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TANZANIA-Undici albini in campo. Non è una barzelletta, è una speranza
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TANZANIA-Undici albini in campo. Non è una barzelletta, è una speranza
Undici albini in campo. Non è una barzelletta, è una speranza
5 gennaio 2011- In Tanzania è nata la prima squadra di calcio esclusivamente formata da “neri bianchi”. Per vincere i pregiudizi
Il razzismo non conosce colore della pelle, né per chi lo pratica, né per chi lo subisce. Strano a dirsi, ma anche i neri, sui quali da secoli si consumano deplorevoli atti razziali in più angoli della Terra, possono rendersi protagonisti attivi e negativi di razzismo. E’ il caso della Tanzania.
TANZANIA, PAESE RICCO…MA NON LO SA – La Tanzania, formalmente Repubblica Unita di Tanzania è uno stato dell’Africa orientale. Uno spicchio povero e abbandonato del Continente nero, dove sono collocati altri Paesi lacerati altresì da guerre civili: Kenya, Uganda, Ruanda, Burundi Congo, Zambia, Malawi e Mozambico. Anche la Tanzania è stata abbandonata a sé stessa da quel de-colonialismo anni ’50-’60 delle superpotenze europee ormai ridimensionate dalla seconda guerra mondiale (è un’ex colonia britannica), rivelatosi nel corso degli anni per gli Stati africani più fonte di disperazione che opportunità di progresso. Ma la storia, anzi la preistoria, offre a questo popolo disperato anche un motivo di vanto: in Tanzania sono stati infatti ritrovati alcuni dei più antichi reperti fossili umani. La “Gola di Olduvai”, in particolare, è stata resa celebre dagli scavi di Louis Leakey. Inoltre, in Tanzania settentrionale si trova il più famoso parco nazionale al mondo. La zona protetta, ampia quasi 15.000 chilometri quadrati, è nota per la sua migrazione annuale degli Gnu.
LA CACCIA SPIETATA AGLI ALBINI NERI – La Tanzania ha però un altro problema con cui fare i conti: la discriminazione verso i neri albini. Anche se ufficialmente ne sono registrati solo 7124, gli esperti stimano che il loro numero arrivi fino a 200.000. Orbene, guaritori senza scrupoli hanno diffuso la credenza che chi entra in possesso di parti del corpo di neri albini, diventi poi ricco. Una sorta di disumano talismano in carne e ossa, per cui si è aperta una caccia aperta che farebbe rabbrividire anche il più cinico regista di film splatter. Ecco che vengono amputate braccia, gambe, genitali; vengono rasati la pelle e i capelli biondi. Alcune madri annegano i loro bambini bianchi subito dopo la nascita, poiché avere un albino in famiglia è considerata una maledizione. Agghiacciante è ciò che accade sul Lago Vittoria: i pescatori pensano di catturare pesci ripieni di oro usando carne di albino come esca. Addirittura tessono reti con i peli di albino. La taglia sugli albini può arrivare fino a 350.000 dollari. Non si fa discriminazione di genere o età. Magra consolazione. Ma contro gli albini non c’è solo una caccia spietata. Ci sono anche disagi vari, che non gli permettono una vita normale: hanno problemi di vista e vengono emarginati dalle lezioni. Inoltre hanno bisogno di speciali creme per il sole, anche molto costose; in mancanza, sono costretti a restare chiusi fino ad una certa ora, essendo il sole africano notoriamente cocente.
IL CALCIO COME SPERANZA – Lo sport, si sa, può essere occasione di rivalsa sociale. Anche per i neri albini. E lo sa bene Oscar Haule, cristiano dalla pelle nera che sa benissimo che anche nella sua famiglia potevano esserci albini (ha 3 figli) o poteva esserlo lui stesso. Non sopporta il fatto che i comandamenti “Non uccidere”e “Ama il prossimo tuo come te stesso” sono stati violati e lui vuole fare qualcosa per ovviare a ciò. Quarantaquattro anni, commerciante di automobili giapponesi, ha fondato una squadra di calcio, una squadra formata da soli albini, come dice lo stesso nome: Albino United. Sa che la Tanzania ama il calcio e spera che proprio attraverso questo sport possa amare anche chi è nato con pelle diversa. Qualche bella storia, Haule può già raccontarla, con tanto di soddisfazione: Paul Enock, tra gli albini calciatori, era fuggito a undici anni con i suoi genitori dai pregiudizi del paese verso la città di Dar es Salaam. In realtà, non ha mai voluto tornare di nuovo là, dove i suoi compagni di classe lo prendevano in giro con nomignoli quali “nessuno”, “Zero-Zero” o “spirito”. “Senza la mia squadra –spiega Enock – non mi sarei mai sposato lì. Pochi mesi fa, i cacciatori volevano tagliare le mani a mia sorella per venderli, ed è riuscita a malapena a scappare”. Poi c’è Shafii Jabir, 17 anni, che ha un solo obiettivo: diventare la prima star internazionale di calcio Albino. Per Shafii “non solo sarebbe la prova che tutti gli albini possono emulare i grandi campioni neri, come la stella del Chelsea Didier Drogba, ma sarebbe possibile per i giovani fuggire dalla povertà opprimente”. Anche Shafii proviene da una storia triste: sua madre nera quando lo concepì, fu accusata dal marito di essergli stata infedele e la cacciò. Lui sente molto la mancanza della madre, che non ha più rivisto. Infine, c’è Rajabu Saidi Sumuni, 16 anni. E’ ricoverato presso l’Ocean Road Hospital, lascito dell’allora colonia tedesca nel 1897. I medici gli hanno esportato un tumore maligno sulla guancia destra. “Speriamo che la squadra venga qualche volta al mio paese, per mostrare alla gente che siamo persone normali che possono anche giocare a calcio”, dice il ragazzo con lo sguardo timido. Speriamo che la sorte sorrida ai neri albini. E che magari chissà, qualcuno diventi anche un campione di calcio..
Luca Scialò
Fonte:Giornalettismo.com
5 gennaio 2011- In Tanzania è nata la prima squadra di calcio esclusivamente formata da “neri bianchi”. Per vincere i pregiudizi
Il razzismo non conosce colore della pelle, né per chi lo pratica, né per chi lo subisce. Strano a dirsi, ma anche i neri, sui quali da secoli si consumano deplorevoli atti razziali in più angoli della Terra, possono rendersi protagonisti attivi e negativi di razzismo. E’ il caso della Tanzania.
TANZANIA, PAESE RICCO…MA NON LO SA – La Tanzania, formalmente Repubblica Unita di Tanzania è uno stato dell’Africa orientale. Uno spicchio povero e abbandonato del Continente nero, dove sono collocati altri Paesi lacerati altresì da guerre civili: Kenya, Uganda, Ruanda, Burundi Congo, Zambia, Malawi e Mozambico. Anche la Tanzania è stata abbandonata a sé stessa da quel de-colonialismo anni ’50-’60 delle superpotenze europee ormai ridimensionate dalla seconda guerra mondiale (è un’ex colonia britannica), rivelatosi nel corso degli anni per gli Stati africani più fonte di disperazione che opportunità di progresso. Ma la storia, anzi la preistoria, offre a questo popolo disperato anche un motivo di vanto: in Tanzania sono stati infatti ritrovati alcuni dei più antichi reperti fossili umani. La “Gola di Olduvai”, in particolare, è stata resa celebre dagli scavi di Louis Leakey. Inoltre, in Tanzania settentrionale si trova il più famoso parco nazionale al mondo. La zona protetta, ampia quasi 15.000 chilometri quadrati, è nota per la sua migrazione annuale degli Gnu.
LA CACCIA SPIETATA AGLI ALBINI NERI – La Tanzania ha però un altro problema con cui fare i conti: la discriminazione verso i neri albini. Anche se ufficialmente ne sono registrati solo 7124, gli esperti stimano che il loro numero arrivi fino a 200.000. Orbene, guaritori senza scrupoli hanno diffuso la credenza che chi entra in possesso di parti del corpo di neri albini, diventi poi ricco. Una sorta di disumano talismano in carne e ossa, per cui si è aperta una caccia aperta che farebbe rabbrividire anche il più cinico regista di film splatter. Ecco che vengono amputate braccia, gambe, genitali; vengono rasati la pelle e i capelli biondi. Alcune madri annegano i loro bambini bianchi subito dopo la nascita, poiché avere un albino in famiglia è considerata una maledizione. Agghiacciante è ciò che accade sul Lago Vittoria: i pescatori pensano di catturare pesci ripieni di oro usando carne di albino come esca. Addirittura tessono reti con i peli di albino. La taglia sugli albini può arrivare fino a 350.000 dollari. Non si fa discriminazione di genere o età. Magra consolazione. Ma contro gli albini non c’è solo una caccia spietata. Ci sono anche disagi vari, che non gli permettono una vita normale: hanno problemi di vista e vengono emarginati dalle lezioni. Inoltre hanno bisogno di speciali creme per il sole, anche molto costose; in mancanza, sono costretti a restare chiusi fino ad una certa ora, essendo il sole africano notoriamente cocente.
IL CALCIO COME SPERANZA – Lo sport, si sa, può essere occasione di rivalsa sociale. Anche per i neri albini. E lo sa bene Oscar Haule, cristiano dalla pelle nera che sa benissimo che anche nella sua famiglia potevano esserci albini (ha 3 figli) o poteva esserlo lui stesso. Non sopporta il fatto che i comandamenti “Non uccidere”e “Ama il prossimo tuo come te stesso” sono stati violati e lui vuole fare qualcosa per ovviare a ciò. Quarantaquattro anni, commerciante di automobili giapponesi, ha fondato una squadra di calcio, una squadra formata da soli albini, come dice lo stesso nome: Albino United. Sa che la Tanzania ama il calcio e spera che proprio attraverso questo sport possa amare anche chi è nato con pelle diversa. Qualche bella storia, Haule può già raccontarla, con tanto di soddisfazione: Paul Enock, tra gli albini calciatori, era fuggito a undici anni con i suoi genitori dai pregiudizi del paese verso la città di Dar es Salaam. In realtà, non ha mai voluto tornare di nuovo là, dove i suoi compagni di classe lo prendevano in giro con nomignoli quali “nessuno”, “Zero-Zero” o “spirito”. “Senza la mia squadra –spiega Enock – non mi sarei mai sposato lì. Pochi mesi fa, i cacciatori volevano tagliare le mani a mia sorella per venderli, ed è riuscita a malapena a scappare”. Poi c’è Shafii Jabir, 17 anni, che ha un solo obiettivo: diventare la prima star internazionale di calcio Albino. Per Shafii “non solo sarebbe la prova che tutti gli albini possono emulare i grandi campioni neri, come la stella del Chelsea Didier Drogba, ma sarebbe possibile per i giovani fuggire dalla povertà opprimente”. Anche Shafii proviene da una storia triste: sua madre nera quando lo concepì, fu accusata dal marito di essergli stata infedele e la cacciò. Lui sente molto la mancanza della madre, che non ha più rivisto. Infine, c’è Rajabu Saidi Sumuni, 16 anni. E’ ricoverato presso l’Ocean Road Hospital, lascito dell’allora colonia tedesca nel 1897. I medici gli hanno esportato un tumore maligno sulla guancia destra. “Speriamo che la squadra venga qualche volta al mio paese, per mostrare alla gente che siamo persone normali che possono anche giocare a calcio”, dice il ragazzo con lo sguardo timido. Speriamo che la sorte sorrida ai neri albini. E che magari chissà, qualcuno diventi anche un campione di calcio..
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Fonte:Giornalettismo.com
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