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Maratona, un affare di Stato vince sempre solo il Kenya
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Maratona, un affare di Stato vince sempre solo il Kenya
Maratona, un affare di Stato vince sempre solo il Kenya
Successi in tutte le 42 km corse ieri, 29 trionfi nelle ultime 30 gare
GIULIA ZONCA
Deve essere il porridge di ugali, una farina di mais, o l'aria di Iten, la città sforna campioni, da qualche parte deve esistere un segreto, una formula magica, una ricetta speciale che i keniani usano per vincere tutte le maratone.
Sì, sono sempre stati forti, predisposti e motivati ma ora è diverso. Non hanno rivali, zero concorrenza e nessuna sorpresa. Non ci si chiede più chi vincerà quella 42 km, ma quale keniano ci riuscirà. Ieri in sequenza hanno dominato tre maratone: Carpi, Eindhoven e Chicago. Posti diversi, importanza diversa e identico risultato: Kenya, Kenya e Kenya e sia in Olanda che in America si sono presi tutto il podio come è appena successo a Berlino e a Daegu nella gara femminile. Sono keniani gli ori Mondiali, l'oro olimpico e il record del mondo maschile appena strappato agli etiopi da Patrick Makau (2h03'38”). Sono tanti, allenati e parlano di «comunità», quel circolo virtuoso che porta i novellini a correre dietro i più forti al mondo. Hanno creato una catena di fenomeni.
A Chicago ha vinto Moses Mosop con il record della corsa (2h05'37”), si era preparato per il primato assoluto ma ha avuto un problema fisico. Ha pure avvisato di essere lontano dal meglio e quando è arrivato ha ammesso di essersi «massacrato» però nessuno lo ha fermato. La maratona è affare loro.
Renato Canova, il tecnico italiano chiamato «mago», allenatore di Mosop e di tanti altri nomi pesanti, respinge l'ipotesi di un elisir di imbattibilità: «Ma quale segreto, loro corrono. Sanno che farlo gli dà la possibilità di guadagnare. I soldi, gli sponsor hanno lasciato la pista e circolano nelle corse su strada. I keniani li hanno seguiti. Certo, sono pieni di talento ma non bisogna chiedersi cosa fanno per essere tanto forti. Piuttosto dove sbagliano gli altri. Dove sono gli europei?». Si cambia città e si trova la stessa risposta. Ad Eindhoven Jafred Chirchir Kipchumba, primo al traguardo in 2h05'48, ride davanti alla lista di keniani premiati: «Coincidenza? Non so, per me la chiave è stata allenarmi con Geoffrey Mutai». Un traino notevole: Mutai ha corso in 2h3'2” l'anno scorso a Boston, un record del mondo non omologato a causa del percorso.
Solo il 5 per cento dei professionisti raggiunge l'elite, il che significa ricambio continuo, una base con percentuali che nessun altro paese, neanche in Africa, può presentare. I migliori tecnici lavorano in Kenya, il movimento è sollecitato e monitorato eppure neanche così si spiega l'assolutismo. Si sono presi 29 delle ultime 30 maratone e solo tenendo conto delle competizioni di alto livello. Il comitato olimpico sta già litigando per i criteri di qualificazione a Londra 2012, chi vince la concorrenza interna è a un passo dall'oro. Dopo Berlino, Patrick Makau ha azzardato una spiegazione: «Da anni siamo in queste condizioni, ora abbiamo aggiunto una sicurezza che non conoscevamo. Alla prima 42 km in carriera ci arriviamo già agguerriti, magari in questo momento anche per gli avversari è più difficile affrontarci».
Prossimo traguardo New York, il 6 novembre. Il favorito è Mutai e l'attenzione è sul Kenya. Gli altri hanno poche possibilità, a meno di scoprire come diavolo si cucina il famoso porridge.
Fonte: www.lastampa.it/sport
Successi in tutte le 42 km corse ieri, 29 trionfi nelle ultime 30 gare
GIULIA ZONCA
Deve essere il porridge di ugali, una farina di mais, o l'aria di Iten, la città sforna campioni, da qualche parte deve esistere un segreto, una formula magica, una ricetta speciale che i keniani usano per vincere tutte le maratone.
Sì, sono sempre stati forti, predisposti e motivati ma ora è diverso. Non hanno rivali, zero concorrenza e nessuna sorpresa. Non ci si chiede più chi vincerà quella 42 km, ma quale keniano ci riuscirà. Ieri in sequenza hanno dominato tre maratone: Carpi, Eindhoven e Chicago. Posti diversi, importanza diversa e identico risultato: Kenya, Kenya e Kenya e sia in Olanda che in America si sono presi tutto il podio come è appena successo a Berlino e a Daegu nella gara femminile. Sono keniani gli ori Mondiali, l'oro olimpico e il record del mondo maschile appena strappato agli etiopi da Patrick Makau (2h03'38”). Sono tanti, allenati e parlano di «comunità», quel circolo virtuoso che porta i novellini a correre dietro i più forti al mondo. Hanno creato una catena di fenomeni.
A Chicago ha vinto Moses Mosop con il record della corsa (2h05'37”), si era preparato per il primato assoluto ma ha avuto un problema fisico. Ha pure avvisato di essere lontano dal meglio e quando è arrivato ha ammesso di essersi «massacrato» però nessuno lo ha fermato. La maratona è affare loro.
Renato Canova, il tecnico italiano chiamato «mago», allenatore di Mosop e di tanti altri nomi pesanti, respinge l'ipotesi di un elisir di imbattibilità: «Ma quale segreto, loro corrono. Sanno che farlo gli dà la possibilità di guadagnare. I soldi, gli sponsor hanno lasciato la pista e circolano nelle corse su strada. I keniani li hanno seguiti. Certo, sono pieni di talento ma non bisogna chiedersi cosa fanno per essere tanto forti. Piuttosto dove sbagliano gli altri. Dove sono gli europei?». Si cambia città e si trova la stessa risposta. Ad Eindhoven Jafred Chirchir Kipchumba, primo al traguardo in 2h05'48, ride davanti alla lista di keniani premiati: «Coincidenza? Non so, per me la chiave è stata allenarmi con Geoffrey Mutai». Un traino notevole: Mutai ha corso in 2h3'2” l'anno scorso a Boston, un record del mondo non omologato a causa del percorso.
Solo il 5 per cento dei professionisti raggiunge l'elite, il che significa ricambio continuo, una base con percentuali che nessun altro paese, neanche in Africa, può presentare. I migliori tecnici lavorano in Kenya, il movimento è sollecitato e monitorato eppure neanche così si spiega l'assolutismo. Si sono presi 29 delle ultime 30 maratone e solo tenendo conto delle competizioni di alto livello. Il comitato olimpico sta già litigando per i criteri di qualificazione a Londra 2012, chi vince la concorrenza interna è a un passo dall'oro. Dopo Berlino, Patrick Makau ha azzardato una spiegazione: «Da anni siamo in queste condizioni, ora abbiamo aggiunto una sicurezza che non conoscevamo. Alla prima 42 km in carriera ci arriviamo già agguerriti, magari in questo momento anche per gli avversari è più difficile affrontarci».
Prossimo traguardo New York, il 6 novembre. Il favorito è Mutai e l'attenzione è sul Kenya. Gli altri hanno poche possibilità, a meno di scoprire come diavolo si cucina il famoso porridge.
Fonte: www.lastampa.it/sport
Federica- ADMIN
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