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Kenya - Le autorità contro i musulmani somali
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Kenya - Le autorità contro i musulmani somali
Kenya - Le autorità contro i musulmani somali
Nairobi 26 gen.-Da circa due settimane diverse migliaia di persone si sono riversate nelle strade di Nairobi, la capitale del Kenya, per protestare contro il governo. Le manifestazioni sono state organizzate dai vertici del Muslim Human Rights Forum (Mhrf) contro la volontà del governo keniano di estradare in Giamaica l’Imam anglo-giamaicano Sheikh Abdullah al-Faisal. La repressione delle forze di polizia del Kenya è stata durissima, con più di 300 fermi e almeno due civili uccisi. Molti degli arrestati sono di nazionalità somala: tra di essi, anche due parlamentari delle Istituzioni Federali di Transizione (Ift) di Mogadiscio che alloggiavano presso l’Hotel Barakat, nei pressi del quartiere Islii dove risiede la comunità somala più imponente di Nairobi. La repressione è stata giustificata dalle autorità keniane come intervento preventivo diretto contro elementi sospettati di essere legati ad al-Shabaab, il movimento islamista radicale che oggi controlla almeno l’ottanta percento della Somalia centro-meridionale. I vertici di al-Shabaab però, attraverso una dichiarazione ufficiale, hanno subito smentito il coinvolgimento, ammonendo per contro il governo di Nairobi di non intromettersi negli affari interni della Somalia. I dubbi restano, ma al di là delle accuse del Kenya ad al-Shabaab la comunità musulmana del paese, soprattutto dopo gli attentati di Nairobi e Mombasa del 1998 e del 2002, resta sempre più emarginata e soggetta a controlli stringenti. Perché la manifestazione di Nairobi ha finito per coinvolgere principalmente la comunità somala? Sono davvero fondate le accuse mosse ad al-Shabaab di voler creare dei focolai di destabilizzazione in territorio keniano?
La nuova escalation repressiva comincia lo scorso dicembre. È la vigilia di Natale, quando al confine che separa la Tanzania dal Kenya si presenta un giovane Imam con un forte accento britannico. Un banale errore del computer non permette alle autorità di frontiera di riconoscerne immediatamente le generalità, lasciandolo quindi entrare liberamente nel paese e dirigersi a Mombasa, seconda città più importante del Kenya e residenza di una folta comunità musulmana. In quel momento la polizia ignora che si tratta di Sheikh Abdullah al-Faisal, un Imam britannico di origini giamaicane condannato il 23 febbraio del 2003 a nove anni di reclusione in Gran Bretagna con l’accusa di istigazione alla violenza e odio razziale. Secondo fonti di intelligence britanniche, tra i seguaci di al-Faisal ci sarebbero stati anche Mohammad Sidique Khan e Germaine Lindsay, due dei quattro responsabili degli attentati di Londra del 7 luglio 2005. Nel maggio del 2007 Sheikh Abdullah al-Faisal viene rilasciato dalle autorità britanniche ed espulso definitivamente dal paese.
Fonte: The voice Africa
Nairobi 26 gen.-Da circa due settimane diverse migliaia di persone si sono riversate nelle strade di Nairobi, la capitale del Kenya, per protestare contro il governo. Le manifestazioni sono state organizzate dai vertici del Muslim Human Rights Forum (Mhrf) contro la volontà del governo keniano di estradare in Giamaica l’Imam anglo-giamaicano Sheikh Abdullah al-Faisal. La repressione delle forze di polizia del Kenya è stata durissima, con più di 300 fermi e almeno due civili uccisi. Molti degli arrestati sono di nazionalità somala: tra di essi, anche due parlamentari delle Istituzioni Federali di Transizione (Ift) di Mogadiscio che alloggiavano presso l’Hotel Barakat, nei pressi del quartiere Islii dove risiede la comunità somala più imponente di Nairobi. La repressione è stata giustificata dalle autorità keniane come intervento preventivo diretto contro elementi sospettati di essere legati ad al-Shabaab, il movimento islamista radicale che oggi controlla almeno l’ottanta percento della Somalia centro-meridionale. I vertici di al-Shabaab però, attraverso una dichiarazione ufficiale, hanno subito smentito il coinvolgimento, ammonendo per contro il governo di Nairobi di non intromettersi negli affari interni della Somalia. I dubbi restano, ma al di là delle accuse del Kenya ad al-Shabaab la comunità musulmana del paese, soprattutto dopo gli attentati di Nairobi e Mombasa del 1998 e del 2002, resta sempre più emarginata e soggetta a controlli stringenti. Perché la manifestazione di Nairobi ha finito per coinvolgere principalmente la comunità somala? Sono davvero fondate le accuse mosse ad al-Shabaab di voler creare dei focolai di destabilizzazione in territorio keniano?
La nuova escalation repressiva comincia lo scorso dicembre. È la vigilia di Natale, quando al confine che separa la Tanzania dal Kenya si presenta un giovane Imam con un forte accento britannico. Un banale errore del computer non permette alle autorità di frontiera di riconoscerne immediatamente le generalità, lasciandolo quindi entrare liberamente nel paese e dirigersi a Mombasa, seconda città più importante del Kenya e residenza di una folta comunità musulmana. In quel momento la polizia ignora che si tratta di Sheikh Abdullah al-Faisal, un Imam britannico di origini giamaicane condannato il 23 febbraio del 2003 a nove anni di reclusione in Gran Bretagna con l’accusa di istigazione alla violenza e odio razziale. Secondo fonti di intelligence britanniche, tra i seguaci di al-Faisal ci sarebbero stati anche Mohammad Sidique Khan e Germaine Lindsay, due dei quattro responsabili degli attentati di Londra del 7 luglio 2005. Nel maggio del 2007 Sheikh Abdullah al-Faisal viene rilasciato dalle autorità britanniche ed espulso definitivamente dal paese.
Fonte: The voice Africa
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