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Reportage dalla baraccopoli più grande del Kenya
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Reportage dalla baraccopoli più grande del Kenya
17/08/2008
Kibera, l'inferno degli ultimi.
Prima di tutto l’odore. Ti prende alla gola e ti arriva fino al cervello tanto che fai fatica a formulare pensieri completi, il flusso delle riflessioni è costantemente bloccato dalla sforzo di sopportare quegli odori ammorbanti. Poi lo sguardo. Quando riesci a mettere a fuoco in quella luce abbagliante e chiarissima che è la luce dell’equatore, ti domandi “è mai possibile?” I piedi camminano su strade di immondizia di ogni genere, vecchia di decenni o appena trascinata dai rigagnoli di ruscelli anch’essi ricolmi di melma. Infine, la parola. Quella di un abitante di questo inferno che quando ci vede tirar fuori la macchina fotografica ci dice: “Ti piace questo posto? Perché non vieni a viverci?” L’ironia è tagliente, soffocante, come tutto, qui. Un luogo che guardato in fotografia ti appare come un film. Un film esagerato, esorbitante, eccessivo. Invece è tutto vero.
Siamo a Kibera, considerato il più grande slum dell’Africa. Siamo a Nairobi, capitale del Kenya, dove il 50 percento della popolazione vive sotto la soglia della povertà, dove la disoccupazione è al 40 percento e il reddito pro capite pari a 1.700 dollari statunitensi, e dove 1.2 milioni di persone (stime 2003) vivono con il virus dell’HIV/AIDS. Se questi dati, che riguardano tutto il paese, fossero calcolati solo qui a Kibera risulterebbero ancora più impressionanti. Sì, perché Kibera è un mondo a parte, nemmeno considerato nelle mappe topografiche degli uffici di governo. Non esistono servizi igienici, non esiste acqua potabile e a quella non potabile si accede da tubi esterni. La corrente è per lo più rubata dai fili elettrici che servono il resto della città.
Eppure qui vivono tra le 800mila e il milione di persone. Essere più precisi è impossibile, non esiste certo un'anagrafe. La densità della popolazione è altissima, 3mila persone per ettaro, durante il giorno vaganti tra le strade di immondizia, la notte stipati in case di lamiera, fango e pezzi di legno legati alla meglio, anche cinque persone in una stanza di dieci metri quadrati. La comodità è data da un materasso o da un divano sporco e stracciato, la privacy (se si ha la fortuna di avere due stanze) da una tendina tirata da un lato all'altro del muro. Per queste case si paga un affitto che va tra i 700 e i 1000 scellini kenyani al mese, così come devi pagare (4 scellini) se vuoi usare alcuni dei bagni pubblici (anzi latrine come si usa in linguaggio tecnico e come è giusto chiamarle) costruiti a seguito dei vari progetti internazionali di assistenza alla popolazione.
Orfani, malattie e la piaga dell'Hiv. Malaria, tifo, diarrea, sono solo alcune delle malattie più frequenti e diffuse, qui a Kibera. Chi non può permettersi neanche i 4 scellini, o non vuole, utilizza spazi fatti di quattro lamiere tenute su alla meglio. Molti di più ricorrono alle flying toilets, soprattutto di notte quando può diventare pericoloso uscire dalle baracche e i sacchetti di plastica utilizzati per raccogliere i propri escrementi vengono gettati in strada… Camminarci sopra è normale, impossibile evitarli confusi tra i rifiuti marci e quelli freschi. Mentre sei lì non fai in tempo a domandarti come è possibile vivere così, i bambini – migliaia e migliaia – ti fanno da corteo e sorridono continuamente, nonostante tutto. Alcune stime parlano di almeno 100mila orfani a causa del virus HIV/AIDS. Chi si occupa di loro? A Kibera, come negli altri slum di Nairobi (se ne sono contati 199) proliferano le attività delle ONG. Molti dei bambini che vivono qui possono andare a scuola grazie al Sostegno a Distanza che garantisce almeno il pagamento delle tasse scolastiche e cure mediche (come il trattamento artiretrovirale per l’HIV/AIDS) per i casi più gravi. Gli altri rimangono in strada tutto il giorno cercando qualcosa da fare, rovistando tra le immondizie o si aggregano a qualche gang e passano il tempo tra piccole ruberie, ma soprattutto sniffando colla e finendo, spesso, in prigione. Eppure a Kibera si nasce, si cresce, si sviluppano attività di ogni genere. Ci passa in mezzo persino un binario ferroviario e un treno che due volte al giorno, al mattino e alla sera, carica nei suoi vagoni mefitici i pendolari dello slum. Sono quelli forse un po’ più fortunati, che ogni giorno, 20 scellini per il percorso, vanno a lavorare in città. Nella baraccopoli, invece, ci si arrangia come si può.
Ma qui si trova di tutto... La vendita del carbone è una delle attività più diffuse, tutti ne hanno bisogno perché tutti lo utilizzano per accendere il fuoco per cucinare. Ne compri un sacchetto pieno per 10 scellini. Frittelle locali si cuociono per strada, trovi persino il pesce essiccato sulle bancarelle che affollano i corridoi tra un parte e l'altra dell'ammasso di baracche; bisogna però riuscire a riconoscerlo e vederlo, sommerso da nugoli così fitti di mosche da sembrare nient'altro che un tappetino scuro. Si trova chi vende le ricariche del telefono, chi un posto per vedere una partita di calcio alla tv (sì ci sono anche le tv collegate al satellite in un posto così), chi cuce vestiti seduto sul marciapiede, chi rimane per ore a guardare la gente passare.
Ma chi ha voluto Kibera? I primi abitanti di questo luogo furono ex soldati che avevano combattuto per gli inglesi durante la Prima Guerra Mondiale (il Kenya ha conquistato l’indipendenza dal Regno Unito il 12 dicembre del 1963). Si trattava di nubiani, gruppo etnico proveniente dal vicino Sudan. Pare che sul campo di battaglia si fossero distinti eppure, per loro dopo la guerra non c’era altro posto e la terra su cui cominciò a svilupparsi Kibera non gli venne alla fine mai concessa, come pare fosse stato promesso, e rimasero sempre degli abusivi. Abusivi oggi sono tutti gli altri, eppure una ricerca condotta non molto tempo fa dall’Università di Nairobi per conto di Un-Habitat - l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa degli insediamenti nelle città con lo scopo di garantire un alloggio adeguato per tutti - ha rivelato che su 120 proprietari delle baracche intervistati, il 57% è costituito da membri a vario titolo del governo o politici. Negli anni si sono accumulati tanti progetti per smantellare lo slum e fornire abitazioni adeguate ai suoi abitanti. Alcune costruzioni sono già state realizzate proprio ai margini della collina di Kibera ma nessuno vuole andarci ad abitare. I motivi sono tanti: dall’abitudine (certo, pare che ci si possa anche abituare a vivere in un posto così, soprattutto se non conosci altro); alla paura di lasciare i propri piccoli traffici; al timore di perdere gli aiuti delle ONG; agli affitti, ritenuti troppo alti.
Attrazione... turistica. Negli ultimi mesi la situazione è diventata ancora più complessa. Le violenze post-elettorali del dicembre scorso, che hanno confermato alla guida del paese il presidente uscente, Mwai Kibaki - risultato contestato dall’oppositore Raila Odinga, che è poi stato nominato primo ministro - hanno fatto oltre 1500 morti, 3000 mila sfollati e 12mila rifugiati. A Kibera ci sono ora famiglie divise, a causa degli assalti delle bande armate o per aver scelto di rifugiarsi in posti più sicuri. Eppure, sarà che anche l’inferno presenta una forte dose di attrazione, Kibera è assai più nota oggi rispetto al passato, quando davvero in pochi si preoccupavano della sua esistenza: qualche missionario coraggioso, qualche Ong pioniera in queste aree della sofferenza. Oggi Kibera è anche set cinematografico. Un regista americano ci ha girato un corto che ha ricevuto degli Award, i video su You Tube non si contano, i documentari anche. E così può capitare di incontrare turisti in pantaloncini e t-shirt di marca a spasso tra i rifiuti, alla ricerca di una nuova emozione, ma strettamente protetti da qualche locale improvvisatosi guida dello slum. Oggi, dunque, c’è un nuovo tour per chi visita il Kenya e Nairobi, un tour che è impossibile dimenticare, soprattutto perché, da bravo turista, porti a casa le foto. Foto che non hanno odore e che del fango e della melma trasmettono solo le sfumature nel colore. Foto che sembrano cartoline. Ma che sono “Cartoline dall’inferno”.
Kibera, l'inferno degli ultimi.
Prima di tutto l’odore. Ti prende alla gola e ti arriva fino al cervello tanto che fai fatica a formulare pensieri completi, il flusso delle riflessioni è costantemente bloccato dalla sforzo di sopportare quegli odori ammorbanti. Poi lo sguardo. Quando riesci a mettere a fuoco in quella luce abbagliante e chiarissima che è la luce dell’equatore, ti domandi “è mai possibile?” I piedi camminano su strade di immondizia di ogni genere, vecchia di decenni o appena trascinata dai rigagnoli di ruscelli anch’essi ricolmi di melma. Infine, la parola. Quella di un abitante di questo inferno che quando ci vede tirar fuori la macchina fotografica ci dice: “Ti piace questo posto? Perché non vieni a viverci?” L’ironia è tagliente, soffocante, come tutto, qui. Un luogo che guardato in fotografia ti appare come un film. Un film esagerato, esorbitante, eccessivo. Invece è tutto vero.
Siamo a Kibera, considerato il più grande slum dell’Africa. Siamo a Nairobi, capitale del Kenya, dove il 50 percento della popolazione vive sotto la soglia della povertà, dove la disoccupazione è al 40 percento e il reddito pro capite pari a 1.700 dollari statunitensi, e dove 1.2 milioni di persone (stime 2003) vivono con il virus dell’HIV/AIDS. Se questi dati, che riguardano tutto il paese, fossero calcolati solo qui a Kibera risulterebbero ancora più impressionanti. Sì, perché Kibera è un mondo a parte, nemmeno considerato nelle mappe topografiche degli uffici di governo. Non esistono servizi igienici, non esiste acqua potabile e a quella non potabile si accede da tubi esterni. La corrente è per lo più rubata dai fili elettrici che servono il resto della città.
Eppure qui vivono tra le 800mila e il milione di persone. Essere più precisi è impossibile, non esiste certo un'anagrafe. La densità della popolazione è altissima, 3mila persone per ettaro, durante il giorno vaganti tra le strade di immondizia, la notte stipati in case di lamiera, fango e pezzi di legno legati alla meglio, anche cinque persone in una stanza di dieci metri quadrati. La comodità è data da un materasso o da un divano sporco e stracciato, la privacy (se si ha la fortuna di avere due stanze) da una tendina tirata da un lato all'altro del muro. Per queste case si paga un affitto che va tra i 700 e i 1000 scellini kenyani al mese, così come devi pagare (4 scellini) se vuoi usare alcuni dei bagni pubblici (anzi latrine come si usa in linguaggio tecnico e come è giusto chiamarle) costruiti a seguito dei vari progetti internazionali di assistenza alla popolazione.
Orfani, malattie e la piaga dell'Hiv. Malaria, tifo, diarrea, sono solo alcune delle malattie più frequenti e diffuse, qui a Kibera. Chi non può permettersi neanche i 4 scellini, o non vuole, utilizza spazi fatti di quattro lamiere tenute su alla meglio. Molti di più ricorrono alle flying toilets, soprattutto di notte quando può diventare pericoloso uscire dalle baracche e i sacchetti di plastica utilizzati per raccogliere i propri escrementi vengono gettati in strada… Camminarci sopra è normale, impossibile evitarli confusi tra i rifiuti marci e quelli freschi. Mentre sei lì non fai in tempo a domandarti come è possibile vivere così, i bambini – migliaia e migliaia – ti fanno da corteo e sorridono continuamente, nonostante tutto. Alcune stime parlano di almeno 100mila orfani a causa del virus HIV/AIDS. Chi si occupa di loro? A Kibera, come negli altri slum di Nairobi (se ne sono contati 199) proliferano le attività delle ONG. Molti dei bambini che vivono qui possono andare a scuola grazie al Sostegno a Distanza che garantisce almeno il pagamento delle tasse scolastiche e cure mediche (come il trattamento artiretrovirale per l’HIV/AIDS) per i casi più gravi. Gli altri rimangono in strada tutto il giorno cercando qualcosa da fare, rovistando tra le immondizie o si aggregano a qualche gang e passano il tempo tra piccole ruberie, ma soprattutto sniffando colla e finendo, spesso, in prigione. Eppure a Kibera si nasce, si cresce, si sviluppano attività di ogni genere. Ci passa in mezzo persino un binario ferroviario e un treno che due volte al giorno, al mattino e alla sera, carica nei suoi vagoni mefitici i pendolari dello slum. Sono quelli forse un po’ più fortunati, che ogni giorno, 20 scellini per il percorso, vanno a lavorare in città. Nella baraccopoli, invece, ci si arrangia come si può.
Ma qui si trova di tutto... La vendita del carbone è una delle attività più diffuse, tutti ne hanno bisogno perché tutti lo utilizzano per accendere il fuoco per cucinare. Ne compri un sacchetto pieno per 10 scellini. Frittelle locali si cuociono per strada, trovi persino il pesce essiccato sulle bancarelle che affollano i corridoi tra un parte e l'altra dell'ammasso di baracche; bisogna però riuscire a riconoscerlo e vederlo, sommerso da nugoli così fitti di mosche da sembrare nient'altro che un tappetino scuro. Si trova chi vende le ricariche del telefono, chi un posto per vedere una partita di calcio alla tv (sì ci sono anche le tv collegate al satellite in un posto così), chi cuce vestiti seduto sul marciapiede, chi rimane per ore a guardare la gente passare.
Ma chi ha voluto Kibera? I primi abitanti di questo luogo furono ex soldati che avevano combattuto per gli inglesi durante la Prima Guerra Mondiale (il Kenya ha conquistato l’indipendenza dal Regno Unito il 12 dicembre del 1963). Si trattava di nubiani, gruppo etnico proveniente dal vicino Sudan. Pare che sul campo di battaglia si fossero distinti eppure, per loro dopo la guerra non c’era altro posto e la terra su cui cominciò a svilupparsi Kibera non gli venne alla fine mai concessa, come pare fosse stato promesso, e rimasero sempre degli abusivi. Abusivi oggi sono tutti gli altri, eppure una ricerca condotta non molto tempo fa dall’Università di Nairobi per conto di Un-Habitat - l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa degli insediamenti nelle città con lo scopo di garantire un alloggio adeguato per tutti - ha rivelato che su 120 proprietari delle baracche intervistati, il 57% è costituito da membri a vario titolo del governo o politici. Negli anni si sono accumulati tanti progetti per smantellare lo slum e fornire abitazioni adeguate ai suoi abitanti. Alcune costruzioni sono già state realizzate proprio ai margini della collina di Kibera ma nessuno vuole andarci ad abitare. I motivi sono tanti: dall’abitudine (certo, pare che ci si possa anche abituare a vivere in un posto così, soprattutto se non conosci altro); alla paura di lasciare i propri piccoli traffici; al timore di perdere gli aiuti delle ONG; agli affitti, ritenuti troppo alti.
Attrazione... turistica. Negli ultimi mesi la situazione è diventata ancora più complessa. Le violenze post-elettorali del dicembre scorso, che hanno confermato alla guida del paese il presidente uscente, Mwai Kibaki - risultato contestato dall’oppositore Raila Odinga, che è poi stato nominato primo ministro - hanno fatto oltre 1500 morti, 3000 mila sfollati e 12mila rifugiati. A Kibera ci sono ora famiglie divise, a causa degli assalti delle bande armate o per aver scelto di rifugiarsi in posti più sicuri. Eppure, sarà che anche l’inferno presenta una forte dose di attrazione, Kibera è assai più nota oggi rispetto al passato, quando davvero in pochi si preoccupavano della sua esistenza: qualche missionario coraggioso, qualche Ong pioniera in queste aree della sofferenza. Oggi Kibera è anche set cinematografico. Un regista americano ci ha girato un corto che ha ricevuto degli Award, i video su You Tube non si contano, i documentari anche. E così può capitare di incontrare turisti in pantaloncini e t-shirt di marca a spasso tra i rifiuti, alla ricerca di una nuova emozione, ma strettamente protetti da qualche locale improvvisatosi guida dello slum. Oggi, dunque, c’è un nuovo tour per chi visita il Kenya e Nairobi, un tour che è impossibile dimenticare, soprattutto perché, da bravo turista, porti a casa le foto. Foto che non hanno odore e che del fango e della melma trasmettono solo le sfumature nel colore. Foto che sembrano cartoline. Ma che sono “Cartoline dall’inferno”.
Scritto per Peace Reporter da Antonella Sinopoli
Iaiaa- Utente
- Numero di messaggi : 306
Data d'iscrizione : 18.05.09
Età : 34
Località : na
Re: Reportage dalla baraccopoli più grande del Kenya
veramente disarmante questo articolo.
asante- Simpatizzante
- Numero di messaggi : 51
Data d'iscrizione : 16.04.09
Re: Reportage dalla baraccopoli più grande del Kenya
www.korogocho.com, sito anche in italiano che parla dell'opera dei Padri Comboniani in Kibera, Korogocho ed altri slum di Nairobi.
black_mzungu- Nuovo utente
- Numero di messaggi : 3
Data d'iscrizione : 21.08.09
Età : 67
Località : Penisola Sorrentina
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