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Dieci ragazzi toscani in Kenya per conoscere la vita negli slums
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Dieci ragazzi toscani in Kenya per conoscere la vita negli slums
Ecco la prima puntata del diaro dagli slums di Nairobi per il programma di solidarietà 'Noi con gli altri' di Unicoop Firenze. Dieci ragazzi stanno partecipando a una delle attività economiche di chi vive in queste sterminate baraccopoli. L’attività sponsorizzata anche dalle Nazioni Unite è creare accessori per l’abbigliamento da oggetti recuperati dalle discariche di rifiuti
Nairobi, 21 aprile 2009 - Dieci ragazzi toscani sono a Nairobi per il programma di solidarietà 'Noi con gli altri' di Unicoop Firenze. Lo scopo è far loro conoscere la vita negli slums della capitale del Kenya. E soprattutto farli partecipare a una delle attività economiche di chi vive in queste sterminate baraccopoli. L’attività sponsorizzata anche dalle Nazioni Unite è creare accessori per l’abbigliamento da oggetti recuperati dalle discariche di rifiuti. Irene Mangani,19 anni, studentessa di ingegneria elettronica e Marta Nocentini, 19 anni, lavoratrice precaria, hanno scritto il diario della prima giornata. Eccolo.
"Arriviamo a Nairobi domenica sera e andiamo al nostro alloggio, il Karen Camp Site. Il nome da Karen Blixen, l’autrice de 'La mia Africa' che proprio qui aveva la sua immensa fattoria. Il traffico è caotico: le corsie hanno confini molto labili. Ci sistemiamo nelle camerate e andiamo a cena, sotto una veranda. Scoppia un temporale: tuoni, lampi e acqua, siamo nella stagione delle piogge.
Stamani ai Marula Studios, un complesso dove si trovano alcuni laboratori in cui vengono realizzati gli oggetti dai rifiuti e il workshop per i buyer delle aziende che li vogliono acquistare. Ci presentano Lisa, Julie e Nicky, tre ragazze che lavorano con loro e che ci accompagneranno in questa settimana. Incontriamo le donne masai che infilano le perline, con un’abilità che ci dicono non avere nessun altro, e coloro che producono scarpe e borse. Nei Marula Studios viene svolto il lavoro finale di una grande catena di montaggio: i prodotti di base vengono costruiti da comunità che vivono negli slums e alle quali vengono richieste condizioni di lavoro “decenti”. In un’altra parte del complesso vengono lavorati i flip-flop, le infradito raccolte nelle discariche e sulle spiagge e che diventano collane, orecchini e oggetti quotidiani.
Nel pomeriggio il pugno allo stomaco: lo slum di Kibera, una delle più grandi baraccopoli dell’Africa con circa 2 milioni d’abitanti. Accompagnati da tre guide, siamo entrati nella discarica sulla quale sono costruite le capanne di fango coperte da lamiere. Ai confini dello slum c’è la parte paludosa della discarica dove pascolano mucche, maiali e dove i bambini giocano a nascondino scalzi. Avremmo dovuto raccogliere materiali di scarto da portare come materia prima ai Marula Studios ma non ci è stato consentito per il rischio troppo alto che avrebbe comportato. Un insieme di emozioni ci hanno assalito: senso di colpa, stupore, paura, disagio. Stesse impressioni nella parte alta dello slum dove si lavorano le ossa, lo scarto dei mattatoi. Ossa che diventano perline, bracciali, collane. Al ritorno a Karen Camp siamo corsi a farci una doccia!"
Pino Miglino
Tratto da La nazione.
Nairobi, 21 aprile 2009 - Dieci ragazzi toscani sono a Nairobi per il programma di solidarietà 'Noi con gli altri' di Unicoop Firenze. Lo scopo è far loro conoscere la vita negli slums della capitale del Kenya. E soprattutto farli partecipare a una delle attività economiche di chi vive in queste sterminate baraccopoli. L’attività sponsorizzata anche dalle Nazioni Unite è creare accessori per l’abbigliamento da oggetti recuperati dalle discariche di rifiuti. Irene Mangani,19 anni, studentessa di ingegneria elettronica e Marta Nocentini, 19 anni, lavoratrice precaria, hanno scritto il diario della prima giornata. Eccolo.
"Arriviamo a Nairobi domenica sera e andiamo al nostro alloggio, il Karen Camp Site. Il nome da Karen Blixen, l’autrice de 'La mia Africa' che proprio qui aveva la sua immensa fattoria. Il traffico è caotico: le corsie hanno confini molto labili. Ci sistemiamo nelle camerate e andiamo a cena, sotto una veranda. Scoppia un temporale: tuoni, lampi e acqua, siamo nella stagione delle piogge.
Stamani ai Marula Studios, un complesso dove si trovano alcuni laboratori in cui vengono realizzati gli oggetti dai rifiuti e il workshop per i buyer delle aziende che li vogliono acquistare. Ci presentano Lisa, Julie e Nicky, tre ragazze che lavorano con loro e che ci accompagneranno in questa settimana. Incontriamo le donne masai che infilano le perline, con un’abilità che ci dicono non avere nessun altro, e coloro che producono scarpe e borse. Nei Marula Studios viene svolto il lavoro finale di una grande catena di montaggio: i prodotti di base vengono costruiti da comunità che vivono negli slums e alle quali vengono richieste condizioni di lavoro “decenti”. In un’altra parte del complesso vengono lavorati i flip-flop, le infradito raccolte nelle discariche e sulle spiagge e che diventano collane, orecchini e oggetti quotidiani.
Nel pomeriggio il pugno allo stomaco: lo slum di Kibera, una delle più grandi baraccopoli dell’Africa con circa 2 milioni d’abitanti. Accompagnati da tre guide, siamo entrati nella discarica sulla quale sono costruite le capanne di fango coperte da lamiere. Ai confini dello slum c’è la parte paludosa della discarica dove pascolano mucche, maiali e dove i bambini giocano a nascondino scalzi. Avremmo dovuto raccogliere materiali di scarto da portare come materia prima ai Marula Studios ma non ci è stato consentito per il rischio troppo alto che avrebbe comportato. Un insieme di emozioni ci hanno assalito: senso di colpa, stupore, paura, disagio. Stesse impressioni nella parte alta dello slum dove si lavorano le ossa, lo scarto dei mattatoi. Ossa che diventano perline, bracciali, collane. Al ritorno a Karen Camp siamo corsi a farci una doccia!"
Pino Miglino
Tratto da La nazione.
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