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Nairobi Half Life, il giovane attore dalla seconda vita
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Nairobi Half Life, il giovane attore dalla seconda vita
Nairobi Half Life, il giovane attore dalla seconda vita
IN CONCORSO. Travolgente opera di Gitonga, in corsa per l'Oscar
La storia di un ragazzo che si divide tra palcoscenico e criminalità: è neorealismo con tanta umanità e suspense. In «Otelo is Burning» la voglia di libertà
18/11/2012
Il Festival di Cinema africano è partito col «botto»: un capolavoro che non solo ha ottime possibilità di vincere la kermesse ma potrebbe entrare nella cinquina di titoli candidati all'Oscar per il miglior film in lingua straniera. La pellicola in questione si chiama Nairobi Half Life ed è la prima produzione nella storia del Kenya sottoposta allo scrutinio dell'Academy. Il cinema africano, come tutte le realtà giovani e trasbordanti entusiasmo, non percorre le tappe: le brucia. Il lungometraggio nasce da un workshop svoltosi a Nairobi nel 2010, promosso dal regista tedesco Tom Tykwer (Lola corre, The International) e dalla sua One Fine Day Film. L'intenzione era quella di affiancare maestranze locali con professionisti europei, aiutando i giovani filmaker africani a lavorare con mezzi e mentalità internazionali. Il workshop è stato, a sua volta, conseguenza diretta del coinvolgimento di Tykwer nella nascente cinematografia keniota, dal quale era nato nel 2009 un altro piccolo capolavoro: Soul Boy (visto a Verona l'anno successivo). Un successo dovuto alla mentalità con cui il tedesco ha affrontato la sfida: non quella post-coloniale di tanti colleghi che vedono l'Africa come un sfondo inedito per stili e storie dalla sensibilità occidentale, ma dedicata a regalare ai talenti locali i mezzi per raccontare trame africane, realizzate da africani e fruibili in tutto il mondo. Qualità presenti nel travolgente Nairobi Half Life, opera prima di David «Tosh» Gitonga (con Tykwer assistente alla regia), epopea d'un ragazzo che si trasferisce a Nairobi aspirando alla carriera d'attore e finisce per dividere le lezioni su palcoscenico con una seconda vita criminale. Fotografata e montata con ariosa perfezione, interpretata da un cast di giovani promettenti, che molto potrebbero insegnare ai coetanei italiani (i quali si considerano attori dopo un paio di modeste fiction o, peggio, un Grande Fratello), la pellicola è un trionfo di umanità e suspense, all'insegna di quel neorealismo obbligatorio in tutte le nazioni emergenti o riemergenti (come fu l'Italia nel dopoguerra). Uno dei film più belli visti al festival negli ultimi anni. Meno disciplinato stilisticamente (per evidenti ragioni di budget) ma non meno coinvolgente è il secondo film in concorso: il sudafricano Otelo is Burning, diretto da Sara Blecher, già documentarista e autrice per Bbc South Africa. Sette anni di lavorazione, in cerca di fondi arrivati poi dal governo, per una storia ambientata nei mesi finali dell'apartheid, quando tre giovani di Lamontville scoprono la passione per il surf, ovvero per la libertà. Libertà che pagheranno a prezzo carissimo, incarnando le due anime di un Sudafrica dilaniato politicamente e tribalmente. Melodramma, storia d'amore, soprattutto metafora sul costo sanguinoso di una libertà fratricida, il film lancia ombre inquietanti sulle lacerazioni createsi tra la popolazione di colore nel tentativo di liberarsi dell'egemonia bianca. Bravissimi i tre giovani protagonisti, tra cui un vero giovane di Lamontville e campione di surf, capaci di non «sbavare» anche passando per registri estremi di rabbia e passione. Gli esterni marini, nei quali la pellicola si apre in contrasto netto con la claustrofobia dell'entroterra, rivelano un'indole epica affatto scontata per un'industria in piena parabola ascendente.
Adamo Dagradi
Fonte: /www.larena.it
IN CONCORSO. Travolgente opera di Gitonga, in corsa per l'Oscar
La storia di un ragazzo che si divide tra palcoscenico e criminalità: è neorealismo con tanta umanità e suspense. In «Otelo is Burning» la voglia di libertà
18/11/2012
Il Festival di Cinema africano è partito col «botto»: un capolavoro che non solo ha ottime possibilità di vincere la kermesse ma potrebbe entrare nella cinquina di titoli candidati all'Oscar per il miglior film in lingua straniera. La pellicola in questione si chiama Nairobi Half Life ed è la prima produzione nella storia del Kenya sottoposta allo scrutinio dell'Academy. Il cinema africano, come tutte le realtà giovani e trasbordanti entusiasmo, non percorre le tappe: le brucia. Il lungometraggio nasce da un workshop svoltosi a Nairobi nel 2010, promosso dal regista tedesco Tom Tykwer (Lola corre, The International) e dalla sua One Fine Day Film. L'intenzione era quella di affiancare maestranze locali con professionisti europei, aiutando i giovani filmaker africani a lavorare con mezzi e mentalità internazionali. Il workshop è stato, a sua volta, conseguenza diretta del coinvolgimento di Tykwer nella nascente cinematografia keniota, dal quale era nato nel 2009 un altro piccolo capolavoro: Soul Boy (visto a Verona l'anno successivo). Un successo dovuto alla mentalità con cui il tedesco ha affrontato la sfida: non quella post-coloniale di tanti colleghi che vedono l'Africa come un sfondo inedito per stili e storie dalla sensibilità occidentale, ma dedicata a regalare ai talenti locali i mezzi per raccontare trame africane, realizzate da africani e fruibili in tutto il mondo. Qualità presenti nel travolgente Nairobi Half Life, opera prima di David «Tosh» Gitonga (con Tykwer assistente alla regia), epopea d'un ragazzo che si trasferisce a Nairobi aspirando alla carriera d'attore e finisce per dividere le lezioni su palcoscenico con una seconda vita criminale. Fotografata e montata con ariosa perfezione, interpretata da un cast di giovani promettenti, che molto potrebbero insegnare ai coetanei italiani (i quali si considerano attori dopo un paio di modeste fiction o, peggio, un Grande Fratello), la pellicola è un trionfo di umanità e suspense, all'insegna di quel neorealismo obbligatorio in tutte le nazioni emergenti o riemergenti (come fu l'Italia nel dopoguerra). Uno dei film più belli visti al festival negli ultimi anni. Meno disciplinato stilisticamente (per evidenti ragioni di budget) ma non meno coinvolgente è il secondo film in concorso: il sudafricano Otelo is Burning, diretto da Sara Blecher, già documentarista e autrice per Bbc South Africa. Sette anni di lavorazione, in cerca di fondi arrivati poi dal governo, per una storia ambientata nei mesi finali dell'apartheid, quando tre giovani di Lamontville scoprono la passione per il surf, ovvero per la libertà. Libertà che pagheranno a prezzo carissimo, incarnando le due anime di un Sudafrica dilaniato politicamente e tribalmente. Melodramma, storia d'amore, soprattutto metafora sul costo sanguinoso di una libertà fratricida, il film lancia ombre inquietanti sulle lacerazioni createsi tra la popolazione di colore nel tentativo di liberarsi dell'egemonia bianca. Bravissimi i tre giovani protagonisti, tra cui un vero giovane di Lamontville e campione di surf, capaci di non «sbavare» anche passando per registri estremi di rabbia e passione. Gli esterni marini, nei quali la pellicola si apre in contrasto netto con la claustrofobia dell'entroterra, rivelano un'indole epica affatto scontata per un'industria in piena parabola ascendente.
Adamo Dagradi
Fonte: /www.larena.it
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