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Donne afro-globali
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Donne afro-globali
Donne afro-globali
ll Premio Nobel a tre donne, delle quali due africane, la nuova presidente della Corte penale internazionale, nonché la presidente dell’Unione africana, due capi di Stato, una candidata alla presidenza della Banca mondiale, il miglior sindaco al mondo… Ma anche economiste, imprenditrici, avvocati, scrittrici, artiste, leader altermondiste… La riscossa delle donne africane supera i confini dei loro Paesi per arrivare finalmente a ruoli di potere e impegno a livello continentale e mondiali. Donne "afro-globali", storie di successo, che mostrano un’altra immagine del continente africano, nonostante le difficoltà che attraversa e le situazioni di discriminazione e marginalizzazione che molte donne continuano a subire. È di metà luglio l’elezione ai vertici dell’Unione africana (Ua) di Nkosazana Dlamini-Zuma, 63 anni, ministro dell’Interno ed ex ministro degli Esteri del Sudafrica, nonché ex moglie del presidente Jacob Zuma. È la prima volta di una donna in trent’anni di storia di questo organismo, anche se un’altra, Gertrude Mongella tanzaniana, aveva guidato il primo parlamento di questa istituzione, oltre ad aver presieduto la Conferenza Onu di Pechino sulle donne, nel 1995.
A livello internazionale, l’ultima a balzare agli onori della cronaca è invece il magistrato gambiano Fatou Bensouda, 50 anni, eletta procuratore generale della Corte internazionale dell’Aja (Cpi). Prende il posto dell’argentino Luis Moreno-Ocampo, del quale è stata la vice dal 2004. In precedenza aveva lavorato per il Tribunale penale sul Rwanda ad Arusha (Tanzania). Dovrà affrontare diversi dossier scottanti che riguardano, tra gli altri, alcuni personaggi africani, dall’ex presidente ivoriano Laurent Gbagbo al congolese Jean Pierre Bemba, dal figlio di Gheddafi, Seif al Islam al presidente sudanese Omar El-Bashir. Quest’ultimo, ricercato dalla Cpi per crimini di guerra e contro l’umanità, si è visto chiudere la porta in faccia da un’altra donna determinata e coraggiosa, Joyce Banda, 62 anni, presidente del Malawi, che aveva minacciato di farlo arrestare se avesse partecipato al vertice dell’Ua nel suo Paese. Meno coraggiosi gli altri capi di Stato africani, che hanno pensato di spostare il vertice in Etiopia. Lei comunque, continua dritta per la sua strada. Arrivata ai vertici del Malawi lo scorso aprile, ha imposto una svolta significativa smantellando il sistema di corruzione creato in precedenza. Già nel 2011, la rivista Forbes l’aveva indicata come la «terza donna più influente dell’Africa».
L’altra, Ellen Johnson-Sirleaf, 73 anni, presidente della Liberia, ha ricevuto il premio Nobel per la Pace, insieme alla connazionale Leyman Gbowee. Solo un’altra donna africana, la keniana Wangari Maathai, lo aveva ricevuto nel 2004. Sono «il simbolo dell’avanzamento del ruolo delle donne africane», sostiene un’altra grande lottatrice, Graca Machel, 66 anni, moglie di Nelson Mandela. Ma soprattutto donna impegnata a livello continentale e internazionale per la promozione dello sviluppo africano. La sua connazionale Luisa Diogo è stata, dal 2004 al 2010, primo ministro del Mozambico, dopo aver lavorato per la Banca mondiale. La sua azione di riforma del Paese è stata giudicata da molti osservatori internazionali come un modello per i Paesi in via di sviluppo.
Anche la nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala, 58 anni, ministro delle Finanze, laureata ad Harvard e con un dottorato al Massachusetts institute of technology, sa bene come funzionano le istituzioni internazionali e come far funzionare le economie dei Paesi poveri. Era una delle candidate alla presidenza della Banca mondiale. Secondo il Financial Time «avere una donna africana alla guida della principale istituzione al mondo per lo sviluppo sarebbe un segnale forte». Le è stato preferito Jim Yong Kim, sostenuto da Barack Obama. Zambiana, studi a Oxford, Harvard e Washington, ed esperienze alla Banca mondiale, l’economista Dambisa Moyo, 43 anni, si è imposta a livello internazionale, suscitando dibattiti e polemiche, specialmente col suo libro La carità che uccide, dove mette in discussione il sistema degli aiuti occidentali all’Africa.
Keniana, 47 anni, Amolo Ng’Weno, è, invece, un’economista e imprenditrice, co-fondatrice nel 1994 del primo provider africano, Africa online; dopo aver lavorato per la Bill and Melinda Gates Foundation, è stata nominata lo scorso anno "managing director del Digital divide Data" (DDD) in Kenya con l’obiettivo di espandere i programmi in tutta l’Africa orientale. L’attuale sindaco di Douala (Camerun), Françoise Foning>, 63 anni, è stata la prima donna del suo Paese a creare una compagnia di taxi e oggi opera nel campo dell’energia fotovoltaica. Ma è anche la presidente mondiale dell’ong "Femmes chefs d’entreprises mondiales", la più grande associazione mondiale di donne imprenditrici, presente in più di 80 Paesi e con circa 600 mila iscritte, con status consultivo presso le Nazioni unite e il Consiglio d’Europa.
Un altro primo cittadino, Helen Zille, 61 anni, di Città del Capo (Sudafrica) è stata eletta qualche anno fa miglior sindaco al mondo, superando quello di Zurigo. Attualmente è governatore della provincia del Western Cape e leader della partito Democratic alliance. Sara Katebalirwe è amministratrice della "Royal bark cloth designs limited" di Kampala (Uganda); disegna e produce prodotti di abbigliamento, accessori e utensili per la casa, con vocazione internazionale, manodopera del posto e materie prime naturali e locali. Nel campo della moda, Oumou Sy, 59 anni, non solo si è imposta nel suo Paese, il Senegal, ma è ormai da diversi anni una designer riconosciuta nel mondo. Nella capitale senegalese insegna all’Istituto di Belle Arti e ha aperto nel 1996 il primo cyber-cafè del Paese, il Metissakana, luogo di incontro di artisti e intellettuali e di sfilate durante la Settimana della moda di Dakar. In campo sociale, il Premio per le donne in ambito rurale è andato lo scorso anno a una senegalese Seynabou Tall Wade, presidente dell’ong "Association femme enfant environnement", che ha promosso, tra le altre cose, 25 banche di cereali, la fornitura di 32 scuole, la regolarizzazione dello stato civile di migliaia di bambini.
Un’altra senegalese, Bineta Diop, 61 anni, fondatrice dell’ong "Femmes Africa solidarité", è stata inserita dalla rivista Time nella lista delle 100 personalità più influenti al mondo. Studi ad Addis Abeba e Parigi, ha lavorato presso la Commissione internazionale dei giuristi a Ginevra, prima di fondare la sua associazione nel 1996, con uffici a Dakar, New York e Ginevra. È impegnata nei processi di pace in Burundi, Centrafrica e Liberia. È invece andato alla ciadiana Jaqueline Moudeina, il Premio Nobel alternativo 2011 per il suo impegno di avvocato al fianco delle vittime del regime dell’ex presidente Hissène Habré. «È una grande battaglia quella di noi donne africane – dice Aminata Traoré, 55 anni, ex ministro della Cultura del Mali e oggi uno degli esponenti di maggior spicco del movimento altermondista –. Vogliono confinarci nello spazio domestico. E invece dobbiamo uscire fuori, non per chiedere pietà, ma rispetto e solidarietà. La resistenza deve partire da noi donne. Abbiamo un ruolo importante: curare le piaghe di un sistema cinico, in cui prevalgono le logiche del profitto, della mercificazione di ogni cosa, anche della cultura, del pensiero, dell’arte, delle nostre tradizioni. Le donne hanno qualcosa da dire. E molto da fare».
Fonte:AVVENIRE
ll Premio Nobel a tre donne, delle quali due africane, la nuova presidente della Corte penale internazionale, nonché la presidente dell’Unione africana, due capi di Stato, una candidata alla presidenza della Banca mondiale, il miglior sindaco al mondo… Ma anche economiste, imprenditrici, avvocati, scrittrici, artiste, leader altermondiste… La riscossa delle donne africane supera i confini dei loro Paesi per arrivare finalmente a ruoli di potere e impegno a livello continentale e mondiali. Donne "afro-globali", storie di successo, che mostrano un’altra immagine del continente africano, nonostante le difficoltà che attraversa e le situazioni di discriminazione e marginalizzazione che molte donne continuano a subire. È di metà luglio l’elezione ai vertici dell’Unione africana (Ua) di Nkosazana Dlamini-Zuma, 63 anni, ministro dell’Interno ed ex ministro degli Esteri del Sudafrica, nonché ex moglie del presidente Jacob Zuma. È la prima volta di una donna in trent’anni di storia di questo organismo, anche se un’altra, Gertrude Mongella tanzaniana, aveva guidato il primo parlamento di questa istituzione, oltre ad aver presieduto la Conferenza Onu di Pechino sulle donne, nel 1995.
A livello internazionale, l’ultima a balzare agli onori della cronaca è invece il magistrato gambiano Fatou Bensouda, 50 anni, eletta procuratore generale della Corte internazionale dell’Aja (Cpi). Prende il posto dell’argentino Luis Moreno-Ocampo, del quale è stata la vice dal 2004. In precedenza aveva lavorato per il Tribunale penale sul Rwanda ad Arusha (Tanzania). Dovrà affrontare diversi dossier scottanti che riguardano, tra gli altri, alcuni personaggi africani, dall’ex presidente ivoriano Laurent Gbagbo al congolese Jean Pierre Bemba, dal figlio di Gheddafi, Seif al Islam al presidente sudanese Omar El-Bashir. Quest’ultimo, ricercato dalla Cpi per crimini di guerra e contro l’umanità, si è visto chiudere la porta in faccia da un’altra donna determinata e coraggiosa, Joyce Banda, 62 anni, presidente del Malawi, che aveva minacciato di farlo arrestare se avesse partecipato al vertice dell’Ua nel suo Paese. Meno coraggiosi gli altri capi di Stato africani, che hanno pensato di spostare il vertice in Etiopia. Lei comunque, continua dritta per la sua strada. Arrivata ai vertici del Malawi lo scorso aprile, ha imposto una svolta significativa smantellando il sistema di corruzione creato in precedenza. Già nel 2011, la rivista Forbes l’aveva indicata come la «terza donna più influente dell’Africa».
L’altra, Ellen Johnson-Sirleaf, 73 anni, presidente della Liberia, ha ricevuto il premio Nobel per la Pace, insieme alla connazionale Leyman Gbowee. Solo un’altra donna africana, la keniana Wangari Maathai, lo aveva ricevuto nel 2004. Sono «il simbolo dell’avanzamento del ruolo delle donne africane», sostiene un’altra grande lottatrice, Graca Machel, 66 anni, moglie di Nelson Mandela. Ma soprattutto donna impegnata a livello continentale e internazionale per la promozione dello sviluppo africano. La sua connazionale Luisa Diogo è stata, dal 2004 al 2010, primo ministro del Mozambico, dopo aver lavorato per la Banca mondiale. La sua azione di riforma del Paese è stata giudicata da molti osservatori internazionali come un modello per i Paesi in via di sviluppo.
Anche la nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala, 58 anni, ministro delle Finanze, laureata ad Harvard e con un dottorato al Massachusetts institute of technology, sa bene come funzionano le istituzioni internazionali e come far funzionare le economie dei Paesi poveri. Era una delle candidate alla presidenza della Banca mondiale. Secondo il Financial Time «avere una donna africana alla guida della principale istituzione al mondo per lo sviluppo sarebbe un segnale forte». Le è stato preferito Jim Yong Kim, sostenuto da Barack Obama. Zambiana, studi a Oxford, Harvard e Washington, ed esperienze alla Banca mondiale, l’economista Dambisa Moyo, 43 anni, si è imposta a livello internazionale, suscitando dibattiti e polemiche, specialmente col suo libro La carità che uccide, dove mette in discussione il sistema degli aiuti occidentali all’Africa.
Keniana, 47 anni, Amolo Ng’Weno, è, invece, un’economista e imprenditrice, co-fondatrice nel 1994 del primo provider africano, Africa online; dopo aver lavorato per la Bill and Melinda Gates Foundation, è stata nominata lo scorso anno "managing director del Digital divide Data" (DDD) in Kenya con l’obiettivo di espandere i programmi in tutta l’Africa orientale. L’attuale sindaco di Douala (Camerun), Françoise Foning>, 63 anni, è stata la prima donna del suo Paese a creare una compagnia di taxi e oggi opera nel campo dell’energia fotovoltaica. Ma è anche la presidente mondiale dell’ong "Femmes chefs d’entreprises mondiales", la più grande associazione mondiale di donne imprenditrici, presente in più di 80 Paesi e con circa 600 mila iscritte, con status consultivo presso le Nazioni unite e il Consiglio d’Europa.
Un altro primo cittadino, Helen Zille, 61 anni, di Città del Capo (Sudafrica) è stata eletta qualche anno fa miglior sindaco al mondo, superando quello di Zurigo. Attualmente è governatore della provincia del Western Cape e leader della partito Democratic alliance. Sara Katebalirwe è amministratrice della "Royal bark cloth designs limited" di Kampala (Uganda); disegna e produce prodotti di abbigliamento, accessori e utensili per la casa, con vocazione internazionale, manodopera del posto e materie prime naturali e locali. Nel campo della moda, Oumou Sy, 59 anni, non solo si è imposta nel suo Paese, il Senegal, ma è ormai da diversi anni una designer riconosciuta nel mondo. Nella capitale senegalese insegna all’Istituto di Belle Arti e ha aperto nel 1996 il primo cyber-cafè del Paese, il Metissakana, luogo di incontro di artisti e intellettuali e di sfilate durante la Settimana della moda di Dakar. In campo sociale, il Premio per le donne in ambito rurale è andato lo scorso anno a una senegalese Seynabou Tall Wade, presidente dell’ong "Association femme enfant environnement", che ha promosso, tra le altre cose, 25 banche di cereali, la fornitura di 32 scuole, la regolarizzazione dello stato civile di migliaia di bambini.
Un’altra senegalese, Bineta Diop, 61 anni, fondatrice dell’ong "Femmes Africa solidarité", è stata inserita dalla rivista Time nella lista delle 100 personalità più influenti al mondo. Studi ad Addis Abeba e Parigi, ha lavorato presso la Commissione internazionale dei giuristi a Ginevra, prima di fondare la sua associazione nel 1996, con uffici a Dakar, New York e Ginevra. È impegnata nei processi di pace in Burundi, Centrafrica e Liberia. È invece andato alla ciadiana Jaqueline Moudeina, il Premio Nobel alternativo 2011 per il suo impegno di avvocato al fianco delle vittime del regime dell’ex presidente Hissène Habré. «È una grande battaglia quella di noi donne africane – dice Aminata Traoré, 55 anni, ex ministro della Cultura del Mali e oggi uno degli esponenti di maggior spicco del movimento altermondista –. Vogliono confinarci nello spazio domestico. E invece dobbiamo uscire fuori, non per chiedere pietà, ma rispetto e solidarietà. La resistenza deve partire da noi donne. Abbiamo un ruolo importante: curare le piaghe di un sistema cinico, in cui prevalgono le logiche del profitto, della mercificazione di ogni cosa, anche della cultura, del pensiero, dell’arte, delle nostre tradizioni. Le donne hanno qualcosa da dire. E molto da fare».
Fonte:AVVENIRE
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