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Il Kenya sbaglia costituzione e anche referendum
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Il Kenya sbaglia costituzione e anche referendum
Il Kenya sbaglia costituzione e anche referendum.
Non è la prima volta che si tenta di mettere mano alla Costituzione in Kenya, un Paese che dall’indipendenza a oggi ha goduto di una relativa stabilità. Ma questa volta pare proprio che, stando ai sondaggi, la bozza della legge suprema, approvata dal Parlamento di Nairobi il primo aprile scorso, verrà confermata dalla maggioranza del corpo elettorale.
Purtroppo, come già è avvenuto in passato – ad esempio nel corso delle elezioni del 2007 – questo appuntamento è caratterizzato da forti contrapposizioni interne che potrebbero destabilizzare il già debole governo di unità nazionale. Se da una parte è vero che il testo sottoposto al giudizio popolare prevede dei principi estremamente innovativi rispetto al passato – limitazioni ai poteri del presidente, la devoluzione di diverse attribuzioni dello Stato centrale verso i poteri regionali, gettando le basi per l’agognata riforma fondiaria –, dall’altra la bozza costituzionale ha trovato l’opposizione delle Chiese cristiane. In particolare della Chiesa cattolica che fino ad alcuni mesi fa era in prima fila nel promuovere la revisione del dettato costituzionale e, poi, è stata indotta a mutare avviso. Per due serissimi motivi.
Il primo riguarda la clausola che sposta l’inizio della vita dal concepimento alla nascita. Questa proposta viene vista dai cattolici – ma anche da altre confessioni cristiane e dai musulmani – come propedeutica alla legalizzazione dell’aborto, nel contesto di una crescente cultura negazionista rispetto ai diritti del nascituro. Basti pensare che sarebbero circa 800 gli aborti praticati ogni giorno in Kenya.
La seconda obiezione, condivisa da tutte le Chiese, riguarda invece il riconoscimento delle corti civili islamiche, le cosiddette Kadhi Courts, che sarebbe contrastante con il sistema giurisprudenziale di uno stato positivamente laico. A questo proposito c’è da considerare che le popolazioni costiere del Kenya, di tradizione islamica, hanno da sempre goduto di un particolare status cui non vogliono rinunciare.
Il caso scatenato dalle Kadhi Courts potrebbe rappresentare comunque un fattore destabilizzante. Il problema di fondo, come ha rilevato l’arcivescovo di Nairobi, il cardinale John Njue, è di ordine metodologico nel senso che ridurre il giudizio sulla Legge Suprema dello Stato a un "sì" o a un "no" è fuorviante. Secondo il porporato, «vi sono stati dei miglioramenti della bozza costituzionale, ma il buono è stato mischiato con alcuni paragrafi cattivi che incidono sulla vita morale e i diritti della persona». Sarebbe stato più logico affidare la redazione del testo costituzionale a un’assemblea costituente (come in un primo momento s’era pensato di fare), nella quale fossero incluse non solo le forze politiche, ma anche le espressioni più significative della società civile, ponendo al vaglio degli elettori le questioni controverse in forma di specifici quesiti, nell’ambito di un referendum più articolato.
Tutto il dibattito s’è risolto, invece, nel recinto del Parlamento, che ha approvato una bozza redatta da un’apposita commissione. E mentre il presidente Mwai Kibaki e il primo ministro Raila Odinga si sono espressi favorevolmente nei confronti del nuovo testo (con l’appoggio del governo di Washington, che avrebbe promesso aiuti finanziari in cambio dell’approvazione), a dire "no" alla bozza, oltre alle confessioni cristiane, sono stati personaggi alquanto controversi, come l’ex presidente Daniel arap Moi e il ministro dell’Università, William Ruto. Ovviamente, per motivi diversi da quelli delle Chiese cristiane. Ma il pasticcio è ormai fatto, indipendentemente dall’esito finale della consultazione.
Il timore di rivolte popolari la dice lunga sulle incognite di questo importante passaggio politico.
Giulio Albanese
Fonte: Avvenire.it
Non è la prima volta che si tenta di mettere mano alla Costituzione in Kenya, un Paese che dall’indipendenza a oggi ha goduto di una relativa stabilità. Ma questa volta pare proprio che, stando ai sondaggi, la bozza della legge suprema, approvata dal Parlamento di Nairobi il primo aprile scorso, verrà confermata dalla maggioranza del corpo elettorale.
Purtroppo, come già è avvenuto in passato – ad esempio nel corso delle elezioni del 2007 – questo appuntamento è caratterizzato da forti contrapposizioni interne che potrebbero destabilizzare il già debole governo di unità nazionale. Se da una parte è vero che il testo sottoposto al giudizio popolare prevede dei principi estremamente innovativi rispetto al passato – limitazioni ai poteri del presidente, la devoluzione di diverse attribuzioni dello Stato centrale verso i poteri regionali, gettando le basi per l’agognata riforma fondiaria –, dall’altra la bozza costituzionale ha trovato l’opposizione delle Chiese cristiane. In particolare della Chiesa cattolica che fino ad alcuni mesi fa era in prima fila nel promuovere la revisione del dettato costituzionale e, poi, è stata indotta a mutare avviso. Per due serissimi motivi.
Il primo riguarda la clausola che sposta l’inizio della vita dal concepimento alla nascita. Questa proposta viene vista dai cattolici – ma anche da altre confessioni cristiane e dai musulmani – come propedeutica alla legalizzazione dell’aborto, nel contesto di una crescente cultura negazionista rispetto ai diritti del nascituro. Basti pensare che sarebbero circa 800 gli aborti praticati ogni giorno in Kenya.
La seconda obiezione, condivisa da tutte le Chiese, riguarda invece il riconoscimento delle corti civili islamiche, le cosiddette Kadhi Courts, che sarebbe contrastante con il sistema giurisprudenziale di uno stato positivamente laico. A questo proposito c’è da considerare che le popolazioni costiere del Kenya, di tradizione islamica, hanno da sempre goduto di un particolare status cui non vogliono rinunciare.
Il caso scatenato dalle Kadhi Courts potrebbe rappresentare comunque un fattore destabilizzante. Il problema di fondo, come ha rilevato l’arcivescovo di Nairobi, il cardinale John Njue, è di ordine metodologico nel senso che ridurre il giudizio sulla Legge Suprema dello Stato a un "sì" o a un "no" è fuorviante. Secondo il porporato, «vi sono stati dei miglioramenti della bozza costituzionale, ma il buono è stato mischiato con alcuni paragrafi cattivi che incidono sulla vita morale e i diritti della persona». Sarebbe stato più logico affidare la redazione del testo costituzionale a un’assemblea costituente (come in un primo momento s’era pensato di fare), nella quale fossero incluse non solo le forze politiche, ma anche le espressioni più significative della società civile, ponendo al vaglio degli elettori le questioni controverse in forma di specifici quesiti, nell’ambito di un referendum più articolato.
Tutto il dibattito s’è risolto, invece, nel recinto del Parlamento, che ha approvato una bozza redatta da un’apposita commissione. E mentre il presidente Mwai Kibaki e il primo ministro Raila Odinga si sono espressi favorevolmente nei confronti del nuovo testo (con l’appoggio del governo di Washington, che avrebbe promesso aiuti finanziari in cambio dell’approvazione), a dire "no" alla bozza, oltre alle confessioni cristiane, sono stati personaggi alquanto controversi, come l’ex presidente Daniel arap Moi e il ministro dell’Università, William Ruto. Ovviamente, per motivi diversi da quelli delle Chiese cristiane. Ma il pasticcio è ormai fatto, indipendentemente dall’esito finale della consultazione.
Il timore di rivolte popolari la dice lunga sulle incognite di questo importante passaggio politico.
Giulio Albanese
Fonte: Avvenire.it
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