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Kenya, l’incognita della polizia sulle elezioni di marzo
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Kenya, l’incognita della polizia sulle elezioni di marzo
Kenya, l’incognita della polizia sulle elezioni di marzo
A molti elettori del Kenya che si recheranno alle urne il 4 marzo non farà probabilmente piacere sapere che a garantire la sicurezza del voto saranno praticamente gli stessi uomini a ciò preposti quando almeno 1300 persone morirono negli scontri successivi alle elezioni del 2007.
Da allora non è cambiato pressoché nulla, denuncia Amnesty International in unrapporto diffuso in questi giorni: la polizia kenyana continua a compiere arresti arbitrari e maltrattamenti così come a non impedire massacri.
Nel Delta del fiume Tana, dallo scorso agosto, sono state uccise 200 persone e 112.000 sono state costrette ad abbandonare tutto ciò che avevano. La polizia non fa fatto nulla per difenderle.
Cosa si può fare per scongiurare il rischio che la violenza post-elettorale del 2007 non si ripeta e per far sì che le forze di polizia, anziché essere protagoniste di violazioni dei diritti umani, proteggano chi si reca ai seggi e chi, eventualmente, vorrà manifestare il suo scontento per il risultato? E cosa si può fare perché si ripristini il rapporto di fiducia tra la popolazione e chi dovrebbe difenderla?
Amnesty International propone una soluzione: la Commissione nazionale dei servizi di polizia rediga e pubblichi un codice di condotta per gli agenti impiegati nel mantenimento dell’ordine pubblico prima, durante e dopo l’apertura dei seggi. Questo codice dovrà comprendere chiare e semplici istruzioni sull’uso lecito della forza e suggerire il ricorso a tattiche non violente, come il negoziato e la mediazione. Chi non lo rispetterà, dovrà essere immediatamente sospeso dal servizio e sottoposto a indagine.
In questi 30 giorni che precederanno le elezioni, il governo del Kenya dovrà far capire alla popolazione che le forze di polizia saranno dispiegate per tutelare e non per attaccare i cittadini, per rispettare e non per violare i diritti umani.
Chiunque sarà al governo perché avrà vinto le elezioni, dovrà mettere in cima alla sua agenda politica una profonda riforma delle forze di polizia, per sconfiggere l’impunità e porre fine alle violazioni dei diritti umani nel paese.
Fonte:Corriere della sera e Amnesty International
A molti elettori del Kenya che si recheranno alle urne il 4 marzo non farà probabilmente piacere sapere che a garantire la sicurezza del voto saranno praticamente gli stessi uomini a ciò preposti quando almeno 1300 persone morirono negli scontri successivi alle elezioni del 2007.
Da allora non è cambiato pressoché nulla, denuncia Amnesty International in unrapporto diffuso in questi giorni: la polizia kenyana continua a compiere arresti arbitrari e maltrattamenti così come a non impedire massacri.
Nel Delta del fiume Tana, dallo scorso agosto, sono state uccise 200 persone e 112.000 sono state costrette ad abbandonare tutto ciò che avevano. La polizia non fa fatto nulla per difenderle.
Cosa si può fare per scongiurare il rischio che la violenza post-elettorale del 2007 non si ripeta e per far sì che le forze di polizia, anziché essere protagoniste di violazioni dei diritti umani, proteggano chi si reca ai seggi e chi, eventualmente, vorrà manifestare il suo scontento per il risultato? E cosa si può fare perché si ripristini il rapporto di fiducia tra la popolazione e chi dovrebbe difenderla?
Amnesty International propone una soluzione: la Commissione nazionale dei servizi di polizia rediga e pubblichi un codice di condotta per gli agenti impiegati nel mantenimento dell’ordine pubblico prima, durante e dopo l’apertura dei seggi. Questo codice dovrà comprendere chiare e semplici istruzioni sull’uso lecito della forza e suggerire il ricorso a tattiche non violente, come il negoziato e la mediazione. Chi non lo rispetterà, dovrà essere immediatamente sospeso dal servizio e sottoposto a indagine.
In questi 30 giorni che precederanno le elezioni, il governo del Kenya dovrà far capire alla popolazione che le forze di polizia saranno dispiegate per tutelare e non per attaccare i cittadini, per rispettare e non per violare i diritti umani.
Chiunque sarà al governo perché avrà vinto le elezioni, dovrà mettere in cima alla sua agenda politica una profonda riforma delle forze di polizia, per sconfiggere l’impunità e porre fine alle violazioni dei diritti umani nel paese.
Fonte:Corriere della sera e Amnesty International
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