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Chiuso il confine con la Somalia
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Chiuso il confine con la Somalia
Kenia - Chiuso il confine con la Somalia
Tutti i passaggi di frontiera tra Kenya e Somalia sono stati chiusi. Lo riferisce il principale quotidiano keniano, il Daily Nation, citando fonti governative le quali hanno precisato che le frontiere - dove già nelle scorse settimane, con l’intensificarsi della conflittualità in territorio somalo, erano aumentati i controlli - sono state “sigillate” per garantire la sicurezza in territorio keniano ed evitare che i combattimenti tra elementi armati antigovernativi e forze fedeli al governo di transizione somalo (Tfg) possano estendersi alle aree circostanti. La chiusura completa delle frontiere tra i due paesi, ha precisato un funzionario keniano alla stampa, riguarda non solo i valichi di terra, ma anche la chiusura dello spazio aereo e marittimo, oltre a “scoraggiare” le attività commerciali ‘informali’ nelle zone di confine. Nei giorni scorsi l’esercito avevano inviato rinforzi in tutti i principali valichi di frontiera e aumentato i pattugliamenti lungo le zone di confine considerate più ‘porose’. Intanto sarebbe salito a 12 il bilancio delle persone morte oggi a Mogadiscio, e a 17 quello dei feriti, nei combattimenti tra insorti vicini all'opposizione e forze governative somale appoggiate dai caschi verdi della missione dell'Unione Africana..
FONTE: Misna
Tutti i passaggi di frontiera tra Kenya e Somalia sono stati chiusi. Lo riferisce il principale quotidiano keniano, il Daily Nation, citando fonti governative le quali hanno precisato che le frontiere - dove già nelle scorse settimane, con l’intensificarsi della conflittualità in territorio somalo, erano aumentati i controlli - sono state “sigillate” per garantire la sicurezza in territorio keniano ed evitare che i combattimenti tra elementi armati antigovernativi e forze fedeli al governo di transizione somalo (Tfg) possano estendersi alle aree circostanti. La chiusura completa delle frontiere tra i due paesi, ha precisato un funzionario keniano alla stampa, riguarda non solo i valichi di terra, ma anche la chiusura dello spazio aereo e marittimo, oltre a “scoraggiare” le attività commerciali ‘informali’ nelle zone di confine. Nei giorni scorsi l’esercito avevano inviato rinforzi in tutti i principali valichi di frontiera e aumentato i pattugliamenti lungo le zone di confine considerate più ‘porose’. Intanto sarebbe salito a 12 il bilancio delle persone morte oggi a Mogadiscio, e a 17 quello dei feriti, nei combattimenti tra insorti vicini all'opposizione e forze governative somale appoggiate dai caschi verdi della missione dell'Unione Africana..
FONTE: Misna
fio- Sostenitore
- Numero di messaggi : 3168
Data d'iscrizione : 21.04.09
Età : 77
Località : Como-Malindi-Africa
Re: Chiuso il confine con la Somalia
La situazione in Somalia si aggrava di settimana in settimana...la crisi che prima riguardava solo un povero paese africano dimenticato da Dio e dal mondo è salita agli onori della cronaca quando la situazione ha interesato anche gli occidentali...dai rapimenti alle azioni di pirateria nel golfo di Aden. Solo ora la situazione della Somalia sta incominciando ad interessare l'opinione pubblica...e la interesserà sempre di più. Sempre più spesso infatti si sente parlare della Somalia come il nuovo Afghanistan!!..Se davvero il paese africano sta diventando il nuovo covo del terrorismo ci sarà da aspettarsi, prima o poi, anche l'esplosione di un conflitto!
Se la situazione è cosi grave, il Kenya fa benissimo a tutelarsi con tutte le forze e le possibilità che ha a disposizione!!! Il Kenya è una delle roccaforti più importanti per la stabilità e la democrazia dell'Africa e non può assolutamente essere destabiliato dall'estremismo islamico che cerca di infiltrarsi nel paese passando il confine somalo. Il Kenya, e la stessa Somalia, dovrebbero essere, anzi, aiutati da tutta la comunità internazionale.
Con questo provvedimento, finalmente, ora diminuiranno (almeno si spera) gli atti di brigantaggio e i rapimenti nel nord est del Kenya!
Qui sotto incollo un avviso preso dal sito www.viaggiaresicuri.it sulla situazione in Somalia..tanto per capirci qualcosa!
Iaia
Se la situazione è cosi grave, il Kenya fa benissimo a tutelarsi con tutte le forze e le possibilità che ha a disposizione!!! Il Kenya è una delle roccaforti più importanti per la stabilità e la democrazia dell'Africa e non può assolutamente essere destabiliato dall'estremismo islamico che cerca di infiltrarsi nel paese passando il confine somalo. Il Kenya, e la stessa Somalia, dovrebbero essere, anzi, aiutati da tutta la comunità internazionale.
Con questo provvedimento, finalmente, ora diminuiranno (almeno si spera) gli atti di brigantaggio e i rapimenti nel nord est del Kenya!
Qui sotto incollo un avviso preso dal sito www.viaggiaresicuri.it sulla situazione in Somalia..tanto per capirci qualcosa!
Si sconsigliano viaggi a qualsiasi titolo nel Paese.
Gran parte della Somalia centro-meridionale e’ sotto l’occupazione del movimento estremistico islamista “Shabaab”. Dai primi di maggio, a Mogadiscio e’ in corso un attacco armato degli Shabaab al Governo Federale Transitorio. Mentre in tutta la Somalia centro-meridionale il rischio resta altissimo, anche nelle regioni del Puntland e del Somaliland (Hargheisa e Bosaso sono state colpite da cinque attentati suicidi avvenuti il 29/10/2008) le condizioni di sicurezza sono estremamente precarie, a causa di possibili azioni di estremisti islamici. In tutto il Paese permane elevatissimo il rischio di rapimenti di stranieri. Si sono recentemente registrati sconfinamenti di predoni verso il vicino Kenya, che hanno assaltato e rapito stranieri portandoli nel territorio somalo a scopo di riscatto.
Né l’Italia né gli altri Paesi europei hanno una rappresentanza diplomatica in Somalia. E’ pertanto estremamente difficile ed in molti casi impossibile prestare assistenza consolare ai connazionali in tutto il territorio somalo e, qualora vi sia un ulteriore deterioramento della situazione, potrebbe essere impossibile prevedere qualsiasi intervento di assistenza o di emergenza.
A coloro che sotto la propria esclusiva responsabilità intendano recarsi in Somalia, si raccomanda comunque di informare di ogni spostamento nel Paese l’Ambasciata d’Italia a Nairobi (tel.00254-20-343144; 00254-20-2247750; fax 00254-20-2247086; e-mail: ambasciata.nairobi@esteri.it) e di registrare i dati relativi al viaggio sul sito www.dovesiamonelmondo.it.
Permane il rischio elevato di atti di pirateria marittima con sequestri di navi nelle acque territoriali somale e soprattutto lungo le coste. Ai motopescherecci italiani si raccomanda vivamente di astenersi dal navigare in prossimità delle acque territoriali somale e di operare in base a licenze o permessi di qualsiasi tipo, concessi da autorità o gruppi locali. In proposito, si segnala che nel maggio 2007 l’IMO ha raccomandato di navigare a una distanza non inferiore alle 200 miglia nautiche dalla costa somala.
Iaia
Iaiaa- Utente
- Numero di messaggi : 306
Data d'iscrizione : 18.05.09
Età : 34
Località : na
Re: Chiuso il confine con la Somalia
Riprendendo il discorso di Iaiaa, qualcosa mi dice che tra non molto ci troveremo ad inviare soldati in "missione di pace" anche in Somalia...
ele_jambo- Simpatizzante
- Numero di messaggi : 83
Data d'iscrizione : 26.05.09
Età : 36
Località : Terra
Re: Chiuso il confine con la Somalia
Lo credo anche io!...Sinceramente non so se sarebbe un bene o un male per la Somalia...questo dipenderebbe dalle modalità di un eventuale operazione di pace (anche se non confido particolarmente in questo genere di cose, soprattutto se per "missione di pace" si intende una guerra vera e propria o non muovere un dito com'è successo in Congo)! bha...Staremo a vedere... per ora meglio non allarmarsi
Iaiaa- Utente
- Numero di messaggi : 306
Data d'iscrizione : 18.05.09
Età : 34
Località : na
Re: Chiuso il confine con la Somalia
Si infatti...non ci allarmiamo...una "missione di pace" non farebbe bene a nessuno....
Re: Chiuso il confine con la Somalia
Somalia/ Unhcr: nuova ondata rifugiati somali in Kenya
Sovraccarico il campo Dadaab, area inoltre a rischio inondazioni
Sono oltre 50mila i somali in fuga dai combattimenti e dalla crescente crisi umanitaria nel loro paese che si sono rifugiati in Kenya dall'inizio dell'anno: lo riferisce in un comunicato l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), secondo il quale i rifugiati arrivano ad una media di 6.400 al mese, aumentando la pressione sulle già sovraccariche infrastrutture e risorse dei campi di Dadaab, nel Kenya settentrionale, che attualmente ospita il triplo della popolazione per cui era stato progettato. A metà agosto l'Unhcr aveva avviato un programma volto a decongestionare il campo di Dadaab e iniziato il trasferimento di 12.900 rifugiati nel campo di Kakuma, nel Kenya nord-occidentale. Nonostante siano già stati trasferiti 9.570 rifugiati, la popolazione del campo di Dadaab rimane praticamente invariata. Attualmente ci sono 281.600 rifugiati somali. Mercoledì scorso il 16esimo convoglio, formato da 13 autobus che portavano 650 rifugiati, ha lasciato il campo di Dadaab raggiungendo oggi quello di Kakuma. Il trasferimento, attuato dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), dovrebbe venire completato entro il 7 ottobre. Dopo una lunga siccità, ora molte aree del Kenya sono inondate da piogge torrenziali. Mentre i meteorologi prevedono che sul paese si abbatterà El Nino, l'Unhcr teme che il campo di Dadaab sarà soggetto a gravi inondazioni nelle prossime settimane, mettendo a rischio la salute dei rifugiati. Nel frattempo, da maggio scorso, gli scontri tra le forze governative e i gruppi ribelli hanno costretto circa 250mila somali a fuggire dalle loro case nella capitale Mogadiscio. La maggior parte ha trovato rifugio nel corridoio di Afgooye, 30 chilometri a ovest della capitale. Questi siti provvisori ospitano attualmente 524.000 sfollati interni che vivono in condizioni terribili, visti i gravi ostacoli che le organizzazioni umanitarie devono affrontare per riuscire a raggiungerli.
Fonte : Virgilio notizie
Sovraccarico il campo Dadaab, area inoltre a rischio inondazioni
Sono oltre 50mila i somali in fuga dai combattimenti e dalla crescente crisi umanitaria nel loro paese che si sono rifugiati in Kenya dall'inizio dell'anno: lo riferisce in un comunicato l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), secondo il quale i rifugiati arrivano ad una media di 6.400 al mese, aumentando la pressione sulle già sovraccariche infrastrutture e risorse dei campi di Dadaab, nel Kenya settentrionale, che attualmente ospita il triplo della popolazione per cui era stato progettato. A metà agosto l'Unhcr aveva avviato un programma volto a decongestionare il campo di Dadaab e iniziato il trasferimento di 12.900 rifugiati nel campo di Kakuma, nel Kenya nord-occidentale. Nonostante siano già stati trasferiti 9.570 rifugiati, la popolazione del campo di Dadaab rimane praticamente invariata. Attualmente ci sono 281.600 rifugiati somali. Mercoledì scorso il 16esimo convoglio, formato da 13 autobus che portavano 650 rifugiati, ha lasciato il campo di Dadaab raggiungendo oggi quello di Kakuma. Il trasferimento, attuato dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), dovrebbe venire completato entro il 7 ottobre. Dopo una lunga siccità, ora molte aree del Kenya sono inondate da piogge torrenziali. Mentre i meteorologi prevedono che sul paese si abbatterà El Nino, l'Unhcr teme che il campo di Dadaab sarà soggetto a gravi inondazioni nelle prossime settimane, mettendo a rischio la salute dei rifugiati. Nel frattempo, da maggio scorso, gli scontri tra le forze governative e i gruppi ribelli hanno costretto circa 250mila somali a fuggire dalle loro case nella capitale Mogadiscio. La maggior parte ha trovato rifugio nel corridoio di Afgooye, 30 chilometri a ovest della capitale. Questi siti provvisori ospitano attualmente 524.000 sfollati interni che vivono in condizioni terribili, visti i gravi ostacoli che le organizzazioni umanitarie devono affrontare per riuscire a raggiungerli.
Fonte : Virgilio notizie
Re: Chiuso il confine con la Somalia
Sìssì la mia risposta era infatti tristemente ironica...
ele_jambo- Simpatizzante
- Numero di messaggi : 83
Data d'iscrizione : 26.05.09
Età : 36
Località : Terra
Kenya: non c’è più posto per i somali in fuga
«La situazione è tragica», afferma ancora scosso Vincenzo Cavallo, documentarista dell’organizzazione non governativa Cultural Video Foundation (Cvf), appena tornato da Dadaab, il campo profughi a est del Kenya che confina con la Somalia. «Non capisco come un essere umano possa abituarsi a vivere per anni in quelle condizioni – continua Cavallo –. Giustamente uno dei rifugiati somali che ho intervistato mi ha detto che loro non si abitueranno mai, e non hanno altra scelta se non quella di sopravvivere».
Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur), da gennaio sono oltre 50mila i rifugiati somali che, fuggiti dalla guerra, hanno attraversato il confine sperando di trovare una situazione migliore in Kenya. La maggior parte di loro è stata registrata a Dadaab, il più grande campo profughi al mondo che, con una capienza di 90mila persone, al momento ne ospita più di 270mila. Le condizioni si sono aggravate con i continui scontri che insanguinano la Somalia quotidianamente, provocando un flusso di nuovi arrivi a un tasso di 6.400 disperati somali al mese. I campi di Dadaab sono Ifo, Hagadera e Dagahaley. Quest’ultimo è dedito agli ultimi arrivati e, per via dell’insostenibile sovraffollamento, è appena stato «decongestionato».
Infatti, più di 9mila rifugiati sono stati trasferiti a Kakuma, un altro campo profughi a nord ovest del Kenya. «Appena siamo arrivati a Dagahaley – continua Cavallo – davanti a noi si è presentata una scena spettrale. Un paesaggio desertico, animali abbandonati in cerca di cibo tra la spazzatura, e tende fatte di stracci a fianco a case senza tetto. Una donna ci ha parlato delle sue difficoltà di crescere da sola otto figli in una terra dove non c’è niente a parte gli aiuti umanitari».
Dagahaley è anche uno dei campi più insicuri, dove durante la notte si aggirano i banditi che reclamano il territorio occupato dai rifugiati, e le iene in cerca di cibo hanno più volte attaccato i bambini. «Inoltre c’è un alto tasso di violenza – racconta alle telecamere di Cvf una somala – alla mia vicina di casa due somali hanno violentato la figlia di dodici anni mentre andava a prendere la legna. Ora la ragazzina è sotto choc, non esce dalla capanna ed è discriminata sia dagli adulti sia dai suoi coetanei che la considerano un’intoccabile». In alcune aree all’interno degli altri due campi si sono invece formati dei mercatini e la sicurezza è un po’ migliore.
Qui però abitano i profughi che sono arrivati con l’inizio della crisi somala nel ’91. L’Acnur descrive la situazione di Dadaab come devastante, ma continua a lavorare registrando la presenza di ogni rifugiato e distribuendo le tessere di identificazione per le cure mediche e la distribuzione del cibo. Sono frequenti i casi di depressione e di disturbo da stress post traumatico, poiché in migliaia hanno visto i propri cari massacrati e le loro abitazioni crivellate di proiettili o distrutte dalle bombe.
Fonte :l'Avvenire
Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur), da gennaio sono oltre 50mila i rifugiati somali che, fuggiti dalla guerra, hanno attraversato il confine sperando di trovare una situazione migliore in Kenya. La maggior parte di loro è stata registrata a Dadaab, il più grande campo profughi al mondo che, con una capienza di 90mila persone, al momento ne ospita più di 270mila. Le condizioni si sono aggravate con i continui scontri che insanguinano la Somalia quotidianamente, provocando un flusso di nuovi arrivi a un tasso di 6.400 disperati somali al mese. I campi di Dadaab sono Ifo, Hagadera e Dagahaley. Quest’ultimo è dedito agli ultimi arrivati e, per via dell’insostenibile sovraffollamento, è appena stato «decongestionato».
Infatti, più di 9mila rifugiati sono stati trasferiti a Kakuma, un altro campo profughi a nord ovest del Kenya. «Appena siamo arrivati a Dagahaley – continua Cavallo – davanti a noi si è presentata una scena spettrale. Un paesaggio desertico, animali abbandonati in cerca di cibo tra la spazzatura, e tende fatte di stracci a fianco a case senza tetto. Una donna ci ha parlato delle sue difficoltà di crescere da sola otto figli in una terra dove non c’è niente a parte gli aiuti umanitari».
Dagahaley è anche uno dei campi più insicuri, dove durante la notte si aggirano i banditi che reclamano il territorio occupato dai rifugiati, e le iene in cerca di cibo hanno più volte attaccato i bambini. «Inoltre c’è un alto tasso di violenza – racconta alle telecamere di Cvf una somala – alla mia vicina di casa due somali hanno violentato la figlia di dodici anni mentre andava a prendere la legna. Ora la ragazzina è sotto choc, non esce dalla capanna ed è discriminata sia dagli adulti sia dai suoi coetanei che la considerano un’intoccabile». In alcune aree all’interno degli altri due campi si sono invece formati dei mercatini e la sicurezza è un po’ migliore.
Qui però abitano i profughi che sono arrivati con l’inizio della crisi somala nel ’91. L’Acnur descrive la situazione di Dadaab come devastante, ma continua a lavorare registrando la presenza di ogni rifugiato e distribuendo le tessere di identificazione per le cure mediche e la distribuzione del cibo. Sono frequenti i casi di depressione e di disturbo da stress post traumatico, poiché in migliaia hanno visto i propri cari massacrati e le loro abitazioni crivellate di proiettili o distrutte dalle bombe.
Fonte :l'Avvenire
Somalia - Spiragli di pace - Il paese intende aprire negoziati con tutte le parti
Somalia - Spiragli di pace - Il paese intende aprire negoziati con tutte le parti
Il presidente somalo Sheikh Sharif Ahmed nel suo intervento di ieri all'Assemblea Generale dell'ONU a New York, ha promesso che la Somalia si impegnerà ad aprire negoziati di pace nel Paese con tutte le parti, compresi i ribelli di Shabaab, per cercare di mettere fine alla violenza che insanguina non solo la Somalia ma tutta le regione del Corno d'Africa. «Continueremo la aperta politica del dialogo che abbiamo avviato in Somalia con tutte le parti, compresi i ribelli armati» ha detto Ahmed. «Intendiamo sederci ad un tavolo di negoziato anche con le parti anti-governative». Il presidente somalo ha aggiunto che questi colloqui avranno inizio «il più presto possibile, in modo da mettere fine alla violenza nel Paese». In Somalia il movimento denominato Shabaab, considerato il braccio armato di Al Qaida nel Paese, con le sue milizie controlla gran parte della Somalia centrale e meridionale.
FONTE: Agenzia Reuters Africa
Il presidente somalo Sheikh Sharif Ahmed nel suo intervento di ieri all'Assemblea Generale dell'ONU a New York, ha promesso che la Somalia si impegnerà ad aprire negoziati di pace nel Paese con tutte le parti, compresi i ribelli di Shabaab, per cercare di mettere fine alla violenza che insanguina non solo la Somalia ma tutta le regione del Corno d'Africa. «Continueremo la aperta politica del dialogo che abbiamo avviato in Somalia con tutte le parti, compresi i ribelli armati» ha detto Ahmed. «Intendiamo sederci ad un tavolo di negoziato anche con le parti anti-governative». Il presidente somalo ha aggiunto che questi colloqui avranno inizio «il più presto possibile, in modo da mettere fine alla violenza nel Paese». In Somalia il movimento denominato Shabaab, considerato il braccio armato di Al Qaida nel Paese, con le sue milizie controlla gran parte della Somalia centrale e meridionale.
FONTE: Agenzia Reuters Africa
fio- Sostenitore
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Re: Chiuso il confine con la Somalia
Kenya, profughi al capolinea
Capoluogo del distretto occidentale di Uasin Gishu, nella provincia di Rift Valley, Eldoret è famosa per aver dato i natali al capostipite dei fondisti kenioti, Kipchoge Keino, e non solo. Da qualche giorno, infatti, la città è tornata alla ribalta per una ragione sicuramente meno nobile: sembra che le autorità di Nairobi abbiano annunciato la chiusura del locale campo profughi, un struttura che ospita circa 2.200 rifugiati interni, civili di etnia Kikuyu scampati alle violenze etniche post elettorali che tra il dicembre del 2007 e la primavera del 2008 sconvolsero la regione. La paura è che le zone di provenienza non siano ancora del tutto sicure e per questo molti profughi non sarebbero disposti a tornare a casa; per facilitare l’operazione di sgombero il governo avrebbe comunque offerto ad ogni famiglia la cifra di 35 mila scellini (490 dollari) e il trasporto gratuito fino alle comunità di appartenenza.
Un problema di difficile soluzione che da una parte vede gente disperata alla quale viene promesso un risarcimento insufficiente a costruire una qualsiasi alternativa di vita, dall’altra la polizia che potrebbe ricorrere all’uso di squadre speciali per lo sgombero forzato della tendopoli. Le tensioni quindi non mancano e nel campo, gia teatro di diversi scontri, i profughi hanno una sola grande preoccupazione: non sanno dove andare.
Secondo quanto dichiarato dall’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), degli oltre 350 mila profughi interni transitati nei centri di accoglienza, quelli che già tornati a casa sono 347.500; il numero dei civili ancora presenti nelle tendopoli è ufficialmente di 7.200 ospiti. Il governo ha già deciso di chiudere entro la prima metà di ottobre tutti e 43 i campi che sono stati aperti in seguito all’emergenza scoppiata tra il 2007 e il 2008, compreso il centro di Eldoret, che oggi rappresenta la struttura più grande tra quelle riservate ai rifugiati interni.
L’allarme non è certo da sottovalutare, soprattutto se si pensa alle difficoltà alle quali andranno incontro le famiglie vittime di un conflitto interno di inaudita violenza e che, a tutt’oggi, possono solo contare sull’aiuto delle Nazioni Unite, della Croce Rossa Keniana e delle agenzie umanitarie non governative che operano in Africa orientale.
La lotta per la sopravvivenza attraversa tutto il Paese e l’emergenza è ormai totale. La condizione più tragica riguarda sicuramente i quasi 300 mila rifugiati somali che vivono nei tre campi profughi di Dadaab, scappati dai combattimenti e agli scontri armati, dagli stupri e dai saccheggi, da una situazione che rende impossibile qualsiasi intervento sanitario e che trasforma un popolo in un esercito di senza speranza, gente alla quale è stato tolto qualsiasi diritto. Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (UHNRC), da gennaio ad oggi sono oltre 50 mila i somali che hanno attraversato il confine per raggiungere le tendopoli di Ifo, Hagadera e Dagahaley; una fuga di massa che ha generato un flusso pari a 6.400 unità al mese e un sovraffollamento che ha costretto le autorità a trasferire 12 mila profughi da Dadaab al campo di Kakuma, a pochi chilometri dal confine sudanese, dove peraltro erano già presenti 45.017 rifugiati.
Secondo i dati relativi al 31 agosto scorso, Ifo, Hagadera e Dagahaley ospitano 288.079 profughi, il 23% in più rispetto a gennaio 2009 e il triplo del numero massimo per il quale è predisposto. La gestione è affidata a Care International, l’organizzazione umanitaria statunitense che opera in Kenya dal 1968 e dal 1991 nei campi profughi di Dadaab. Dopo quella di Afgooye, 30 chilometri ad ovest di Mogadiscio, una striscia di 15 chilometri di terra dove sono ospitate circa 490 mila persone, la tendopoli di Ifo, Hagadera e Dagahaley rappresentano una delle più grandi concentrazioni di rifugiati al mondo. E’ una tragedia umanitaria che le Nazioni Unite e le organizzazioni non governative di tutto il mondo definiscono di proporzioni impensabili, composta per il 97% da somali e per il resto da sudanesi, ugandesi e congolesi.
Una situazione tragica che in alcuni casi diventa umiliante, dove innumerevoli persone sono costrette a vivere senza un accesso regolare ai servizi igienici, all’acqua, al cibo, alle strutture sanitarie, minacciate all’interno dei campi da continue epidemie di colera, malaria, TBC e dissenteria, dall’aumento di casi di HIV/AIDS, polio e morbillo, senza alcuna garanzia sulla sicurezza, vittime di una violenza diffusa (soprattutto sevizie e stupri) che negli ultimi mesi ha superato una crescita del 30%.
A due anni di distanza, il Kenya deve ancora interrogarsi sulle cause che provocarono gli scontri scoppiati all’indomani delle elezioni presidenziali del dicembre 2007, la peggiore ondata di violenza della storia post coloniale: almeno 1200 morti, migliaia di feriti e circa 2 milioni di civili costretti a fuggire e a diventare profughi nel loro stesso Paese. Secondo lo studio intitolato “Le cause profonde e le implicazioni della violenza post elettorale del 2007”, commissionato dal gruppo interconfessionale Inter-Religious Forum (IRF) alla Media Focus on Africa, organizzazione no-profit che opera nel settore della comunicazione per lo sviluppo, le ragioni di questa tragedia vanno ricercate nel decadimento morale e sociale di una nazione esposta a fattori che ancora oggi minacciano la sua stessa esistenza.
Corruzione, cattiva gestione della cosa pubblica, negazione di una qualsiasi forma di giustizia sociale, iniqua distribuzione delle terre, marginalizzazione di alcuni gruppi dal contesto politico ed economico e mancanza di riforme istituzionali: sono questi i motivi che, insieme ad un sistema politico secondo il quale “il vincitore prende tutto”, hanno aumento in modo esponenziale le tensioni etniche e sociali che hanno trascinato il Kenya sull’orlo della guerra civile.
E’ in questo contesto che i rifugiati di Eldoret, Kakuma, Ifo, Hagadera, Dagahaley e di tutti gli altri campi profughi del Kenya devono sopravvivere, in una lotta per il potere politico ed economico che risale ai tempi dei presidente Kenyatta, uno scontro che ha attecchito le sue radici durante il regime di Daniel arap Moi ed è esploso con Mwai Kibaki, che ha una sua logica nello scontro etnico tra Kikuyu e Luo ma che coinvolge gli interessi di Washington e Londra, che in Kenya ancora molti interessi. Un Paese instabile, oppresso dalla violenza, assediato dal quinto anno consecutivo di siccità e devastato dalle inondazioni, dove c’è chi sopravvive con due litri di acqua al giorno, meno acqua di quanto noi consumiamo scaricando lo sciacquone del gabinetto.
Un Paese asfissiato dalla povertà, dai prezzi del cibo (superiori del 180% rispetto alla media africana), dei carburanti e dei beni essenziali, dove 1.340.000 persone ricevono forme di assistenza alimentare di prima necessità e dove 3.800.000 hanno bisogno di aiuti di emergenza. Dove quindi essere rifugiati diventa un problema tra i problemi.
Fonte : Altrenotizie, articolo di Eugenio Roscini Vitali
Capoluogo del distretto occidentale di Uasin Gishu, nella provincia di Rift Valley, Eldoret è famosa per aver dato i natali al capostipite dei fondisti kenioti, Kipchoge Keino, e non solo. Da qualche giorno, infatti, la città è tornata alla ribalta per una ragione sicuramente meno nobile: sembra che le autorità di Nairobi abbiano annunciato la chiusura del locale campo profughi, un struttura che ospita circa 2.200 rifugiati interni, civili di etnia Kikuyu scampati alle violenze etniche post elettorali che tra il dicembre del 2007 e la primavera del 2008 sconvolsero la regione. La paura è che le zone di provenienza non siano ancora del tutto sicure e per questo molti profughi non sarebbero disposti a tornare a casa; per facilitare l’operazione di sgombero il governo avrebbe comunque offerto ad ogni famiglia la cifra di 35 mila scellini (490 dollari) e il trasporto gratuito fino alle comunità di appartenenza.
Un problema di difficile soluzione che da una parte vede gente disperata alla quale viene promesso un risarcimento insufficiente a costruire una qualsiasi alternativa di vita, dall’altra la polizia che potrebbe ricorrere all’uso di squadre speciali per lo sgombero forzato della tendopoli. Le tensioni quindi non mancano e nel campo, gia teatro di diversi scontri, i profughi hanno una sola grande preoccupazione: non sanno dove andare.
Secondo quanto dichiarato dall’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), degli oltre 350 mila profughi interni transitati nei centri di accoglienza, quelli che già tornati a casa sono 347.500; il numero dei civili ancora presenti nelle tendopoli è ufficialmente di 7.200 ospiti. Il governo ha già deciso di chiudere entro la prima metà di ottobre tutti e 43 i campi che sono stati aperti in seguito all’emergenza scoppiata tra il 2007 e il 2008, compreso il centro di Eldoret, che oggi rappresenta la struttura più grande tra quelle riservate ai rifugiati interni.
L’allarme non è certo da sottovalutare, soprattutto se si pensa alle difficoltà alle quali andranno incontro le famiglie vittime di un conflitto interno di inaudita violenza e che, a tutt’oggi, possono solo contare sull’aiuto delle Nazioni Unite, della Croce Rossa Keniana e delle agenzie umanitarie non governative che operano in Africa orientale.
La lotta per la sopravvivenza attraversa tutto il Paese e l’emergenza è ormai totale. La condizione più tragica riguarda sicuramente i quasi 300 mila rifugiati somali che vivono nei tre campi profughi di Dadaab, scappati dai combattimenti e agli scontri armati, dagli stupri e dai saccheggi, da una situazione che rende impossibile qualsiasi intervento sanitario e che trasforma un popolo in un esercito di senza speranza, gente alla quale è stato tolto qualsiasi diritto. Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (UHNRC), da gennaio ad oggi sono oltre 50 mila i somali che hanno attraversato il confine per raggiungere le tendopoli di Ifo, Hagadera e Dagahaley; una fuga di massa che ha generato un flusso pari a 6.400 unità al mese e un sovraffollamento che ha costretto le autorità a trasferire 12 mila profughi da Dadaab al campo di Kakuma, a pochi chilometri dal confine sudanese, dove peraltro erano già presenti 45.017 rifugiati.
Secondo i dati relativi al 31 agosto scorso, Ifo, Hagadera e Dagahaley ospitano 288.079 profughi, il 23% in più rispetto a gennaio 2009 e il triplo del numero massimo per il quale è predisposto. La gestione è affidata a Care International, l’organizzazione umanitaria statunitense che opera in Kenya dal 1968 e dal 1991 nei campi profughi di Dadaab. Dopo quella di Afgooye, 30 chilometri ad ovest di Mogadiscio, una striscia di 15 chilometri di terra dove sono ospitate circa 490 mila persone, la tendopoli di Ifo, Hagadera e Dagahaley rappresentano una delle più grandi concentrazioni di rifugiati al mondo. E’ una tragedia umanitaria che le Nazioni Unite e le organizzazioni non governative di tutto il mondo definiscono di proporzioni impensabili, composta per il 97% da somali e per il resto da sudanesi, ugandesi e congolesi.
Una situazione tragica che in alcuni casi diventa umiliante, dove innumerevoli persone sono costrette a vivere senza un accesso regolare ai servizi igienici, all’acqua, al cibo, alle strutture sanitarie, minacciate all’interno dei campi da continue epidemie di colera, malaria, TBC e dissenteria, dall’aumento di casi di HIV/AIDS, polio e morbillo, senza alcuna garanzia sulla sicurezza, vittime di una violenza diffusa (soprattutto sevizie e stupri) che negli ultimi mesi ha superato una crescita del 30%.
A due anni di distanza, il Kenya deve ancora interrogarsi sulle cause che provocarono gli scontri scoppiati all’indomani delle elezioni presidenziali del dicembre 2007, la peggiore ondata di violenza della storia post coloniale: almeno 1200 morti, migliaia di feriti e circa 2 milioni di civili costretti a fuggire e a diventare profughi nel loro stesso Paese. Secondo lo studio intitolato “Le cause profonde e le implicazioni della violenza post elettorale del 2007”, commissionato dal gruppo interconfessionale Inter-Religious Forum (IRF) alla Media Focus on Africa, organizzazione no-profit che opera nel settore della comunicazione per lo sviluppo, le ragioni di questa tragedia vanno ricercate nel decadimento morale e sociale di una nazione esposta a fattori che ancora oggi minacciano la sua stessa esistenza.
Corruzione, cattiva gestione della cosa pubblica, negazione di una qualsiasi forma di giustizia sociale, iniqua distribuzione delle terre, marginalizzazione di alcuni gruppi dal contesto politico ed economico e mancanza di riforme istituzionali: sono questi i motivi che, insieme ad un sistema politico secondo il quale “il vincitore prende tutto”, hanno aumento in modo esponenziale le tensioni etniche e sociali che hanno trascinato il Kenya sull’orlo della guerra civile.
E’ in questo contesto che i rifugiati di Eldoret, Kakuma, Ifo, Hagadera, Dagahaley e di tutti gli altri campi profughi del Kenya devono sopravvivere, in una lotta per il potere politico ed economico che risale ai tempi dei presidente Kenyatta, uno scontro che ha attecchito le sue radici durante il regime di Daniel arap Moi ed è esploso con Mwai Kibaki, che ha una sua logica nello scontro etnico tra Kikuyu e Luo ma che coinvolge gli interessi di Washington e Londra, che in Kenya ancora molti interessi. Un Paese instabile, oppresso dalla violenza, assediato dal quinto anno consecutivo di siccità e devastato dalle inondazioni, dove c’è chi sopravvive con due litri di acqua al giorno, meno acqua di quanto noi consumiamo scaricando lo sciacquone del gabinetto.
Un Paese asfissiato dalla povertà, dai prezzi del cibo (superiori del 180% rispetto alla media africana), dei carburanti e dei beni essenziali, dove 1.340.000 persone ricevono forme di assistenza alimentare di prima necessità e dove 3.800.000 hanno bisogno di aiuti di emergenza. Dove quindi essere rifugiati diventa un problema tra i problemi.
Fonte : Altrenotizie, articolo di Eugenio Roscini Vitali
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