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Donne maltrattate, e senza risorse
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Donne maltrattate, e senza risorse
Donne maltrattate, e senza risorse
Anna Mollah, una musulmana di origine kenyota, ha subito abusi dal marito per vent'anni senza avere nessuno a cui rivolgersi.
NEW YORK, - Intervistata nella sua casa di Glen Oaks, nel Queens, Anna Mollah piange senza sosta ricordando le percosse subite dal marito.
Mentre era incinta del loro primo figlio, la colpiva con pugni nello stomaco, la prendeva a calci mentre aspettava la seconda figlia, e ancora durante la terza gravidanza. La picchiava quando discutevano della bolletta della luce, quando lui aveva mal di testa, o se disapprovava i libri di scuola che lei comprava per i bambini.
La insultava ripetutamente, chiamandola "donna inutile", "spazzatura" e "buona a nulla", e alla fine glielo faceva credere.
Un giorno Anna prese l'auto di famiglia per fare alcune commissioni senza il suo permesso e lui si infuriò. Ebbero una discussione, lui era fuori di sé. Poi scoppiò, le avvolse le mani intorno al collo e strinse forte. Lei cercò di urlare per chiedere aiuto mentre lui la strangolava. Riuscì solo a dire: "Chiamo la polizia". Poi lui la spinse a terra con violenza.
Anna nasconde il viso tra le sue piccole mani e comincia a singhiozzare, mentre ricorda la paura e l’orrore che vide negli occhi dei suoi figli mentre assistevano alla scena.
Anna Mollah, come lei stessa racconta, è stata vittima di violenze domestiche per vent’anni. Sapeva che a New York nessuno avrebbe aiutato una come lei, un’immigrata musulmana proveniente dal'Kenya.
"Perdi ogni speranza", ha detto. “Non sai più che fare".
Così Mollah rimase in silenzio per 20 anni, condividendo il suo segreto solo con Dio.
Per Mollah e per migliaia di altre donne immigrate che come lei hanno subito maltrattamenti, rompere il silenzio è estremamente difficile. Le donne straniere faticano a denunciare gli abusi molto più delle donne statunitensi, per una serie di ragioni: barriere linguistiche, la paura di essere rimandate nel loro paese e i tabù culturali sulla possibilità di parlare dei problemi coniugali, secondo l’ufficio municipale di New York responsabile della lotta alla violenza domestica.
Anna Mollah ha nascosto per anni tutti gli abusi subiti, era troppo imbarazzata per confidarli persino alla madre e alla sorella, quando anche loro si trasferirono nel Queens.
"Mi vergognavo, mi sentivo molto imbarazzata", ha spiegato. "Siamo noi che scegliamo con chi stare. Ero d’accordo di sposarlo ma poi ho fallito. Per questo non potevo dirlo a nessuno. Non l’ho mai raccontato a nessuno".
Centinaia di organizzazioni no-profit di New York City danno sostegno alle donne maltrattate. Gli enti comunali che combattono la violenza domestica hanno strutture che dirigono le vittime verso gruppi di supporto, rifugi e aiuti legali. Il personale parla più di 20 lingue, ed è in grado di comunicare in 150 lingue.
"I servizi esistono e sono gratuiti", ha detto la portavoce di OCDV , Ruth Villalonga.
Ma secondo alcuni, molte organizzazioni non riescono a soddisfare le esigenze dei nuovi gruppi di immigrati; spesso le vittime preferirebbero cercare aiuto tra le persone della loro stessa etnia o religione.
Secondo Robina Niaz, direttrice del centro “Turning Point for women and families”, gli immigrati più recenti, soprattutto sud-asiatici e musulmani, stanno ancora lottando per farcela da soli. Niaz fondò nel 2004 questa organizzazione per le donne musulmane a Flushing, nel Queens.
Attualmente in città la sua è l'unica organizzazione di sostegno agli abusi per le donne musulmane, ha detto.
"Se provi un senso di appartenenza, allora puoi già superare alcune paure", ha detto Niaz, un’immigrata musulmana venuta dal Pakistan. "Gli abusi ti isolano. Come si rompe l'isolamento? Creando organizzazioni. Il senso di sicurezza è fondamentale".
Wanted: Zona di sicurezza
Niaz ritiene che molte associazioni non possono soddisfare le esigenze delle donne musulmane e di conseguenza non riescono a trasmettere un senso di sicurezza. Per esempio, Niaz dice che sono pochi i rifugi che hanno uno spazio apposito in cui i musulmani possano pregare, o che tengono conto delle loro esigenze alimentari; i musulmani non mangiano carne di maiale, per esempio.
Le donne musulmane sono tradizionalmente reticenti nel discutere le proprie difficoltà personali, ha aggiunto Niaz, ammettendo che lei stessa aveva tenuto nascosti gli abusi verbali del marito.
"Le nostre donne spesso provengono da culture in cui di norma aspettano che qualcuno chieda loro se qualcosa non va», dice. "Spetta alle famiglie interessarsi e capire se qualcuno ha bisogno di aiuto. Qui in America la gente chiede: 'Come facevo a sapere che avevi bisogno di aiuto se non mi hai detto niente?' E le donne musulmane rispondono: "Beh, non me l’hai mai chiesto'".
Niaz crede che se le organizzazioni musulmane fossero più presenti, la violenza domestica sarebbe meno uno stigma. New York ospita la seconda più grande comunità musulmana degli Stati Uniti, e Niaz pensa che il numero delle vittime musulmane in cerca di aiuto aumenterà.
Turning Point ha assistito più di 250 donne dalla sua fondazione, ma Niaz crede che potrebbe fornire ancora più aiuto con più dipendenti e più denaro (oggi il suo staff conta cinque persone). Lo spazio per gli uffici è composto da una sola stanza di piccole dimensioni, destinata all’assistenza legale. E un grosso contributo le arriverà dal suo principale finanziatore alla fine di giugno 2010.
Oggi i gruppi musulmani o le organizzazioni islamiche, fra cui Turning Point, non ricevono molti fondi: dopo l’11 settembre c’è molto scetticismo e ostilità nei loro confronti.
"I sentimenti anti-musulmani si stanno facendo più forti", ha detto Carroll Adem, presidente del Muslim Consultative Network New York. Carroll sostiene che gli americani sono sempre più prudenti nell’associare il loro nome a quello di organizzazioni musulmane, e possono rifiutarsi di fare donazioni agli enti di beneficenza islamici.
Niaz riconosce che la città, lo stato e le agenzie federali sanno che le organizzazioni contro gli abusi per gli immigrati hanno bisogno di soldi. Ma è anche scoraggiata dal fatto che il governo non stia considerando l’assistenza come una priorità.
Fino a quando gli enti comunali non concederanno finanziamenti, Niaz incoraggia la comunità musulmana a costruire autonomamente i propri arsenali di risorse. Gli assistenti sociali e avvocati musulmani sono pochissimi, ha detto.
Fonte: Speciale da NYU Livewire
Anna Mollah, una musulmana di origine kenyota, ha subito abusi dal marito per vent'anni senza avere nessuno a cui rivolgersi.
NEW YORK, - Intervistata nella sua casa di Glen Oaks, nel Queens, Anna Mollah piange senza sosta ricordando le percosse subite dal marito.
Mentre era incinta del loro primo figlio, la colpiva con pugni nello stomaco, la prendeva a calci mentre aspettava la seconda figlia, e ancora durante la terza gravidanza. La picchiava quando discutevano della bolletta della luce, quando lui aveva mal di testa, o se disapprovava i libri di scuola che lei comprava per i bambini.
La insultava ripetutamente, chiamandola "donna inutile", "spazzatura" e "buona a nulla", e alla fine glielo faceva credere.
Un giorno Anna prese l'auto di famiglia per fare alcune commissioni senza il suo permesso e lui si infuriò. Ebbero una discussione, lui era fuori di sé. Poi scoppiò, le avvolse le mani intorno al collo e strinse forte. Lei cercò di urlare per chiedere aiuto mentre lui la strangolava. Riuscì solo a dire: "Chiamo la polizia". Poi lui la spinse a terra con violenza.
Anna nasconde il viso tra le sue piccole mani e comincia a singhiozzare, mentre ricorda la paura e l’orrore che vide negli occhi dei suoi figli mentre assistevano alla scena.
Anna Mollah, come lei stessa racconta, è stata vittima di violenze domestiche per vent’anni. Sapeva che a New York nessuno avrebbe aiutato una come lei, un’immigrata musulmana proveniente dal'Kenya.
"Perdi ogni speranza", ha detto. “Non sai più che fare".
Così Mollah rimase in silenzio per 20 anni, condividendo il suo segreto solo con Dio.
Per Mollah e per migliaia di altre donne immigrate che come lei hanno subito maltrattamenti, rompere il silenzio è estremamente difficile. Le donne straniere faticano a denunciare gli abusi molto più delle donne statunitensi, per una serie di ragioni: barriere linguistiche, la paura di essere rimandate nel loro paese e i tabù culturali sulla possibilità di parlare dei problemi coniugali, secondo l’ufficio municipale di New York responsabile della lotta alla violenza domestica.
Anna Mollah ha nascosto per anni tutti gli abusi subiti, era troppo imbarazzata per confidarli persino alla madre e alla sorella, quando anche loro si trasferirono nel Queens.
"Mi vergognavo, mi sentivo molto imbarazzata", ha spiegato. "Siamo noi che scegliamo con chi stare. Ero d’accordo di sposarlo ma poi ho fallito. Per questo non potevo dirlo a nessuno. Non l’ho mai raccontato a nessuno".
Centinaia di organizzazioni no-profit di New York City danno sostegno alle donne maltrattate. Gli enti comunali che combattono la violenza domestica hanno strutture che dirigono le vittime verso gruppi di supporto, rifugi e aiuti legali. Il personale parla più di 20 lingue, ed è in grado di comunicare in 150 lingue.
"I servizi esistono e sono gratuiti", ha detto la portavoce di OCDV , Ruth Villalonga.
Ma secondo alcuni, molte organizzazioni non riescono a soddisfare le esigenze dei nuovi gruppi di immigrati; spesso le vittime preferirebbero cercare aiuto tra le persone della loro stessa etnia o religione.
Secondo Robina Niaz, direttrice del centro “Turning Point for women and families”, gli immigrati più recenti, soprattutto sud-asiatici e musulmani, stanno ancora lottando per farcela da soli. Niaz fondò nel 2004 questa organizzazione per le donne musulmane a Flushing, nel Queens.
Attualmente in città la sua è l'unica organizzazione di sostegno agli abusi per le donne musulmane, ha detto.
"Se provi un senso di appartenenza, allora puoi già superare alcune paure", ha detto Niaz, un’immigrata musulmana venuta dal Pakistan. "Gli abusi ti isolano. Come si rompe l'isolamento? Creando organizzazioni. Il senso di sicurezza è fondamentale".
Wanted: Zona di sicurezza
Niaz ritiene che molte associazioni non possono soddisfare le esigenze delle donne musulmane e di conseguenza non riescono a trasmettere un senso di sicurezza. Per esempio, Niaz dice che sono pochi i rifugi che hanno uno spazio apposito in cui i musulmani possano pregare, o che tengono conto delle loro esigenze alimentari; i musulmani non mangiano carne di maiale, per esempio.
Le donne musulmane sono tradizionalmente reticenti nel discutere le proprie difficoltà personali, ha aggiunto Niaz, ammettendo che lei stessa aveva tenuto nascosti gli abusi verbali del marito.
"Le nostre donne spesso provengono da culture in cui di norma aspettano che qualcuno chieda loro se qualcosa non va», dice. "Spetta alle famiglie interessarsi e capire se qualcuno ha bisogno di aiuto. Qui in America la gente chiede: 'Come facevo a sapere che avevi bisogno di aiuto se non mi hai detto niente?' E le donne musulmane rispondono: "Beh, non me l’hai mai chiesto'".
Niaz crede che se le organizzazioni musulmane fossero più presenti, la violenza domestica sarebbe meno uno stigma. New York ospita la seconda più grande comunità musulmana degli Stati Uniti, e Niaz pensa che il numero delle vittime musulmane in cerca di aiuto aumenterà.
Turning Point ha assistito più di 250 donne dalla sua fondazione, ma Niaz crede che potrebbe fornire ancora più aiuto con più dipendenti e più denaro (oggi il suo staff conta cinque persone). Lo spazio per gli uffici è composto da una sola stanza di piccole dimensioni, destinata all’assistenza legale. E un grosso contributo le arriverà dal suo principale finanziatore alla fine di giugno 2010.
Oggi i gruppi musulmani o le organizzazioni islamiche, fra cui Turning Point, non ricevono molti fondi: dopo l’11 settembre c’è molto scetticismo e ostilità nei loro confronti.
"I sentimenti anti-musulmani si stanno facendo più forti", ha detto Carroll Adem, presidente del Muslim Consultative Network New York. Carroll sostiene che gli americani sono sempre più prudenti nell’associare il loro nome a quello di organizzazioni musulmane, e possono rifiutarsi di fare donazioni agli enti di beneficenza islamici.
Niaz riconosce che la città, lo stato e le agenzie federali sanno che le organizzazioni contro gli abusi per gli immigrati hanno bisogno di soldi. Ma è anche scoraggiata dal fatto che il governo non stia considerando l’assistenza come una priorità.
Fino a quando gli enti comunali non concederanno finanziamenti, Niaz incoraggia la comunità musulmana a costruire autonomamente i propri arsenali di risorse. Gli assistenti sociali e avvocati musulmani sono pochissimi, ha detto.
Fonte: Speciale da NYU Livewire
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