quell’ora “casualmente” si trova lì a dormicchiare “parcheggiato” tra le vetture con occhio mezzo chiuso e mezzo aperto per guardare con aria di sufficienza i piccoli umani che si agitano per farlo spostare.....potrebbe passare davanti alla zona giorno in ogni momento della sua giornata e invece spesso lo fa all’ora di pranzo, quando tutti gli ospiti sono lì riuniti……e subito dopo il pranzo lo si ritrova spesso “casualmente” a bloccare il passaggio alle tende, non l’avrà forse capito da animale intelligente che è che dopo che gli uomini si sono ritrovati nella zona pranzo rientrano alle tende a quell’ora, ogni giorno…??.....eppure ogni giorno lui si fa vivo alla zona giorno dove tutti lo possono vedere e dopo pranzo blocca il passaggio alle tende, e poi passa a bloccare il parcheggio e così via……a volte sembra proprio che gli piaccia osservarci, è un po’ come se andasse allo zoo , solo che quello libero è lui e noi siamo sempre “in gabbia” sia si tratti della tenda o della jeep……
Non avevo mai osato ammettere questa mia sensazione finchè un giorno accompagnavo in safari una coppia di signori non più giovani che non potevano correre o spostarsi agilmente. Dopo pranzo rientravamo alle tende , faceva caldissimo ed il sole era a picco, volevo raggiungere quanto prima la tenda dei signori perché non si affaticassero ed ecco che arriva lui, si ferma sul vialetto e noi ci spostiamo sperando si tolga di mezzo. Normalmente lo fa. E infatti si spostò quel tanto che ci permettesse di passare in sicurezza a una decina di metri da lui, ripartimmo lentamente e lui zac…..tornò fuori in retromarcia nella stessa posizione di prima costringendoci a tornare indietro e rinasconderci da dove eravamo usciti.
Questo giochino andò avanti per parecchi tentativi, lui stava girato ma in realtà solo quel tanto che gli permettesse con l’occhio di seguire i nostri movimenti, non c’era alcun motivo per cui dovesse fare avanti e indietro sul vialetto, per lo più in retromarcia, niente ombra, niente cibo, nulla di nulla, non faceva niente, solo giocava a rimpiattino con noi, e sembrava divertito che ci spostassimo più lentamente del solito... Esasperata per questo giochino fatto a 35 gradi sotto un sole spietato dissi in swahili al ragazzo che ci accompagnava alle tende “..ma cosa fa oggi, sembra che si stia divertendo con noi!...” lui mi rispose serio “certo che si diverte, lo fa sempre anche con noi, si diverte un sacco a farci arrabbiare….” , bene , che possa essere vero o meno allora non sono l’unica che crede nel senso dell’umorismo di Tusker…!!!!
Ma l’incontro unico che lascia affascinati ed increduli è sicuramente quello con Tusker. Tusker è un elefante. Un elefante che porta un nome, in quanto a differenza di altri animali che possono trovarsi casualmente all’interno del campo, Tusker invece frequenta abitualmente il campo. Non si tratta di un elefante attrazione, nulla a che vedere con gli elefanti asiatici che aspettano una banana data dai turisti all’entrata dell’hotel in Tahilandia e non è neppure un animale semi-addomesticato che si trova lì per compiacere gli ospiti del campo, nulla di tutto questo.
Tusker è lì semplicemente perché si trovava lì anche prima che costruissero il campo, semplicemente perché non ha ritenuto opportuno spostarsi solo perché degli esseri insignificanti quali gli uomini hanno deciso di accamparsi proprio in una delle sue anse favorite del fiume. Non è addomesticato, non è possibile accarezzarlo, avvicinarlo, e nemmeno spostarlo se decide di non farlo, un enorme e selvaggio elefante africano maschio di una quarantina di anni di età e di circa seimila chili di peso che sta lì perché gli va. Riposa all’ombra delle palme quando è caldo, mangia l’erba intorno alle tende , raccoglie e mangia i frutti dum caduti sui vialetti del campo, passeggia incurante all’interno del campo senza curarsi degli sguardi atterriti degli ospiti e delle acrobazie dei camerieri e inservienti del campo che devono spostarsi da un punto all’altro controllando che i vialetti siano liberi dal pachiderma e stando attenti a non essere sorpresi alle spalle da questa montagna di pelle rugosa e grigio-rossa apparentemente docile ma capace di distruggere un’autovettura o una capanna in un accesso d’ira.
E’ all’apparenza talmente docile e a suo agio che spesso non tutti gli ospiti comprendono che in realtà si tratta di un elefante realmente selvatico e non abituato a trattare con gli esseri umani ed in grado di caricare, tant’è che spesso gli attendenti del campo devono stare attenti a che gli ospiti non cerchino di avvicinarsi a lui o di interagire in alcun modo con lui.
Infatti , per quanto sia tranquillo, a volte è capitato che facesse letteralmente volare un inserviente del campo, come quando un cameriere ignaro si lavava le mani in un catino e non ha sentito l’elefante che , silenziosissimo, stava andando proprio lì incuriosito dall’acqua nel catino ed ha così semplicemente “spostato” il poveretto facendolo volare con una proboscidata…siamo quindi abituati alla sua presenza e sappiamo così di avvertire gli ospiti su come comportarsi e quando ci muoviamo all’interno del campo sappiamo di doverci aspettare di incontrarlo in un vialetto, di lasciargli il passo a debita distanza, in quanto a casa “sua” lui intende passare per primo e fare tutto ciò che gli va. E’ talmente abituale la sua presenza che appena arrivo al campo oltre alle domande su come va e se ha piovuto,la prima cosa che solitamente chiedo è “Tusker? È qua?” .
A volte non c’è, proprio perché è un animale libero che può fare ciò che vuole , spesso se ne va, per un giorno o per un mese, ogni tanto mi capita di incontrarlo nei paraggi durante i game drive, riesco a riconoscerlo perché oltre ad avere una enorme unica zanna, ha anche una particolare ciste sul fianco, ricordo forse di un combattimento con un altro maschio o di una ferita dovuta ai bracconieri. Ma quando piove Tusker se ne va per lunghi periodi, alle prime piogge diventa irascibile, pericoloso , spesso sembra caricare senza motivo e si deve girare molto alla larga quando è al campo e all’improvviso sparisce, per un mese o magari tre, si fa rivedere o non lo rifarà per lungo tempo, forse attraversa il fiume e se ne va dall’altra parte dell’altipiano a cercare nuovi pascoli, e ritornerà col ritornare del secco, ancora all’ombra delle palme dum del campo…. “Ma perché sta qui?” è la domanda che mi spento porre spesso dagli ospiti, e allora io rispondo che sta lì perché ci è sempre stato da prima che costruissero il campo, che probabilmente si trova a suo agio in quella parte di fiume e che………ma alla fine non mi spiego proprio nemmeno io perché voglia stare proprio lì, in mezzo agli umani , visti da tutti gli animali in savana come un pericolo, evitati quando possibile da tutti gli animali, elefanti compresi,umani sempre e comunque portatori di pericolo, confusione e distruttori della pace e del silenzio che regna ovunque lungo il fiume. Eppure i frutti delle palme dum sono tanto dolci al campo quanto quelli in altri punti del fiume, l’erba è la stessa anche cento metri più in là e l’ombra rinfresca al campo tanto quanto sull’altra riva del fiume…eppure l’enorme e vecchio elefante sta lì.
Una sera ero fuori dalla mia canadese picchettata ai margini del campo degli ospiti e lui era pochi metri avanti a me senza curarsi affatto della mia presenza, raccoglieva con la punta della proboscide e con pazienza certosina delle erbette tra i cespugli spinosi e io con altrettanta calma e pazienza piluccavo e assaporavo i miei cioccolatini (piccolo lusso da tenda che mi concedo la sera…) , potevamo considerarci a cena insieme e dunque gli chiesi a voce alta “Perché stai sempre qui?” , non che mi aspettassi una risposta, a dire il vero non credo nemmeno mi abbia sentita anche perché si girò in un fragore di rami rotti e si mise a piluccare un po’ più in là. Ma il perché rimane un mistero.
Non mi piace umanizzare gli animali, mi piace l’approccio che hanno studiosi e ricercatori che evitano il più possibile di antropomorfizzare i loro animali ed hanno sempre una risposta per tutto..ma nel caso degli elefanti anche i più specializzati etologi rimangono con dei punti interrogativi e delle domande non risposte, perché con gli elefanti, animali estremamente complessi e non ancora del tutto compresi, spesso cercare risposte equivale inevitabilmente ad umanizzare i loro comportamenti.
Ma poichè non sono una etologa non mi sembra troppo grave umanizzare un po’ il nostro gigante rugoso e anche perché effettivamente sembra essere l’unica risposta possibile, questa è la risposta che mi sono data : lui sta lì perché si diverte. Si diverte a guardare noi, ad interagire alla sua maniera con noi, a farci sentire piccoli e schiacciabili in casa sua, ad affermare il suo essere superiore e dotato di molto più buon senso di noi, al punto di tollerare esseri così stupidi e pericolosi come gli umani nella sua casa. Può un animale divertirsi senza giocare? Può un animale dimostrare curiosità fine a se stessa, non dettata da un bisogno o da una paura, può avere senso dell’umorismo? Non essendo una biologa che studia elefanti, cautamente e ignorantemente io rispondo di sì, almeno per quanto Tusker mi dimostra ogni volta che lo incontro al campo. Altrimenti non riuscirei a spiegarmi perché si trova a passare spesso nella zona dove rientrano le jeep dal game drive proprio nell’ora in cui gli ospiti rientrano, oppure prima della partenza fa diventare matti i drivers che vorrebbero prendere le auto parcheggiate ma lui proprio a quell’ora “casualmente” si trova lì a dormicchiare “parcheggiato” tra le vetture con occhio mezzo chiuso e mezzo aperto per guardare con aria di sufficienza i piccoli umani che si agitano per farlo spostare.....potrebbe passare davanti alla zona giorno in ogni momento della sua giornata e invece spesso lo fa all’ora di pranzo, quando tutti gli ospiti sono lì riuniti……e subito dopo il pranzo lo si ritrova spesso “casualmente” a bloccare il passaggio alle tende, non l’avrà forse capito da animale intelligente che è che dopo che gli uomini si sono ritrovati nella zona pranzo rientrano alle tende a quell’ora, ogni giorno…??.....eppure ogni giorno lui si fa vivo alla zona giorno dove tutti lo possono vedere e dopo pranzo blocca il passaggio alle tende, e poi passa a bloccare il parcheggio e così via……a volte sembra proprio che gli piaccia osservarci, è un po’ come se andasse allo zoo , solo che quello libero è lui e noi siamo sempre “in gabbia” sia si tratti della tenda o della jeep……
Non avevo mai osato ammettere questa mia sensazione finchè un giorno accompagnavo in safari una coppia di signori non più giovani che non potevano correre o spostarsi agilmente. Dopo pranzo rientravamo alle tende , faceva caldissimo ed il sole era a picco, volevo raggiungere quanto prima la tenda dei signori perché non si affaticassero ed ecco che arriva lui, si ferma sul vialetto e noi ci spostiamo sperando si tolga di mezzo. Normalmente lo fa. E infatti si spostò quel tanto che ci permettesse di passare in sicurezza a una decina di metri da lui, ripartimmo lentamente e lui zac…..tornò fuori in retromarcia nella stessa posizione di prima costringendoci a tornare indietro e rinasconderci da dove eravamo usciti.
Questo giochino andò avanti per parecchi tentativi, lui stava girato ma in realtà solo quel tanto che gli permettesse con l’occhio di seguire i nostri movimenti, non c’era alcun motivo per cui dovesse fare avanti e indietro sul vialetto, per lo più in retromarcia, niente ombra, niente cibo, nulla di nulla, non faceva niente, solo giocava a rimpiattino con noi, e sembrava divertito che ci spostassimo più lentamente del solito... Esasperata per questo giochino fatto a 35 gradi sotto un sole spietato dissi in swahili al ragazzo che ci accompagnava alle tende “..ma cosa fa oggi, sembra che si stia divertendo con noi!...” lui mi rispose serio “certo che si diverte, lo fa sempre anche con noi, si diverte un sacco a farci arrabbiare….” , bene , che possa essere vero o meno allora non sono l’unica che crede nel senso dell’umorismo di Tusker…!!!!
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Ottavo racconto di Camilla: "Fotografare in safari"
Ottavo racconto di Camilla di Bush Company: "Fotografare in safari"
Fino agli anni 70’ per safari in Africa si intendeva un safari di caccia. Caccia grossa, con i big five protagonisti: leone, elefante, bufalo, leopardo e rinoceronte. Gli scritti di Hemingway e film con l’immancabile white hunter bello e burbero e la bionda di turno in abiti kakhi hanno contribuito a creare il mito.
Dagli anni 80’ circa in avanti l’Africa si è aperta ad un turismo più accessibile anche ai normali viaggiatori e non solo ai cacciatori, anzi, molti paesi , come il Kenya, hanno chiuso la caccia grossa concentrandosi sulla conservazione mediante la creazione di parchi nazionali e riserve che hanno cominciato ad attrarre sempre di più visitatori armati di fotocamere invece dei fucili.
Il safari, parola swahili che significa semplicemente “viaggio” , è diventato così safari fotografico.
Oggi la preda più ambita non è più il bufalo dal maestoso trofeo o il kudu dalle meravigliose corna a spirale. La preda oggi è il momento, lo scatto rubato, l’animale congelato nell’attimo che diventa eterno di uno scatto, non si misura più la lunghezza di corna o la bellezza di un mantello, si misura la luce, l’esposizione e soprattutto l’attimo, l’inquadratura perfetta che tramite la sensibilità di chi scatta trasforma il semplice leone in una sfinge nel sole del pomeriggio, un elefante in carica in un’emozione di adrenalina percepibile da chiunque veda la foto. L’abilità del fotografare in savana diventa abilità di condividere, con chi in Africa non è, le stesse sensazioni di chi invece ci è nel momento in cui scatta. Fare sentire il caldo e tutta l’aridità di una vasta area condensandole in una acacia senza foglie, isolata in un mare di terra rossa, fare sentire il brivido nella polvere dietro la quale avanza minaccioso un elefante, rappresentare un popolo attraverso occhi che guardano un obiettivo.
Questo è quello che hanno sempre fatto i più abili fotografi. I turisti si sono sempre limitati a scattare fotografie con compatte macchine fotografiche riportando a casa una serie di monotonissime fotografie di bush che venivano indicate ad amici e parenti annoiati con un “laggiù quel puntino era un ghepardo….ehh…..si…..si si sembra più lontano in foto…..ehm….se guardi bene però si vede la sagoma dietro il cespuglio….”, ma questo avveniva fino a pochissimo tempo fa….
Oggi, con l’evoluzione della fotografia digitale, la possibilità di dedicarsi alla fotografia in safari permette di raggiungere risultati semi professionali , e permette di rendere il safari una vera e propria caccia , senza animali abbattuti ma “presi” in scatti che spesso possono essere come quelli che un tempo si potevano vedere solo sulle riviste specializzate. Non sto certo parlando delle piccole fotocamere digitali compatte con zoom digitali esagerati , che per quanto potenti daranno sempre una immagine non nitida e comunque “piatta” rispetto alle vecchie reflex.
Sto parlando delle nuovissime reflex digitali, gioielli che stanno dilagando anche tra i fotografi professionisti e che stanno facendo presa anche su chi voleva rimenere fedele a tutti i costi alla “fotografia tradizionale”. La possibilità di vedere nell’immediato il risultato e ripeterlo utilizzando diversi parametri permette di imparare velocemente ad utilizzare le svariate funzioni di una reflex, la possibilità di utilizzare obiettivi delle vecchie reflex non digitali sui nuovi corpi macchina permette di potersi “armare” di un buon apparato da safari senza dover spendere follie o cambiare tutta la attrezzatura. Sia io che,sempre più spesso, anche i miei ospiti, in safari siamo armati di tali fotocamere e devo dire che i risultati spesso sono strabilianti.
Certamente non basta avere l’attrezzatura giusta, ci vuole la capacità di usarla ma soprattutto la capacità di trovare il momento. Gli animali non sono in posa e le situazioni più particolari non sono facili da trovare. Dopo anni di safari mi sono resa conto che gli scatti migliori non sono quelli in situazioni particolari come cacce o nascite ma sono quelli indovinati nelle situazioni più normali, dove un dettaglio, o più dettagli , hanno fatto la differenza. E’ difficile resistere alla tentazione di scattare la banale e piatta foto al leone che attraversa la pista, ed altrettanto difficile capire l’attimo per trasformare la foto di un martin pescatore in uno scintillio di colori e gocce d’acqua. La fortuna e la pazienza sono le due chiavi per un safari ben riuscito, sia per chi vuole scattare foto che per chi vuole semplicemente osservare gli animali.
In ogni caso alcuni consigli ed alcune soluzioni possono fare la differenza , eccone alcuni che spero possano venirvi utili nei vostri prossimi safari (ovviamente con Bush Company !) : a prescindere dal tipo di attrezzatura che state utilizzando , che si tratti di un ultimo modello di reflex con uno zoom potente e stabilizzato o che stiate utilizzando una usa e getta, la composizione dell’inquadratura è fondamentale. Spesso gli animali non sono vicini e non si trovano dove noi vorremmo che stessero per la nostra foto, a meno che non abbiamo la possibilità di fotografarlo in primo piano, per vicinanza del soggetto o con uno zoom superiore a 300mm, è meglio lasciarlo dov’è, meglio non cercare di avvicinarlo né tanto meno di centrarlo nella foto, meglio metterlo in un angolo in basso dell’inquadratura, che verrà composta dando la prevalenza al paesaggio circostante al nostro animale, che si troverà ospitato nella foto e acquisirà valore lui stesso, diventando un prezioso dettaglio della foto stessa. Averlo centrato nell’inquadratura da troppo lontano lo avrebbe reso il protagonista della foto, ma troppo lontano e sminuito al punto che avrebbe fatto dire a chi guardasse la foto “peccato che era così lontano eh??”….
Una volta stabilito che il soggetto deve essere parte della foto e non l’oggetto della foto, fate attenzione che nel lasciarlo in un angolo esso sia rivolto , se di profilo o nel suo movimento e azione, verso il centro della foto stessa. Altrimenti darà una sgradevole senzazione di volere “uscire” dalla foto o di essere lì per sbaglio.
Nel caso in cui , senza nessun animale in scena, volessimo raffigurare un paesaggio, per quanto non si debbano seguire regole ma la propria sensibilità e fantasia , la regola dei 2/3 non può essere disobbedita. Di deve decidere, o quasi tutto cielo o quasi tutta terra. Mai lasciare la linea dell’orizzonte a metà della foto, una regola semplicissima che se rispettata darà una sensazione di spazio e di grandezza molto superiori alla vostra immagine . Una specie di effetto 16:9 senza avere variato le proporzioni della fotografia.
Se abbiamo la fortuna di avere fra le mani un ottimo zoom , o se l’animale è davvero vicino a noi, allora possiamo dedicarci ad un primo piano,ma perché la povera giraffa non sembri in posa per la foto del suo passaporto sarebbe meglio però concentrarci su un dettaglio, il mantello, un occhio , un muso che bruca, o parte della testa in base alla situazione e luce.
In Africa durante i safari il più delle volte c’è sempre talmente tanta luce che il rischio di mosso non è elevato a meno di usare obiettivi potenti non stabilizzati o di fotografare in movimento. A volte può essere una buona idea sfruttare il movimento del soggetto per creare una immagine volutamente mossa nella direzione del movimento per ottenere un effetto artistico se la situazione lo permette.
In ogni caso un sacchetto pieno di fagioli o sabbia da utilizzare al posto del treppiede per appoggiare la fotocamera sul finestrino o tetto del mezzo rappresenta la scelta ideale per evitare il mosso.
E’ consigliabile avere un po’ di dimestichezza con il bilanciamento della esposizione se si vuole evitare di rovinare situazioni fotograficamente molto belle.
In safari data la luce ed il mimetismo degli animali spesso può capitare di dovere fare parecchi scatti su un soggetto prima di trovare le impostazioni giuste per avere una buona foto. Il classico leopardo su un ramo , mimetizzato su un ramo scuro contro uno sfondo di cielo luminosissimo mette a dura prova qualunque fotografo. Gli uccelli posati su un ramo sotto la luce diretta del sole potrebbero risultare estremamente scuri se non fotografati con le corrette impostazioni.
A meno che di essere esperti al punto di fotografare in formato raw e dedicarsi successivamente su pc alle impostazioni della foto, il mio consiglio è di tenere durante il safari un bilanciamento del bianco spostato leggermente sul caldo, otterrete colori più aranciati che meglio si prestano a rappresentare i colori della savana.
Il consiglio per chi intende effettuare un safari con l’attrezzatura fotografica ideale è quello di procurarsi un buon corpo macchina reflex digitale, uno obiettivo grandangolo come un 26-50mm e avere uno zoom di almeno 300mm. Per chi intende spendere un po’ di più e portarsi appresso più peso e impiccio , i risultati ottenibili con zoom oltre i 400mm stabilizzati sono impagabili, soprattutto con situazioni di luce più debole e con lunghezze focali maggiori.
L’utilizzo di un polarizzatore potrebbe fare la differenza in molte situazioni, l’immenso cielo africano con le sue nuvole basse può rappresentare da solo un soggetto fantastico, e i cambiamenti meteo improvvisi potrebbero rappresentare ottime occasioni per foto uniche.
Da non dimenticare mai di chiedere sempre il permesso prima di fotografare persone durante i vostri viaggi e anche durante un safari.
Il safari è polvere, per quanto ad esempio noi di Bush Company effettuiamo safari con un solo mezzo per volta e non ci muoviamo in convogli polverosi, il rischio che la polvere si insinui fino all’interno della fotocamera e degli obiettivi è comunque elevato. Una ottima protezione è rappresentata dal semplicissimo domopack avvolto attorno alla macchina fotografica oppure anche la carta trasparente usata dai dentisti per proteggere gli strumenti sterili, nonostante queste precauzioni la sera in tenda è sempre meglio dedicarsi alla pulizia dell’apparecchio.
In safari portarsi tante, tante schede di memoria, quello che normalmente vedo fare ai miei ospiti (non fotografi professionisti ma normali turisti) è una media di circa 200 foto al giorno. Tante foto, che poi andranno selezionate ed eliminate senza pietà con calma a casa per mantenere solo gli scatti migliori, da vedere e riguardare sognando il prossimo safari in Kenya..
FONTE: Malindikenya
Fino agli anni 70’ per safari in Africa si intendeva un safari di caccia. Caccia grossa, con i big five protagonisti: leone, elefante, bufalo, leopardo e rinoceronte. Gli scritti di Hemingway e film con l’immancabile white hunter bello e burbero e la bionda di turno in abiti kakhi hanno contribuito a creare il mito.
Dagli anni 80’ circa in avanti l’Africa si è aperta ad un turismo più accessibile anche ai normali viaggiatori e non solo ai cacciatori, anzi, molti paesi , come il Kenya, hanno chiuso la caccia grossa concentrandosi sulla conservazione mediante la creazione di parchi nazionali e riserve che hanno cominciato ad attrarre sempre di più visitatori armati di fotocamere invece dei fucili.
Il safari, parola swahili che significa semplicemente “viaggio” , è diventato così safari fotografico.
Oggi la preda più ambita non è più il bufalo dal maestoso trofeo o il kudu dalle meravigliose corna a spirale. La preda oggi è il momento, lo scatto rubato, l’animale congelato nell’attimo che diventa eterno di uno scatto, non si misura più la lunghezza di corna o la bellezza di un mantello, si misura la luce, l’esposizione e soprattutto l’attimo, l’inquadratura perfetta che tramite la sensibilità di chi scatta trasforma il semplice leone in una sfinge nel sole del pomeriggio, un elefante in carica in un’emozione di adrenalina percepibile da chiunque veda la foto. L’abilità del fotografare in savana diventa abilità di condividere, con chi in Africa non è, le stesse sensazioni di chi invece ci è nel momento in cui scatta. Fare sentire il caldo e tutta l’aridità di una vasta area condensandole in una acacia senza foglie, isolata in un mare di terra rossa, fare sentire il brivido nella polvere dietro la quale avanza minaccioso un elefante, rappresentare un popolo attraverso occhi che guardano un obiettivo.
Questo è quello che hanno sempre fatto i più abili fotografi. I turisti si sono sempre limitati a scattare fotografie con compatte macchine fotografiche riportando a casa una serie di monotonissime fotografie di bush che venivano indicate ad amici e parenti annoiati con un “laggiù quel puntino era un ghepardo….ehh…..si…..si si sembra più lontano in foto…..ehm….se guardi bene però si vede la sagoma dietro il cespuglio….”, ma questo avveniva fino a pochissimo tempo fa….
Oggi, con l’evoluzione della fotografia digitale, la possibilità di dedicarsi alla fotografia in safari permette di raggiungere risultati semi professionali , e permette di rendere il safari una vera e propria caccia , senza animali abbattuti ma “presi” in scatti che spesso possono essere come quelli che un tempo si potevano vedere solo sulle riviste specializzate. Non sto certo parlando delle piccole fotocamere digitali compatte con zoom digitali esagerati , che per quanto potenti daranno sempre una immagine non nitida e comunque “piatta” rispetto alle vecchie reflex.
Sto parlando delle nuovissime reflex digitali, gioielli che stanno dilagando anche tra i fotografi professionisti e che stanno facendo presa anche su chi voleva rimenere fedele a tutti i costi alla “fotografia tradizionale”. La possibilità di vedere nell’immediato il risultato e ripeterlo utilizzando diversi parametri permette di imparare velocemente ad utilizzare le svariate funzioni di una reflex, la possibilità di utilizzare obiettivi delle vecchie reflex non digitali sui nuovi corpi macchina permette di potersi “armare” di un buon apparato da safari senza dover spendere follie o cambiare tutta la attrezzatura. Sia io che,sempre più spesso, anche i miei ospiti, in safari siamo armati di tali fotocamere e devo dire che i risultati spesso sono strabilianti.
Certamente non basta avere l’attrezzatura giusta, ci vuole la capacità di usarla ma soprattutto la capacità di trovare il momento. Gli animali non sono in posa e le situazioni più particolari non sono facili da trovare. Dopo anni di safari mi sono resa conto che gli scatti migliori non sono quelli in situazioni particolari come cacce o nascite ma sono quelli indovinati nelle situazioni più normali, dove un dettaglio, o più dettagli , hanno fatto la differenza. E’ difficile resistere alla tentazione di scattare la banale e piatta foto al leone che attraversa la pista, ed altrettanto difficile capire l’attimo per trasformare la foto di un martin pescatore in uno scintillio di colori e gocce d’acqua. La fortuna e la pazienza sono le due chiavi per un safari ben riuscito, sia per chi vuole scattare foto che per chi vuole semplicemente osservare gli animali.
In ogni caso alcuni consigli ed alcune soluzioni possono fare la differenza , eccone alcuni che spero possano venirvi utili nei vostri prossimi safari (ovviamente con Bush Company !) : a prescindere dal tipo di attrezzatura che state utilizzando , che si tratti di un ultimo modello di reflex con uno zoom potente e stabilizzato o che stiate utilizzando una usa e getta, la composizione dell’inquadratura è fondamentale. Spesso gli animali non sono vicini e non si trovano dove noi vorremmo che stessero per la nostra foto, a meno che non abbiamo la possibilità di fotografarlo in primo piano, per vicinanza del soggetto o con uno zoom superiore a 300mm, è meglio lasciarlo dov’è, meglio non cercare di avvicinarlo né tanto meno di centrarlo nella foto, meglio metterlo in un angolo in basso dell’inquadratura, che verrà composta dando la prevalenza al paesaggio circostante al nostro animale, che si troverà ospitato nella foto e acquisirà valore lui stesso, diventando un prezioso dettaglio della foto stessa. Averlo centrato nell’inquadratura da troppo lontano lo avrebbe reso il protagonista della foto, ma troppo lontano e sminuito al punto che avrebbe fatto dire a chi guardasse la foto “peccato che era così lontano eh??”….
Una volta stabilito che il soggetto deve essere parte della foto e non l’oggetto della foto, fate attenzione che nel lasciarlo in un angolo esso sia rivolto , se di profilo o nel suo movimento e azione, verso il centro della foto stessa. Altrimenti darà una sgradevole senzazione di volere “uscire” dalla foto o di essere lì per sbaglio.
Nel caso in cui , senza nessun animale in scena, volessimo raffigurare un paesaggio, per quanto non si debbano seguire regole ma la propria sensibilità e fantasia , la regola dei 2/3 non può essere disobbedita. Di deve decidere, o quasi tutto cielo o quasi tutta terra. Mai lasciare la linea dell’orizzonte a metà della foto, una regola semplicissima che se rispettata darà una sensazione di spazio e di grandezza molto superiori alla vostra immagine . Una specie di effetto 16:9 senza avere variato le proporzioni della fotografia.
Se abbiamo la fortuna di avere fra le mani un ottimo zoom , o se l’animale è davvero vicino a noi, allora possiamo dedicarci ad un primo piano,ma perché la povera giraffa non sembri in posa per la foto del suo passaporto sarebbe meglio però concentrarci su un dettaglio, il mantello, un occhio , un muso che bruca, o parte della testa in base alla situazione e luce.
In Africa durante i safari il più delle volte c’è sempre talmente tanta luce che il rischio di mosso non è elevato a meno di usare obiettivi potenti non stabilizzati o di fotografare in movimento. A volte può essere una buona idea sfruttare il movimento del soggetto per creare una immagine volutamente mossa nella direzione del movimento per ottenere un effetto artistico se la situazione lo permette.
In ogni caso un sacchetto pieno di fagioli o sabbia da utilizzare al posto del treppiede per appoggiare la fotocamera sul finestrino o tetto del mezzo rappresenta la scelta ideale per evitare il mosso.
E’ consigliabile avere un po’ di dimestichezza con il bilanciamento della esposizione se si vuole evitare di rovinare situazioni fotograficamente molto belle.
In safari data la luce ed il mimetismo degli animali spesso può capitare di dovere fare parecchi scatti su un soggetto prima di trovare le impostazioni giuste per avere una buona foto. Il classico leopardo su un ramo , mimetizzato su un ramo scuro contro uno sfondo di cielo luminosissimo mette a dura prova qualunque fotografo. Gli uccelli posati su un ramo sotto la luce diretta del sole potrebbero risultare estremamente scuri se non fotografati con le corrette impostazioni.
A meno che di essere esperti al punto di fotografare in formato raw e dedicarsi successivamente su pc alle impostazioni della foto, il mio consiglio è di tenere durante il safari un bilanciamento del bianco spostato leggermente sul caldo, otterrete colori più aranciati che meglio si prestano a rappresentare i colori della savana.
Il consiglio per chi intende effettuare un safari con l’attrezzatura fotografica ideale è quello di procurarsi un buon corpo macchina reflex digitale, uno obiettivo grandangolo come un 26-50mm e avere uno zoom di almeno 300mm. Per chi intende spendere un po’ di più e portarsi appresso più peso e impiccio , i risultati ottenibili con zoom oltre i 400mm stabilizzati sono impagabili, soprattutto con situazioni di luce più debole e con lunghezze focali maggiori.
L’utilizzo di un polarizzatore potrebbe fare la differenza in molte situazioni, l’immenso cielo africano con le sue nuvole basse può rappresentare da solo un soggetto fantastico, e i cambiamenti meteo improvvisi potrebbero rappresentare ottime occasioni per foto uniche.
Da non dimenticare mai di chiedere sempre il permesso prima di fotografare persone durante i vostri viaggi e anche durante un safari.
Il safari è polvere, per quanto ad esempio noi di Bush Company effettuiamo safari con un solo mezzo per volta e non ci muoviamo in convogli polverosi, il rischio che la polvere si insinui fino all’interno della fotocamera e degli obiettivi è comunque elevato. Una ottima protezione è rappresentata dal semplicissimo domopack avvolto attorno alla macchina fotografica oppure anche la carta trasparente usata dai dentisti per proteggere gli strumenti sterili, nonostante queste precauzioni la sera in tenda è sempre meglio dedicarsi alla pulizia dell’apparecchio.
In safari portarsi tante, tante schede di memoria, quello che normalmente vedo fare ai miei ospiti (non fotografi professionisti ma normali turisti) è una media di circa 200 foto al giorno. Tante foto, che poi andranno selezionate ed eliminate senza pietà con calma a casa per mantenere solo gli scatti migliori, da vedere e riguardare sognando il prossimo safari in Kenya..
FONTE: Malindikenya
fio- Sostenitore
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Racconti di Camilla - La danza delle giraffe
Racconti di Camilla - La danza delle giraffe
C’è un momento nel bush in cui tutto sembra fermarsi. E’ il momento in cui gli animali si fermano, chi può all’ombra, chi a dormire e chi a ruminare, ma tutti approfittano delle ore più calde del giorno per riposare e ridurre al minimo le attività.
Anche noi ci fermiamo allora, dopo il game drive ci rintaniamo nei campi tendati dove dopo il pranzo rimaniamo in relax osservando il lento scorrere del fiume, o gli ippopotami che sonnecchiano.
Mentre ci stavamo dirigendo verso il campo per il nostro pranzo e la nostra pausa, improvvisamente notammo un movimento vicino ad un gruppetto di palme dum. “Le giraffe, guardate là, stanno facendo una danza d’amore!!!” esclamò un ospite, io fermai la macchina e in silenzio e col binocolo in mano , mentre osservavamo le due giraffe , spiegai ai miei ospiti che in realtà si trattava di qualcosa di molto più cruento e decisamente meno dolce di una danza d’amore.
Le due giraffe stavano come appoggiate una contro l’altra e sembravano dondolare dolcemente e incrociare i colli in sinuose figure. Apparentemente sembrava proprio una lentissima danza, un rituale dondolare…..quello che invece non si vedeva ma che si poteva intuire dopo una attenta osservazione era che in realtà le due giraffe stavano spingendosi con forza cercando di sbilanciare l’altra, e l’intrecciarsi dei colli altro non era che evitare che il collo dell’altra potesse arcuarsi ed allontanarsi per prendere forza e slancio per un colpo.
Una era più anziana, lo si poteva capire dal colore scurito del corpo e la testa schiarita per l’età e dai prominenti finti corni, delle protuberanze ossee che sviluppano i maschi in modo sempre più marcato con l’età, fino ad averne tre o addirittura anche quattro, sulla fronte tra gli occhi, questi finti corni servono al maschio come ulteriori “armi” oltre alle vere corna (che possiedono peraltro anche le femmine).
Arcuando il collo e rovesciando la testa contro il fianco o il collo dell’avversario la giraffa può così infliggergli poderosi colpi, ma quello che ai nostri occhi appariva strano era l’estrema lentezza con cui tutto questo avveniva.
La giraffa, così elegante , lenta e compassata, sembra non voler perdere la sua regale inalterabilità nemmeno quando combatte….e quello cui stavamo assistendo era dunque un vero e proprio incontro di boxe al rallentatore.
E come appunto accade durante gli incontri di boxe i due contendenti si appoggiavano uno all’altro, fianco contro fianco , al duplice scopo di spingere l’avversario e di sostenersi mentre si studiavano, abbassando e rialzando insieme i lunghissimi colli , intrecciandoli e alla prima mossa sbagliata dell’altra infliggendo un colpo sordo e potente, talmente lento che sembrava più rituale che reale , ma la forza di tali colpi era tale che quella che li riceveva veniva sbilanciata sulle zampe.
La posta in gioco di questo scontro erano le femmine, ce n’erano tre, a poca distanza dai contendenti, che totalmente disinteressate all’incontro tra i due continuavano a piluccare le foglie sulle Acacie Tortilis.
E’ inevitabile che tali combattimenti vengano scambiati spesso per “danze” o per una forma di corteggiamento, e l’immagine della giraffa, così elegante, sinuosa e dalle lunghissime ciglia fa sempre ed ingenuamente pensare ad una figura femminile, al punto tale che fa strano pensare ad un “giraffo” , e tanto meno è facile immaginare un cruento combattimento tra due maschi di giraffe. Conoscere il mondo animale e soprattutto avere la possibilità di effettuare un safari con guide , che possono spiegare anche comportamenti non sempre decifrabili , svela un intero mondo che va al di là dell’immagine che normalmente abbiamo di certi animali, rivelandoci i lati nascosti e volte inimmaginabili anche dei più conosciuti e familiari mammiferi.
FACTS FILE
- In Kenya esistono otto sottospecie diverse di giraffe, distinte in base al diverso disegno del mantello. Il mantello più irregolare è quello della giraffa Masai , le cui macchie scure su fondo chiaro hanno una forma a fiore dentellato, mentre il mantello della giraffa Reticolata rappresenta l’altro estremo con il più regolare dei disegni, praticamente un reticolo chiaro ad angoli retti su un fondo scuro. Le varie sottospecie si incrociano tra loro dando vita a molte variabili e rendendo difficile il poterle sempre distinguere come appartenenti ad una sottospecie piuttosto che ad una altra.
- La lingua della giraffa è lunga 45 cm ed insieme alla particolare articolazione alla base del collo che le permette di posizionare la testa in verticale aiuta l’animale a raggiungere le foglie sui rami più alti.La lingua è ricoperta da papille cornee che la proteggono dalle affilate spine presenti sui rami delle acacie dove è solita brucare le foglie.
- Le ciglia della giraffa sono lunghissime e le conferiscono questo aspetto dolce e sognante, in realtà sono una arma di difesa contro le spine delle acacie, e le permettono così di sentire le spine prima che possano ferire gli occhi.
- Una giraffa maschio raggiunge l’altezza di 5, 5 m, questo significa che messa davanti ad una casa a due piani potrebbe tranquillamente guardare nella finestra del piano superiore.
- Per quanto la giraffa sappia difendersi efficacemente dai predatori sferrando poderosi calci, i piccoli di giraffa subiscono una fortissima predazione da parte di iene e leoni, con un tasso di sopravvivenza solo del 40-60%.
- La giraffa dispone di solo due tipi diversi di andature, l’ambio e un galoppo “al rallentatore”. Le zampe infatti, così lunghe e vicine, non possono affrontare andature “diagonali” quali il passo ed il trotto, dunque la giraffa (come il cammello) cammina spostando contemporaneamente entrambe le zampe dello stesso lato e non può trottare. Quando galoppa la giraffa sembra andare al rallentatore e porta la coda arrotolata sulla schiena.
- Le corna delle giraffe sono presenti sia nel maschio che nella femmina, sono ricoperte di pelle e di un ciuffo di peli nella parte finale (prominente nei giovani).Alla nascita il piccolo possiede già le corna, ma sono morbide e di cartilagine, si ossificheranno con la crescita.
- Per quanto difficile sentire suoni emessi da giraffe, la giraffa non è muta ed è in grato di emettere rauchi soffi, starnuti di allarme e suoni flautati.(20/09/2009)
Fonte:www.malindikenya.net
C’è un momento nel bush in cui tutto sembra fermarsi. E’ il momento in cui gli animali si fermano, chi può all’ombra, chi a dormire e chi a ruminare, ma tutti approfittano delle ore più calde del giorno per riposare e ridurre al minimo le attività.
Anche noi ci fermiamo allora, dopo il game drive ci rintaniamo nei campi tendati dove dopo il pranzo rimaniamo in relax osservando il lento scorrere del fiume, o gli ippopotami che sonnecchiano.
Mentre ci stavamo dirigendo verso il campo per il nostro pranzo e la nostra pausa, improvvisamente notammo un movimento vicino ad un gruppetto di palme dum. “Le giraffe, guardate là, stanno facendo una danza d’amore!!!” esclamò un ospite, io fermai la macchina e in silenzio e col binocolo in mano , mentre osservavamo le due giraffe , spiegai ai miei ospiti che in realtà si trattava di qualcosa di molto più cruento e decisamente meno dolce di una danza d’amore.
Le due giraffe stavano come appoggiate una contro l’altra e sembravano dondolare dolcemente e incrociare i colli in sinuose figure. Apparentemente sembrava proprio una lentissima danza, un rituale dondolare…..quello che invece non si vedeva ma che si poteva intuire dopo una attenta osservazione era che in realtà le due giraffe stavano spingendosi con forza cercando di sbilanciare l’altra, e l’intrecciarsi dei colli altro non era che evitare che il collo dell’altra potesse arcuarsi ed allontanarsi per prendere forza e slancio per un colpo.
Una era più anziana, lo si poteva capire dal colore scurito del corpo e la testa schiarita per l’età e dai prominenti finti corni, delle protuberanze ossee che sviluppano i maschi in modo sempre più marcato con l’età, fino ad averne tre o addirittura anche quattro, sulla fronte tra gli occhi, questi finti corni servono al maschio come ulteriori “armi” oltre alle vere corna (che possiedono peraltro anche le femmine).
Arcuando il collo e rovesciando la testa contro il fianco o il collo dell’avversario la giraffa può così infliggergli poderosi colpi, ma quello che ai nostri occhi appariva strano era l’estrema lentezza con cui tutto questo avveniva.
La giraffa, così elegante , lenta e compassata, sembra non voler perdere la sua regale inalterabilità nemmeno quando combatte….e quello cui stavamo assistendo era dunque un vero e proprio incontro di boxe al rallentatore.
E come appunto accade durante gli incontri di boxe i due contendenti si appoggiavano uno all’altro, fianco contro fianco , al duplice scopo di spingere l’avversario e di sostenersi mentre si studiavano, abbassando e rialzando insieme i lunghissimi colli , intrecciandoli e alla prima mossa sbagliata dell’altra infliggendo un colpo sordo e potente, talmente lento che sembrava più rituale che reale , ma la forza di tali colpi era tale che quella che li riceveva veniva sbilanciata sulle zampe.
La posta in gioco di questo scontro erano le femmine, ce n’erano tre, a poca distanza dai contendenti, che totalmente disinteressate all’incontro tra i due continuavano a piluccare le foglie sulle Acacie Tortilis.
E’ inevitabile che tali combattimenti vengano scambiati spesso per “danze” o per una forma di corteggiamento, e l’immagine della giraffa, così elegante, sinuosa e dalle lunghissime ciglia fa sempre ed ingenuamente pensare ad una figura femminile, al punto tale che fa strano pensare ad un “giraffo” , e tanto meno è facile immaginare un cruento combattimento tra due maschi di giraffe. Conoscere il mondo animale e soprattutto avere la possibilità di effettuare un safari con guide , che possono spiegare anche comportamenti non sempre decifrabili , svela un intero mondo che va al di là dell’immagine che normalmente abbiamo di certi animali, rivelandoci i lati nascosti e volte inimmaginabili anche dei più conosciuti e familiari mammiferi.
FACTS FILE
- In Kenya esistono otto sottospecie diverse di giraffe, distinte in base al diverso disegno del mantello. Il mantello più irregolare è quello della giraffa Masai , le cui macchie scure su fondo chiaro hanno una forma a fiore dentellato, mentre il mantello della giraffa Reticolata rappresenta l’altro estremo con il più regolare dei disegni, praticamente un reticolo chiaro ad angoli retti su un fondo scuro. Le varie sottospecie si incrociano tra loro dando vita a molte variabili e rendendo difficile il poterle sempre distinguere come appartenenti ad una sottospecie piuttosto che ad una altra.
- La lingua della giraffa è lunga 45 cm ed insieme alla particolare articolazione alla base del collo che le permette di posizionare la testa in verticale aiuta l’animale a raggiungere le foglie sui rami più alti.La lingua è ricoperta da papille cornee che la proteggono dalle affilate spine presenti sui rami delle acacie dove è solita brucare le foglie.
- Le ciglia della giraffa sono lunghissime e le conferiscono questo aspetto dolce e sognante, in realtà sono una arma di difesa contro le spine delle acacie, e le permettono così di sentire le spine prima che possano ferire gli occhi.
- Una giraffa maschio raggiunge l’altezza di 5, 5 m, questo significa che messa davanti ad una casa a due piani potrebbe tranquillamente guardare nella finestra del piano superiore.
- Per quanto la giraffa sappia difendersi efficacemente dai predatori sferrando poderosi calci, i piccoli di giraffa subiscono una fortissima predazione da parte di iene e leoni, con un tasso di sopravvivenza solo del 40-60%.
- La giraffa dispone di solo due tipi diversi di andature, l’ambio e un galoppo “al rallentatore”. Le zampe infatti, così lunghe e vicine, non possono affrontare andature “diagonali” quali il passo ed il trotto, dunque la giraffa (come il cammello) cammina spostando contemporaneamente entrambe le zampe dello stesso lato e non può trottare. Quando galoppa la giraffa sembra andare al rallentatore e porta la coda arrotolata sulla schiena.
- Le corna delle giraffe sono presenti sia nel maschio che nella femmina, sono ricoperte di pelle e di un ciuffo di peli nella parte finale (prominente nei giovani).Alla nascita il piccolo possiede già le corna, ma sono morbide e di cartilagine, si ossificheranno con la crescita.
- Per quanto difficile sentire suoni emessi da giraffe, la giraffa non è muta ed è in grato di emettere rauchi soffi, starnuti di allarme e suoni flautati.(20/09/2009)
Fonte:www.malindikenya.net
Federica- ADMIN
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I racconti di Camilla di Bush Company - 9
I racconti di Camilla di Bush Company - 9
In una foto scattata settimana scorsa durante un safari credevo di avere fotografato un termitaio con delle manguste nane, invece ingrandendo la foto e osservando meglio ho osservato un altro personaggio in foto, un uccello bianco e nero dal becco rosso.
Uno dei più caratteristici uccelli che si incontra nel bush è una specie di tucano dal lungo becco ricurvo.Il Bucero. Bianco e nero con il becco che può variare dal giallo al rosso al grigio in base alla specie, lo si vede spostarsi con un volo a farfalla da un cespuglio di spine all’altro, e a volte si assiste allo strano rituale di corteggiamento che altro non è che uno strano sobbalzare su e già con la testa ad ali aperte emettendo rauchi versi…..
Colorato e dal becco bizzarro viene spesso notato dagli ospiti durante il safari, ma ,dopo essere stato oggetto di un paio di fotografie, normalmente viene soppiantato da personaggi più interessanti, grandi mammiferi o se proprio si vuole rimanere nell’ambito aviario dalle grandi e spettacolari aquile.
Un po’ di notorietà il pennuto l’ha acquistata dopo il film di animazione “Il re leone” dove interpretava una delle parti principali. Ma oltre a questo non gli viene mai prestata troppa attenzione.
Eppure è il protagonista di una relazione unica e a dir poco bizzarra.
Il Bucero, soprattutto la specie Bucero Beccogiallo e Bucero di Von Der Deckens, stringe una particolarissima relazione di mutualismo con un animaletto molto diverso da lui, la mangusta nana.
Tutti conoscono la relazione tra uccelli che ripuliscono i grandi mammiferi dai parassiti, o tra le egrette del bestiame che accompagnano al pascolo i loro ospiti.
Ma la relazione tra il bucero e la mangusta nana è invece molto più particolare e “raffinata” rispetto alla semplice pulitura o all’accompagnare il bestiame al pascolo.
Per capire come un uccello insettivoro e opportunista come il bucero, che si nutre di grandi insetti come i coleotteri, piccoli rettili come gechi e piccole lucertole fino a piccoli mammiferi come i toporagni, possa beneficiare dal rapporto con un piccolo mammifero come la mangusta, si deve capire innanzitutto come vive e si nutre la mangusta nana.
La mangusta nana è la più piccola rappresentante delle manguste e rappresenta con i suoi soli 270 grammi di peso il più piccolo carnivoro africano. Organizzata in gruppi di circa una decina di individui,la mangusta nana passa la propria giornata a cacciare “setacciando” letteralmente il terreno insieme alle sue compagne alla spasmodica ricerca di insetti, piccoli invertebrati, rettili come lucertoline fino addirittura a serpenti grandi e piccoli mammiferi.Il gruppo di manguste passa la notte al riparo solitamente in un termitaio e al mattino ,dopo un po’ di pulizia del pelo e giochi tra loro, prendono un po’ di sole prima di lanciarsi nell’erba del bush, sparpagliate e in fronte largo per allargare al massimo la possibilità di “incastrare” la piccola preda e rimanendo in continuo contatto vocale tramite dei “chirp” che vengono chiacchierati in continuo da ogni elemento per tutta la durata della caccia. Al minimo segno di pericolo corrono tutte insieme nel buco più vicino , solitamente un ammasso di sassi o un termitaio. E’ quando scappano tutte insieme verso un rifugio che solitamente abbiamo la possibilità di vederle durante un safari.
Come può il bucero, un uccello che si nutre delle stesse prede delle manguste stabilire una relazione proficua con loro?... il bucero segue le manguste in caccia, volando di cespuglio in cespuglio e quello che fa è semplicemente cacciare dietro al gruppo ciò che è scappato alle fameliche mangustine.
Un approfittatore si potrebbe pensare. In realtà nonostante le manguste debbano cedere qualche bocconcino al bucero esse traggono un vantaggio dalla sua presenza. La mangusta nana è talmente piccola che gli adulti sono soggetti a predazione sia da parte dei grandi uccelli da preda ma anche da parte di uccelli predatori più piccoli, addirittura lo stesso bucero potrebbe rappresentare una reale minaccia per i piccoli di mangusta. Eppure per poter beneficiare degli “scarti” delle manguste, il bucero si impegna non solo a non mangiarsi i piccoli delle manguste, ma lancia grida dall’allarme quando si profila in cielo un suo predatore, inoltre ha dovuto imparare quali sono i predatori delle manguste e allerta il gruppo di manguste anche quando si avvicina un predatore che è tale solo per le manguste ma che per lui non rappresenterebbe alcuna minaccia. Quindi nonostante le due specie possano vivere egregiamente senza la presenza dell’altra, in realtà trovano più vantaggioso approfittare della reciproca presenza stabilendo regole ben precise per un rapporto di mutualismo finemente organizzato.
Sembra che ogni bucero abbia un “suo” gruppo di manguste e che si aggreghi sempre allo stesso, così come le manguste riconoscano il “loro” bucero di fiducia. Tale è la relazione e talmente perfezionata che il bucero spesso si posiziona sul termitaio di buon mattino chiamando le manguste a mo’ di sveglia, ed evitando di chiamare se c’è un pericolo nelle vicinanze. Ed è stato osservato che se per qualche motivo il bucero non chiama, le manguste ritardano l’uscita dai buchi del termitaio e quando escono lo fanno con molta circospezione. Così come se le manguste indugiano troppo al sole il bucero a volte arriva addirittura a disturbarle saltellandogli vicino fino a farle alzare!
Non poco per un animaletto di soli 270 gr e per un uccello poco conosciuto che ha al suo attivo solo una parte in un cartoon di successo!(12/11/2009)
Fonte:www.malindikenya.net
In una foto scattata settimana scorsa durante un safari credevo di avere fotografato un termitaio con delle manguste nane, invece ingrandendo la foto e osservando meglio ho osservato un altro personaggio in foto, un uccello bianco e nero dal becco rosso.
Uno dei più caratteristici uccelli che si incontra nel bush è una specie di tucano dal lungo becco ricurvo.Il Bucero. Bianco e nero con il becco che può variare dal giallo al rosso al grigio in base alla specie, lo si vede spostarsi con un volo a farfalla da un cespuglio di spine all’altro, e a volte si assiste allo strano rituale di corteggiamento che altro non è che uno strano sobbalzare su e già con la testa ad ali aperte emettendo rauchi versi…..
Colorato e dal becco bizzarro viene spesso notato dagli ospiti durante il safari, ma ,dopo essere stato oggetto di un paio di fotografie, normalmente viene soppiantato da personaggi più interessanti, grandi mammiferi o se proprio si vuole rimanere nell’ambito aviario dalle grandi e spettacolari aquile.
Un po’ di notorietà il pennuto l’ha acquistata dopo il film di animazione “Il re leone” dove interpretava una delle parti principali. Ma oltre a questo non gli viene mai prestata troppa attenzione.
Eppure è il protagonista di una relazione unica e a dir poco bizzarra.
Il Bucero, soprattutto la specie Bucero Beccogiallo e Bucero di Von Der Deckens, stringe una particolarissima relazione di mutualismo con un animaletto molto diverso da lui, la mangusta nana.
Tutti conoscono la relazione tra uccelli che ripuliscono i grandi mammiferi dai parassiti, o tra le egrette del bestiame che accompagnano al pascolo i loro ospiti.
Ma la relazione tra il bucero e la mangusta nana è invece molto più particolare e “raffinata” rispetto alla semplice pulitura o all’accompagnare il bestiame al pascolo.
Per capire come un uccello insettivoro e opportunista come il bucero, che si nutre di grandi insetti come i coleotteri, piccoli rettili come gechi e piccole lucertole fino a piccoli mammiferi come i toporagni, possa beneficiare dal rapporto con un piccolo mammifero come la mangusta, si deve capire innanzitutto come vive e si nutre la mangusta nana.
La mangusta nana è la più piccola rappresentante delle manguste e rappresenta con i suoi soli 270 grammi di peso il più piccolo carnivoro africano. Organizzata in gruppi di circa una decina di individui,la mangusta nana passa la propria giornata a cacciare “setacciando” letteralmente il terreno insieme alle sue compagne alla spasmodica ricerca di insetti, piccoli invertebrati, rettili come lucertoline fino addirittura a serpenti grandi e piccoli mammiferi.Il gruppo di manguste passa la notte al riparo solitamente in un termitaio e al mattino ,dopo un po’ di pulizia del pelo e giochi tra loro, prendono un po’ di sole prima di lanciarsi nell’erba del bush, sparpagliate e in fronte largo per allargare al massimo la possibilità di “incastrare” la piccola preda e rimanendo in continuo contatto vocale tramite dei “chirp” che vengono chiacchierati in continuo da ogni elemento per tutta la durata della caccia. Al minimo segno di pericolo corrono tutte insieme nel buco più vicino , solitamente un ammasso di sassi o un termitaio. E’ quando scappano tutte insieme verso un rifugio che solitamente abbiamo la possibilità di vederle durante un safari.
Come può il bucero, un uccello che si nutre delle stesse prede delle manguste stabilire una relazione proficua con loro?... il bucero segue le manguste in caccia, volando di cespuglio in cespuglio e quello che fa è semplicemente cacciare dietro al gruppo ciò che è scappato alle fameliche mangustine.
Un approfittatore si potrebbe pensare. In realtà nonostante le manguste debbano cedere qualche bocconcino al bucero esse traggono un vantaggio dalla sua presenza. La mangusta nana è talmente piccola che gli adulti sono soggetti a predazione sia da parte dei grandi uccelli da preda ma anche da parte di uccelli predatori più piccoli, addirittura lo stesso bucero potrebbe rappresentare una reale minaccia per i piccoli di mangusta. Eppure per poter beneficiare degli “scarti” delle manguste, il bucero si impegna non solo a non mangiarsi i piccoli delle manguste, ma lancia grida dall’allarme quando si profila in cielo un suo predatore, inoltre ha dovuto imparare quali sono i predatori delle manguste e allerta il gruppo di manguste anche quando si avvicina un predatore che è tale solo per le manguste ma che per lui non rappresenterebbe alcuna minaccia. Quindi nonostante le due specie possano vivere egregiamente senza la presenza dell’altra, in realtà trovano più vantaggioso approfittare della reciproca presenza stabilendo regole ben precise per un rapporto di mutualismo finemente organizzato.
Sembra che ogni bucero abbia un “suo” gruppo di manguste e che si aggreghi sempre allo stesso, così come le manguste riconoscano il “loro” bucero di fiducia. Tale è la relazione e talmente perfezionata che il bucero spesso si posiziona sul termitaio di buon mattino chiamando le manguste a mo’ di sveglia, ed evitando di chiamare se c’è un pericolo nelle vicinanze. Ed è stato osservato che se per qualche motivo il bucero non chiama, le manguste ritardano l’uscita dai buchi del termitaio e quando escono lo fanno con molta circospezione. Così come se le manguste indugiano troppo al sole il bucero a volte arriva addirittura a disturbarle saltellandogli vicino fino a farle alzare!
Non poco per un animaletto di soli 270 gr e per un uccello poco conosciuto che ha al suo attivo solo una parte in un cartoon di successo!(12/11/2009)
Fonte:www.malindikenya.net
Federica- ADMIN
- Numero di messaggi : 1935
Data d'iscrizione : 16.04.09
Età : 47
Località : Uboldo
Racconto 9
In una foto scattata settimana scorsa durante un safari credevo di avere fotografato un termitaio con delle manguste nane, invece ingrandendo la foto e osservando meglio ho osservato un altro personaggio in foto, un uccello bianco e nero dal becco rosso.
Uno dei più caratteristici uccelli che si incontra nel bush è una specie di tucano dal lungo becco ricurvo.Il Bucero. Bianco e nero con il becco che può variare dal giallo al rosso al grigio in base alla specie, lo si vede spostarsi con un volo a farfalla da un cespuglio di spine all’altro, e a volte si assiste allo strano rituale di corteggiamento che altro non è che uno strano sobbalzare su e già con la testa ad ali aperte emettendo rauchi versi…..
Colorato e dal becco bizzarro viene spesso notato dagli ospiti durante il safari, ma ,dopo essere stato oggetto di un paio di fotografie, normalmente viene soppiantato da personaggi più interessanti, grandi mammiferi o se proprio si vuole rimanere nell’ambito aviario dalle grandi e spettacolari aquile.
Un po’ di notorietà il pennuto l’ha acquistata dopo il film di animazione “Il re leone” dove interpretava una delle parti principali. Ma oltre a questo non gli viene mai prestata troppa attenzione.
Eppure è il protagonista di una relazione unica e a dir poco bizzarra.
Il Bucero, soprattutto la specie Bucero Beccogiallo e Bucero di Von Der Deckens, stringe una particolarissima relazione di mutualismo con un animaletto molto diverso da lui, la mangusta nana.
Tutti conoscono la relazione tra uccelli che ripuliscono i grandi mammiferi dai parassiti, o tra le egrette del bestiame che accompagnano al pascolo i loro ospiti.
Ma la relazione tra il bucero e la mangusta nana è invece molto più particolare e “raffinata” rispetto alla semplice pulitura o all’accompagnare il bestiame al pascolo.
SEGUE DALLA PRIMA
Per capire come un uccello insettivoro e opportunista come il bucero, che si nutre di grandi insetti come i coleotteri, piccoli rettili come gechi e piccole lucertole fino a piccoli mammiferi come i toporagni, possa beneficiare dal rapporto con un piccolo mammifero come la mangusta, si deve capire innanzitutto come vive e si nutre la mangusta nana.
La mangusta nana è la più piccola rappresentante delle manguste e rappresenta con i suoi soli 270 grammi di peso il più piccolo carnivoro africano. Organizzata in gruppi di circa una decina di individui,la mangusta nana passa la propria giornata a cacciare “setacciando” letteralmente il terreno insieme alle sue compagne alla spasmodica ricerca di insetti, piccoli invertebrati, rettili come lucertoline fino addirittura a serpenti grandi e piccoli mammiferi.Il gruppo di manguste passa la notte al riparo solitamente in un termitaio e al mattino ,dopo un po’ di pulizia del pelo e giochi tra loro, prendono un po’ di sole prima di lanciarsi nell’erba del bush, sparpagliate e in fronte largo per allargare al massimo la possibilità di “incastrare” la piccola preda e rimanendo in continuo contatto vocale tramite dei “chirp” che vengono chiacchierati in continuo da ogni elemento per tutta la durata della caccia. Al minimo segno di pericolo corrono tutte insieme nel buco più vicino , solitamente un ammasso di sassi o un termitaio. E’ quando scappano tutte insieme verso un rifugio che solitamente abbiamo la possibilità di vederle durante un safari.
Come può il bucero, un uccello che si nutre delle stesse prede delle manguste stabilire una relazione proficua con loro?... il bucero segue le manguste in caccia, volando di cespuglio in cespuglio e quello che fa è semplicemente cacciare dietro al gruppo ciò che è scappato alle fameliche mangustine.
Un approfittatore si potrebbe pensare. In realtà nonostante le manguste debbano cedere qualche bocconcino al bucero esse traggono un vantaggio dalla sua presenza. La mangusta nana è talmente piccola che gli adulti sono soggetti a predazione sia da parte dei grandi uccelli da preda ma anche da parte di uccelli predatori più piccoli, addirittura lo stesso bucero potrebbe rappresentare una reale minaccia per i piccoli di mangusta. Eppure per poter beneficiare degli “scarti” delle manguste, il bucero si impegna non solo a non mangiarsi i piccoli delle manguste, ma lancia grida dall’allarme quando si profila in cielo un suo predatore, inoltre ha dovuto imparare quali sono i predatori delle manguste e allerta il gruppo di manguste anche quando si avvicina un predatore che è tale solo per le manguste ma che per lui non rappresenterebbe alcuna minaccia. Quindi nonostante le due specie possano vivere egregiamente senza la presenza dell’altra, in realtà trovano più vantaggioso approfittare della reciproca presenza stabilendo regole ben precise per un rapporto di mutualismo finemente organizzato.
Sembra che ogni bucero abbia un “suo” gruppo di manguste e che si aggreghi sempre allo stesso, così come le manguste riconoscano il “loro” bucero di fiducia. Tale è la relazione e talmente perfezionata che il bucero spesso si posiziona sul termitaio di buon mattino chiamando le manguste a mo’ di sveglia, ed evitando di chiamare se c’è un pericolo nelle vicinanze. Ed è stato osservato che se per qualche motivo il bucero non chiama, le manguste ritardano l’uscita dai buchi del termitaio e quando escono lo fanno con molta circospezione. Così come se le manguste indugiano troppo al sole il bucero a volte arriva addirittura a disturbarle saltellandogli vicino fino a farle alzare!
Non poco per un animaletto di soli 270 gr e per un uccello poco conosciuto che ha al suo attivo solo una parte in un cartoon di successo!
FOnte: MalindiKenya
Uno dei più caratteristici uccelli che si incontra nel bush è una specie di tucano dal lungo becco ricurvo.Il Bucero. Bianco e nero con il becco che può variare dal giallo al rosso al grigio in base alla specie, lo si vede spostarsi con un volo a farfalla da un cespuglio di spine all’altro, e a volte si assiste allo strano rituale di corteggiamento che altro non è che uno strano sobbalzare su e già con la testa ad ali aperte emettendo rauchi versi…..
Colorato e dal becco bizzarro viene spesso notato dagli ospiti durante il safari, ma ,dopo essere stato oggetto di un paio di fotografie, normalmente viene soppiantato da personaggi più interessanti, grandi mammiferi o se proprio si vuole rimanere nell’ambito aviario dalle grandi e spettacolari aquile.
Un po’ di notorietà il pennuto l’ha acquistata dopo il film di animazione “Il re leone” dove interpretava una delle parti principali. Ma oltre a questo non gli viene mai prestata troppa attenzione.
Eppure è il protagonista di una relazione unica e a dir poco bizzarra.
Il Bucero, soprattutto la specie Bucero Beccogiallo e Bucero di Von Der Deckens, stringe una particolarissima relazione di mutualismo con un animaletto molto diverso da lui, la mangusta nana.
Tutti conoscono la relazione tra uccelli che ripuliscono i grandi mammiferi dai parassiti, o tra le egrette del bestiame che accompagnano al pascolo i loro ospiti.
Ma la relazione tra il bucero e la mangusta nana è invece molto più particolare e “raffinata” rispetto alla semplice pulitura o all’accompagnare il bestiame al pascolo.
SEGUE DALLA PRIMA
Per capire come un uccello insettivoro e opportunista come il bucero, che si nutre di grandi insetti come i coleotteri, piccoli rettili come gechi e piccole lucertole fino a piccoli mammiferi come i toporagni, possa beneficiare dal rapporto con un piccolo mammifero come la mangusta, si deve capire innanzitutto come vive e si nutre la mangusta nana.
La mangusta nana è la più piccola rappresentante delle manguste e rappresenta con i suoi soli 270 grammi di peso il più piccolo carnivoro africano. Organizzata in gruppi di circa una decina di individui,la mangusta nana passa la propria giornata a cacciare “setacciando” letteralmente il terreno insieme alle sue compagne alla spasmodica ricerca di insetti, piccoli invertebrati, rettili come lucertoline fino addirittura a serpenti grandi e piccoli mammiferi.Il gruppo di manguste passa la notte al riparo solitamente in un termitaio e al mattino ,dopo un po’ di pulizia del pelo e giochi tra loro, prendono un po’ di sole prima di lanciarsi nell’erba del bush, sparpagliate e in fronte largo per allargare al massimo la possibilità di “incastrare” la piccola preda e rimanendo in continuo contatto vocale tramite dei “chirp” che vengono chiacchierati in continuo da ogni elemento per tutta la durata della caccia. Al minimo segno di pericolo corrono tutte insieme nel buco più vicino , solitamente un ammasso di sassi o un termitaio. E’ quando scappano tutte insieme verso un rifugio che solitamente abbiamo la possibilità di vederle durante un safari.
Come può il bucero, un uccello che si nutre delle stesse prede delle manguste stabilire una relazione proficua con loro?... il bucero segue le manguste in caccia, volando di cespuglio in cespuglio e quello che fa è semplicemente cacciare dietro al gruppo ciò che è scappato alle fameliche mangustine.
Un approfittatore si potrebbe pensare. In realtà nonostante le manguste debbano cedere qualche bocconcino al bucero esse traggono un vantaggio dalla sua presenza. La mangusta nana è talmente piccola che gli adulti sono soggetti a predazione sia da parte dei grandi uccelli da preda ma anche da parte di uccelli predatori più piccoli, addirittura lo stesso bucero potrebbe rappresentare una reale minaccia per i piccoli di mangusta. Eppure per poter beneficiare degli “scarti” delle manguste, il bucero si impegna non solo a non mangiarsi i piccoli delle manguste, ma lancia grida dall’allarme quando si profila in cielo un suo predatore, inoltre ha dovuto imparare quali sono i predatori delle manguste e allerta il gruppo di manguste anche quando si avvicina un predatore che è tale solo per le manguste ma che per lui non rappresenterebbe alcuna minaccia. Quindi nonostante le due specie possano vivere egregiamente senza la presenza dell’altra, in realtà trovano più vantaggioso approfittare della reciproca presenza stabilendo regole ben precise per un rapporto di mutualismo finemente organizzato.
Sembra che ogni bucero abbia un “suo” gruppo di manguste e che si aggreghi sempre allo stesso, così come le manguste riconoscano il “loro” bucero di fiducia. Tale è la relazione e talmente perfezionata che il bucero spesso si posiziona sul termitaio di buon mattino chiamando le manguste a mo’ di sveglia, ed evitando di chiamare se c’è un pericolo nelle vicinanze. Ed è stato osservato che se per qualche motivo il bucero non chiama, le manguste ritardano l’uscita dai buchi del termitaio e quando escono lo fanno con molta circospezione. Così come se le manguste indugiano troppo al sole il bucero a volte arriva addirittura a disturbarle saltellandogli vicino fino a farle alzare!
Non poco per un animaletto di soli 270 gr e per un uccello poco conosciuto che ha al suo attivo solo una parte in un cartoon di successo!
FOnte: MalindiKenya
I RACCONTI DI CAMILLA: 10 - I LICAONI
A volte mi domando se i miei ospiti si rendano conto dell’eccezionalità di certi avvistamenti, abituati a documentari sempre più visibili su reti specializzate e sempre più tecnologici, a volte in savana si tende a dimenticare che dietro ad un documentario ci sono mesi o anni di riprese seguiti da attenti montaggi e a volte effetti speciali per rendere al meglio alcune circostanze. A volte temo che gli ospiti che porto nel bush si aspettino di vedere dal vivo in una sola giornata tutte le azioni di caccia, vita e morte che normalmente vedono in televisione in mezz’ora di documentario…spesso gli ospiti si appassionano alla “caccia” fotografica che stiamo facendo e al fatto di non sapere se, cosa e quando incontreremo, altre volte invece si aspettano il documentario in diretta…Certo è che l’eccezionalità di certi avvistamenti, unici per situazioni ed animali , a volte viene intuita dagli ospiti non tanto perché glielo dico ma perché osservano la mia reazione. Nonostante le mie spiegazioni è solo quando mi vedono abbandonare la mia postazione sul tetto dell’auto e armeggiare con la macchina fotografica e i teleobiettivi che allora intuiscono che stiamo assistendo a qualcosa di eccezionale.
E’ più o meno ciò che è accaduto una mattina di novembre quando improvvisamente abbiamo avvistato ciò che mai avrei potuto pensare, o sperare, di trovare.
Spesso si sente dire la frase “ questa è una tipica zona da leoni” oppure “…in questa radura deve essere il luogo ideale per avvistare un ghepardo” e via dicendo, ormai io so che non posso aspettarmi di trovare qualcosa di particolare in un posto particolare, abbiamo avvistato di tutto nei posti più disparati e quindi tendo ad aspettarmi di tutto ovunque, ma a volte gli animali sanno ancora farmi delle sorprese……
Quella mattina di novembre dopo avere osservato un branco di elefanti ci stavamo avvicinando ad un cancello dello Tsavo Est. Il parco è vastissimo e non è recintato , i cancelli sono solo dei punti formali dove le auto possono entrare e uscire dai confini ideali del parco.
Il cancello in questione, Manyani Gate, si trova oltretutto vicino alla strada Mombasa-Nairobi , quindi per quanto la strada scorra attraverso il parco si tende a considerare la zona meno selvaggia di altre aree più remote nel cuore del parco. Ad una cinquantina di metri dal cancello c’è un segnale che indica il gate, un segnale fatto di grosse pietre dove alcuni giorni prima avevo avvistato un paio di procavie delle roccie, così ci stavamo avvicinando con l’auto sperando di potere fare vedere ai miei ospiti questo simpatico animaletto.
Ed ecco che all’improvviso da dietro al segnale spuntano due grandi orecchie nere, e poi un altro paio e poi una testa e svoltato l’angolo con l’auto mi rendo conto che c’erano all’incirca una ventina di sagome scure, tutt’intorno al segnale, a cinquanta metri dal gate e dalla strada asfaltata , avevamo di fronte a noi un grosso branco di uno dei più rari e minacciati predatori africani….eravamo di fronte ad un grosso branco di licaoni.
Il licaone, lycaon pictus , o wild dog in inglese, ovvero cane selvaggio, è un predatore di media taglia, del peso di circa 20-25 kg , è in sostanza un cane tricolore, a macchie irregolari e dalle grandi orecchie. Il più carnivoro della famiglia dei canidi è uno dei predatori più specializzati e caccia in branco qualunque preda dalle dimensioni di un uccello fino ad antilopi di grosse dimensioni o addirittura zebre. Persecuzione da parte dell’uomo (attacca anche greggi domestiche ed nel passato è sempre stato, come la iena,considerato un animale malvagio o comunque una peste da eliminare) , riduzione del loro ambiente naturale e malattie portate dall’uomo (come la rabbia diffusa dai cani domestici vicino alle zone naturali) hanno portato questo splendido e organizzatissimo predatore sull’orlo dell’estinzione. In cinque anni di safari mi era capitato solo una volta di avvistare tre soli licaoni. Questa era la seconda volta, e data la dimensione del branco , temevo potesse essere anche l’unica occasione che il mondo selvaggio mi concedesse e così mentre il driver cercava di seguire il pack dei predatori che trotterellavano lungo la pista, intanto io cercavo di scattare più foto possibili sia per me ma anche per documentare ai rangers e alle strutture interessate l’incredibile avvistamento. Un enorme branco di licaoni a due passi dal gate e dalla strada asfaltata!!! Chi l’avrebbe mai detto o creduto?!! I miei ospiti erano increduli ed eccitati anche se al momento non capivano più di tanto l’eccezionalità del momento. Poi mentre gli spiegavo come il licaone sia il cacciatore più abile tra i predatori di antilopi di grosse dimensioni, di come l’intero branco sia dedicato all’allevamento dell’unica cucciolata della femmina alfa,di come un mix di disciplina, velocità e resistenza abbia reso questo predatore talmente abile da non temere l’attacco di altri più temibili predatori, mentre raccontavo tutto questo e mentre dai cespugli intorno a noi spuntavano orecchie, macchie colorate e qualcuno dei più coraggiosi canidi si stendeva addirittura sulla pista guardandoci con aria beffarda….beh mentre avveniva tutto questo le immagini di documentari già visti, cuccioli guaenti che fanno rigurgitare il cibo agli adulti che accorrono alla tana, l’intero branco che in meno di un minuto smembra una grossa preda ancora viva…tutto questo si affacciò alla memoria dei miei ospiti che al momento in cui videro il documentario mai avrebbero potuto pensare che avrebbero incontrato uno degli ultimi grandi branchi di licaoni….o forse dovremmo dire uno dei primi branchi dei licaoni che stanno ritornando….???
In ogni caso mi sbagliavo, quella non fu l’ultima volta che incontrai i licaoni nello Tsavo, mi accadde ancora , solo cinque di loro, ma se non avessi avuto con me la mia fotocamera, nessuno avrebbe creduto a DOVE li ho incontrati : sulla strada asfaltata, sulla più grande arteria che collega Mombasa a Nairobi, due cuccioloni intenti a giocare con un vecchio copertone e tre adulti, intenti a schivare i camion portacontainer che quotidianamente percorrono la strada….. uno può passare anni a cercarli nei parchi nazionali e improvvisamente ed inaspettatamente se li trova davanti a sé in mezzo alla strada asfaltata ….!!!
Fonte : Malindikenya
E’ più o meno ciò che è accaduto una mattina di novembre quando improvvisamente abbiamo avvistato ciò che mai avrei potuto pensare, o sperare, di trovare.
Spesso si sente dire la frase “ questa è una tipica zona da leoni” oppure “…in questa radura deve essere il luogo ideale per avvistare un ghepardo” e via dicendo, ormai io so che non posso aspettarmi di trovare qualcosa di particolare in un posto particolare, abbiamo avvistato di tutto nei posti più disparati e quindi tendo ad aspettarmi di tutto ovunque, ma a volte gli animali sanno ancora farmi delle sorprese……
Quella mattina di novembre dopo avere osservato un branco di elefanti ci stavamo avvicinando ad un cancello dello Tsavo Est. Il parco è vastissimo e non è recintato , i cancelli sono solo dei punti formali dove le auto possono entrare e uscire dai confini ideali del parco.
Il cancello in questione, Manyani Gate, si trova oltretutto vicino alla strada Mombasa-Nairobi , quindi per quanto la strada scorra attraverso il parco si tende a considerare la zona meno selvaggia di altre aree più remote nel cuore del parco. Ad una cinquantina di metri dal cancello c’è un segnale che indica il gate, un segnale fatto di grosse pietre dove alcuni giorni prima avevo avvistato un paio di procavie delle roccie, così ci stavamo avvicinando con l’auto sperando di potere fare vedere ai miei ospiti questo simpatico animaletto.
Ed ecco che all’improvviso da dietro al segnale spuntano due grandi orecchie nere, e poi un altro paio e poi una testa e svoltato l’angolo con l’auto mi rendo conto che c’erano all’incirca una ventina di sagome scure, tutt’intorno al segnale, a cinquanta metri dal gate e dalla strada asfaltata , avevamo di fronte a noi un grosso branco di uno dei più rari e minacciati predatori africani….eravamo di fronte ad un grosso branco di licaoni.
Il licaone, lycaon pictus , o wild dog in inglese, ovvero cane selvaggio, è un predatore di media taglia, del peso di circa 20-25 kg , è in sostanza un cane tricolore, a macchie irregolari e dalle grandi orecchie. Il più carnivoro della famiglia dei canidi è uno dei predatori più specializzati e caccia in branco qualunque preda dalle dimensioni di un uccello fino ad antilopi di grosse dimensioni o addirittura zebre. Persecuzione da parte dell’uomo (attacca anche greggi domestiche ed nel passato è sempre stato, come la iena,considerato un animale malvagio o comunque una peste da eliminare) , riduzione del loro ambiente naturale e malattie portate dall’uomo (come la rabbia diffusa dai cani domestici vicino alle zone naturali) hanno portato questo splendido e organizzatissimo predatore sull’orlo dell’estinzione. In cinque anni di safari mi era capitato solo una volta di avvistare tre soli licaoni. Questa era la seconda volta, e data la dimensione del branco , temevo potesse essere anche l’unica occasione che il mondo selvaggio mi concedesse e così mentre il driver cercava di seguire il pack dei predatori che trotterellavano lungo la pista, intanto io cercavo di scattare più foto possibili sia per me ma anche per documentare ai rangers e alle strutture interessate l’incredibile avvistamento. Un enorme branco di licaoni a due passi dal gate e dalla strada asfaltata!!! Chi l’avrebbe mai detto o creduto?!! I miei ospiti erano increduli ed eccitati anche se al momento non capivano più di tanto l’eccezionalità del momento. Poi mentre gli spiegavo come il licaone sia il cacciatore più abile tra i predatori di antilopi di grosse dimensioni, di come l’intero branco sia dedicato all’allevamento dell’unica cucciolata della femmina alfa,di come un mix di disciplina, velocità e resistenza abbia reso questo predatore talmente abile da non temere l’attacco di altri più temibili predatori, mentre raccontavo tutto questo e mentre dai cespugli intorno a noi spuntavano orecchie, macchie colorate e qualcuno dei più coraggiosi canidi si stendeva addirittura sulla pista guardandoci con aria beffarda….beh mentre avveniva tutto questo le immagini di documentari già visti, cuccioli guaenti che fanno rigurgitare il cibo agli adulti che accorrono alla tana, l’intero branco che in meno di un minuto smembra una grossa preda ancora viva…tutto questo si affacciò alla memoria dei miei ospiti che al momento in cui videro il documentario mai avrebbero potuto pensare che avrebbero incontrato uno degli ultimi grandi branchi di licaoni….o forse dovremmo dire uno dei primi branchi dei licaoni che stanno ritornando….???
In ogni caso mi sbagliavo, quella non fu l’ultima volta che incontrai i licaoni nello Tsavo, mi accadde ancora , solo cinque di loro, ma se non avessi avuto con me la mia fotocamera, nessuno avrebbe creduto a DOVE li ho incontrati : sulla strada asfaltata, sulla più grande arteria che collega Mombasa a Nairobi, due cuccioloni intenti a giocare con un vecchio copertone e tre adulti, intenti a schivare i camion portacontainer che quotidianamente percorrono la strada….. uno può passare anni a cercarli nei parchi nazionali e improvvisamente ed inaspettatamente se li trova davanti a sé in mezzo alla strada asfaltata ….!!!
Fonte : Malindikenya
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