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Speranza e umorismo per l’Africa
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Speranza e umorismo per l’Africa
Speranza e umorismo per l’Africa
Dettagli del libro
Titolo Diario africano
Autore Bill Bryson
Editore Guanda
Bill Bryson è uno dei più celebri scrittori di viaggio dei nostri tempi, una mente fervida che ha messo in relazione nei suoi scritti il mondo inglese e quello americano, la scienza e il viaggio, e soprattutto ha messo in evidenza certe somiglianze tra paesi ricchi e paesi poveri.
“Diario africano” è un ulteriore esempio della chiarezza della visione di Bryson, già testimoniata da testi come “Una città o l’altra” (“Neither here or there”, Guanda, 2002) in cui l’autore dimostra una capacità di arrivare al cuore dei problemi e del grottesco della realtà direttamente proporzionale a un accumulo di esperienze, fatti, visioni rapidissimo.
Il libro è stato concepito come piccolo veicolo promozionale per le attività di CARE International UK (http://www.care.org), organizzazione umanitaria fondata ad Atlanta nel 1945 ed attiva in tutto il mondo attraverso progetti di microcredito, autoaiuto economico, recupero delle derrate di cibo e sviluppo di programmi di igiene ed educazione sessuale nei paesi del Terzo Mondo.
CARE ha offerto a Bryson di visitare con alcuni compagni di viaggio in soli otto giorni il Kenya, paese in cui l’organizzazione è presente dal 1968; il risultato è un breve diario che si distingue per essenzialità e precisione nel ritratto di un paese per molti aspetti sconcertante.
C’è un lato ironico dato da riferimenti che Bryson fa a Karen Blixen e al suo “La mia Africa”, libro descritto inizialmente come una sorta di quadretto lontano dalla realtà dell’Africa del tempo; ma col passare dei giorni Bryson riconosce certe caratteristiche particolari del Kenya.
Si tratta cioè di un paese dove più ancora che fasce di ricchezza e miseria, si ha una convivenza assoluta di queste condizioni, per paradosso, negli slums, nelle baraccopoli, senza soluzione di continuità. Ad esempio la baraccopoli di Kibera, ai confini di Nairobi, è un luogo di agghiacciante miseria, dove però sorgono le migliori scuole della città, dove gli abitanti delle campagne si trasferiscono in massa e ai cui margini si trovava la residenza lussuosa dell’allora presidente Daniel Arap Moi.
Il Kenya appare a Bryson come un caos organizzato tanto piacevole quanto inquietante: spostamenti su mezzi a dir poco pericolosi possono avvenire con un’atmosfera di naturalezza sospesa, in fin dei conti divertita.
Ma ci sono anche problemi seri e che ricordano certe situazioni “croniche” in Europa, come la descrizione della zona in cui sono confinati profughi somali tutt’altro che poveri, ma letteralmente impossibilitati per ragioni politiche a “fare qualcosa”.
Più che la pura e semplice miseria, il problema del Kenya sembra essere appunto una dimensione di “impotenza”, quasi di noia: gli abitanti di Nairobi, Mombasa, Kisumu avrebbero le condizioni per migliorare il loro tenore di vita, ma sembrano tenuti in scacco tanto dalla corruzione cronica del governo quanto da una strana atmosfera di passività.
La breve esperienza di Bryson è perciò un viaggio nelle stranezze quasi europee dell’Africa relativamente meno povera, produce un senso di familiarità che in un certo senso rende ancora più complessa e interessante l’attività di CARE, legata non solo a concrete questioni di povertà endemica ma anche al tentativo di creare in milioni di persone una maggiore fiducia nei propri mezzi creativi.
Fonte: IL REPORTER
Dettagli del libro
Titolo Diario africano
Autore Bill Bryson
Editore Guanda
Bill Bryson è uno dei più celebri scrittori di viaggio dei nostri tempi, una mente fervida che ha messo in relazione nei suoi scritti il mondo inglese e quello americano, la scienza e il viaggio, e soprattutto ha messo in evidenza certe somiglianze tra paesi ricchi e paesi poveri.
“Diario africano” è un ulteriore esempio della chiarezza della visione di Bryson, già testimoniata da testi come “Una città o l’altra” (“Neither here or there”, Guanda, 2002) in cui l’autore dimostra una capacità di arrivare al cuore dei problemi e del grottesco della realtà direttamente proporzionale a un accumulo di esperienze, fatti, visioni rapidissimo.
Il libro è stato concepito come piccolo veicolo promozionale per le attività di CARE International UK (http://www.care.org), organizzazione umanitaria fondata ad Atlanta nel 1945 ed attiva in tutto il mondo attraverso progetti di microcredito, autoaiuto economico, recupero delle derrate di cibo e sviluppo di programmi di igiene ed educazione sessuale nei paesi del Terzo Mondo.
CARE ha offerto a Bryson di visitare con alcuni compagni di viaggio in soli otto giorni il Kenya, paese in cui l’organizzazione è presente dal 1968; il risultato è un breve diario che si distingue per essenzialità e precisione nel ritratto di un paese per molti aspetti sconcertante.
C’è un lato ironico dato da riferimenti che Bryson fa a Karen Blixen e al suo “La mia Africa”, libro descritto inizialmente come una sorta di quadretto lontano dalla realtà dell’Africa del tempo; ma col passare dei giorni Bryson riconosce certe caratteristiche particolari del Kenya.
Si tratta cioè di un paese dove più ancora che fasce di ricchezza e miseria, si ha una convivenza assoluta di queste condizioni, per paradosso, negli slums, nelle baraccopoli, senza soluzione di continuità. Ad esempio la baraccopoli di Kibera, ai confini di Nairobi, è un luogo di agghiacciante miseria, dove però sorgono le migliori scuole della città, dove gli abitanti delle campagne si trasferiscono in massa e ai cui margini si trovava la residenza lussuosa dell’allora presidente Daniel Arap Moi.
Il Kenya appare a Bryson come un caos organizzato tanto piacevole quanto inquietante: spostamenti su mezzi a dir poco pericolosi possono avvenire con un’atmosfera di naturalezza sospesa, in fin dei conti divertita.
Ma ci sono anche problemi seri e che ricordano certe situazioni “croniche” in Europa, come la descrizione della zona in cui sono confinati profughi somali tutt’altro che poveri, ma letteralmente impossibilitati per ragioni politiche a “fare qualcosa”.
Più che la pura e semplice miseria, il problema del Kenya sembra essere appunto una dimensione di “impotenza”, quasi di noia: gli abitanti di Nairobi, Mombasa, Kisumu avrebbero le condizioni per migliorare il loro tenore di vita, ma sembrano tenuti in scacco tanto dalla corruzione cronica del governo quanto da una strana atmosfera di passività.
La breve esperienza di Bryson è perciò un viaggio nelle stranezze quasi europee dell’Africa relativamente meno povera, produce un senso di familiarità che in un certo senso rende ancora più complessa e interessante l’attività di CARE, legata non solo a concrete questioni di povertà endemica ma anche al tentativo di creare in milioni di persone una maggiore fiducia nei propri mezzi creativi.
Fonte: IL REPORTER
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