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Alla fine ci sono ritornata!
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Alla fine ci sono ritornata!
Mi diverte scrivere dei miei viaggi. Forse lo faccio più per me che per gli altri. Come modo per non dimenticare i piccoli episodi, quelle immagini che ritornano alla mente mentre cerchi di ricordare.
Le fotografie riprendono un istante e certamente fanno riaffiorare i ricordi ma io preferisco scrivere e fissarli sulla carta.
Ottobre 2009-Nairobi
E’ stato così diverso questa volta in Kenya. Ma un viaggio in Africa ti porta sempre a confrontarti con le tue limitazioni e soprattutto intolleranze. E’ lo scontro o incontro di due diverse culture che affrontano la vita in maniera diversa. Non volevo ritornare negli stessi luoghi ma capire di più questo paese. Ecco perché ho voluto trascorrere cinque giorni a Nairobi, città con supermercati aperti 24 ore su 24, con centri culturali come l’Alliance Francaise dove puoi partecipare ad eventi culturali o seguire rassegne cinematografiche. Io amo le città africane perchè luoghi di contraddizioni, dove esiste la convivenza tra il tradizionale e il moderno, e il contrasto tra la ricchezza sfrenata e la miseri più assurda. Ma Nairobi è anche la città dello smoking ban, leggi divieto di fumo. Non ho avuto un bell’impatto. All’ingresso dell’albergo c’era un bel cartello che ti spiegava che non potevi fumare non solo nel ristorante o nelle aree comunali ma in tutta l’area (all’aperto) dell’albergo. Ok, va bene, vado fuori al cancello a fumare. Il giorno dopo esco e come al solito fumo per strada. Niente, la gente mi guardava ma ho pensato che forse era strano che una donna fumasse per strada. Il giorno seguente vado all’appuntamento con un’amica e allora capisco. Quando accendo la sigaretta, lei mi dice:‘Bianca guarda che ti possono fare la multa’. Il divieto di fumo a Nairobi non è solo in luoghi pubblici come ristoranti o cinema ma è vietato fumare anche per strada. Esistono le zone per fumatori. Quando avevo chiesto dove fossero nessuno mi aveva saputo rispondere. Se esci a Nairobi e vuoi fumare, e io devo fumare perchè sono fumatrice, o entri in uno dei bar o ristoranti che hanno la zona fumatori e quindi sei costretto a consumare, o lo fai in una specie di gabbia di ferro o forse sarebbe più corretto chiamarla cella di ferro senza il tetto, presente in alcune zone ma che io non ho capito dove siano. Se ci penso mi viene ancora da ridere, io con altri dieci uomini che letteralmente aspiravamo disperatamente le nostre sigarette sapendo che si sarebbe dovuto aspettare un’altra cella prima di poter fumare di nuovo. Roba di un altro mondo o forse dovrei dire di un altro continente.
Per fortuna non è vietato fumare in macchina. E da buona napoletana una volta capito come funzionava ho trovato il modo di raggirare il problema. Sono diventata amica di un tassista fumatore, siamo stati compagni di fumo per quattro giorni. Era così contento di condividere il vizio con una mzungu che mi ospitava nell’auto ogni volta che mi vedeva uscire per fumare.
Il Museo della stazione
Nel ricordo dei miei viaggi ogni luogo è sempre associato ad una persona che ho incontrato. E così è stato per la mia visita al museo della stazione. Vi ho trascorso più di tre ore, anche se in sostanza è solo uno stanzone. Ma ho avuto una guida eccezionale: un personaggio unico nel suo genere appassionato della storia ferroviaria dell’Africa dell’est. E’ un mito perchè conosce la storia di tutti gli oggetti esposti nel museo e te la racconta con dovizie di particolari. E naturalmente mi ha anche raccontato la storia del leone di Tsavo mangiatore di uomini. Più che raccontarmela me l’ha mimata: sembrava uno di quegli attori di fotoromanzi quando ha voluto mimare nel vagone l’espressione prima di sorpresa e poi di orrore alla vista del leone. Lo spazio antistante il museo ospita infatti sia la locomotiva usata nel film La Mia Africa che il vagone dove venne aggredito o meglio sbranato uno dei due protagonisti della storia
Nakuru
Sono andata a Nakuru per due giorni ma non ho visitato il lago perchè mi avevano detto che era quasi del tutto prosciugato. Sulla strada Nairobi Nakuru il matatu costeggia un altro lago che è gratuito da visitare. Ha fenicotteri e le sue acque hanno la stessa consistenza di quelle di Nakuru. E’ il lago Elementeita. L’amico del museo della stazione mi aveva dato la dritta.
Abbiamo fittato un auto io, la mia amica di Lamu e due suoi amici che vivono a Nakuru e si amo andati a visitare Kericho e le sue piantagioni di tea. Non avevo mai visto una pianta di tea in vita mia. E faceva anche freddo me era interessante vedere un paesaggio così diverso da quello che avevo visto fino ad allora. Lungo la strada il ragazzo mi mostrava i campi dei profughi kenioti che avevano perso la casa in seguito alla violenza postelettorale e le case distrutte e bruciate. Era di quei giorni la notizia che il governo aveva dato l’ultimato per smantellare i campi profughi, chiaramente non avendo ancora costruito sufficienti alloggi. Il ragazzo mi raccontava questo con apprensione, quasi con la paura che lo smantellamento potesse far nascere nuovi tumulti, generare nuova violenza.
Diani
Avevo il numero di telefono del tassista che mi aveva accompagnato dall’aeroporto di Mombasa all’albergo il mio primo giorno in Kenya a Giugno. L’avevo chiamato da Nairobi per sapere quanto sarebbe costato il trasferimento dall’aereoporto di Mombasa a Diani, ed eccolo lì ad aspettarmi.
60 minuti di aereo nairobi mombasa, 3 ore e mezzo mombasa diani. L’ingorgo era per imbarcarsi a Likoni. 3 ore e mezzo in macchina fermi con un caldo allucinante. E’ vero che sono abituata al traffico napoletano ma è un po’ che vivo a Londra e non ho la macchina.
La tedesca
Sapendo quanto fosse cara Diani avevo deciso di alloggiare a casa di una signora tedesca che vive lì da più di 15 anni. Avevo mille dubbi: su di lei, su quanto la casa fosse distante da Ukunda e dal centro di Diani.
Non sono mai stata in una casa più bella: disegnata da un architetto italiano è letteralmente sulla spiaggia . Dalla terrazza della mia stanza al piano superiore ogni mattina vedevo il mare azzurro e quella spiaggia così bianca quasi accecante.
Diani per me rimarrà sempre legata alla tedesca: un misto di efficienza tedesca e cultura keniota. Vivere lì da 15 anni significa per forza assorbire il pole pole, significa per forza assimilare alcuni aspetti della realtà locale ma mantenendo un forte accento tedesco e conoscendo solo qualche espressione in Swahili.
La prima sera mi portò a cena al ristorante di un suo amico, Thomas. Come poi ho scoperto Thomas è la persona che devi conoscere se vuoi intraprendere un business nella zona o se cerchi un alloggio perchè conosce tutti. Altro personaggio utile da conoscere è il capo della polizia di Ukunda. Il giorno dopo il mio arrivo sono andata a pranzo con lui e la tedesca. Insomma l’impatto è stato alquanto strano.
Ma quello che mi ha sbalordito è sapere che è conosciuta come la mzungu degli asini.
Ingmar, è il suo nome, ha una specie di fattoria: 3 asini, 6capre, 5 cani e non ricordo più che altro. I suoi asini sono diventati un’attrazione sulla spiaggia. I turisti si fanno fotografare non solo con i cammelli ma anche con gli asini
Usa l’omeopotia per curare i suoi animali: fa oscillare un pendolino che rivela quale parte del corpo è infiammata. Potrebbe anche essere considerata uno stregone perchè usa la stessa tecnica con il personale che l’aiuta a gestire la casa.
Il beach operator di Diani
Rama da <ramadan. Puoi studiare lingua e letteratura swahili, puoi studiare la loro storia e civiltà ma è solo quando sei sul posto che riesci ad afferrare ed intuire quelle sfumature che i libri non ti danno. Ho chiesto al piccolo beach boy sulla spiaggia di fronte la casa dove alloggiavo: Come ti chiami? Rama. Sono nato durante il ramadan
Un ragazzino di 19 anni con gli occhiali da sole specchiati, il jeans abbassato secondo la moda e la maglietta lunga che mi aveva spiegato che lui non era un beach boy ma un beach operator. Quale sia la differenza non la ricordo ma mi fa ancora sorridere la sua espressione seria quando me l’aveva spiegata.
Annegare.
Non ho capito come si fa ad organizzare una gita alla barriera corallina quando non sai nuotare bene. Aveva bevuto acqua quando si era immerso per mostrarmi un pesce così quando gli ho proposto di ritornare a riva senza aspettare la barca ha cominciato ad andare in panico e mi si aggrappava chiaramente spingendomi sott’acqua. Panico lui, terrorizzata io, ero pronta a dargli un pugno per stordirlo quando per fortuna la barca è arrivata
La foresta sacra
Volevo visitare la foresta sacra Kaya Kinondo ma il piccolo beach boy non ci era mai stato ed era quasi spaventato. Alla fine ci siamo andati, da soli io e lui camminando sulla spiaggia per due chilometri e poi tagliando all’interno. Devi indossare un specie di pareo nero, coprire le spalle, non mostrare alcun atteggiamento di tipo sessuale. Insomma c’è tutto un rituale da rispettare per poter accedere alla foresta, alle zone sacre dove gli antenati sono sepolti. Ecco perchè aveva paura il piccolo beach boy, era il senso di rispetto verso gli spiriti ancestrali.
La famiglia
Mi ha portato poi a visitare la sua famiglia: e come al solito l’imbarazzo perchè tutti ti guardano tra l’incuriosito, il vergognoso e il rispetto. E ti offrono se ce l’hanno uno sgabello e se non ce l’hanno una cassetta della frutta dove sederti, perchè tu sei una mzungu e non sei abituata a sederti per terra. Così tu sei seduta sulla cassetta e loro per terra e tu non sai cosa fare e cosa dire e vorresti non essere venuta. Ma in fondo quella è la realtà e allora sorridi e gli dici quelle poche parole in Swahili che conosci ma chiaramente i bambini non parlano swahili e allora continui a sorridere. Alla fine tutti ridevamo perchè non sapevamo cosa dire e il sorriso per fortuna va oltre la barriera linguistica.
E così ritorno a Nairobi, dove ad aspettarmi c’è il mio compagno di fumo, leggi tassista, che dopo due sigarette ed una birra in giro di notte per la città, mi riaccompagna all’aeroporto.
Anche questo viaggio è terminato ma questa volta so che tra due mesi sarò di nuovo a Nairobi. E’ solo un arrivederci quello che dico al mio compagno di fumo Bossie. Magari al mio ritorno non ci sarà più il divieto.
Le fotografie riprendono un istante e certamente fanno riaffiorare i ricordi ma io preferisco scrivere e fissarli sulla carta.
Ottobre 2009-Nairobi
E’ stato così diverso questa volta in Kenya. Ma un viaggio in Africa ti porta sempre a confrontarti con le tue limitazioni e soprattutto intolleranze. E’ lo scontro o incontro di due diverse culture che affrontano la vita in maniera diversa. Non volevo ritornare negli stessi luoghi ma capire di più questo paese. Ecco perché ho voluto trascorrere cinque giorni a Nairobi, città con supermercati aperti 24 ore su 24, con centri culturali come l’Alliance Francaise dove puoi partecipare ad eventi culturali o seguire rassegne cinematografiche. Io amo le città africane perchè luoghi di contraddizioni, dove esiste la convivenza tra il tradizionale e il moderno, e il contrasto tra la ricchezza sfrenata e la miseri più assurda. Ma Nairobi è anche la città dello smoking ban, leggi divieto di fumo. Non ho avuto un bell’impatto. All’ingresso dell’albergo c’era un bel cartello che ti spiegava che non potevi fumare non solo nel ristorante o nelle aree comunali ma in tutta l’area (all’aperto) dell’albergo. Ok, va bene, vado fuori al cancello a fumare. Il giorno dopo esco e come al solito fumo per strada. Niente, la gente mi guardava ma ho pensato che forse era strano che una donna fumasse per strada. Il giorno seguente vado all’appuntamento con un’amica e allora capisco. Quando accendo la sigaretta, lei mi dice:‘Bianca guarda che ti possono fare la multa’. Il divieto di fumo a Nairobi non è solo in luoghi pubblici come ristoranti o cinema ma è vietato fumare anche per strada. Esistono le zone per fumatori. Quando avevo chiesto dove fossero nessuno mi aveva saputo rispondere. Se esci a Nairobi e vuoi fumare, e io devo fumare perchè sono fumatrice, o entri in uno dei bar o ristoranti che hanno la zona fumatori e quindi sei costretto a consumare, o lo fai in una specie di gabbia di ferro o forse sarebbe più corretto chiamarla cella di ferro senza il tetto, presente in alcune zone ma che io non ho capito dove siano. Se ci penso mi viene ancora da ridere, io con altri dieci uomini che letteralmente aspiravamo disperatamente le nostre sigarette sapendo che si sarebbe dovuto aspettare un’altra cella prima di poter fumare di nuovo. Roba di un altro mondo o forse dovrei dire di un altro continente.
Per fortuna non è vietato fumare in macchina. E da buona napoletana una volta capito come funzionava ho trovato il modo di raggirare il problema. Sono diventata amica di un tassista fumatore, siamo stati compagni di fumo per quattro giorni. Era così contento di condividere il vizio con una mzungu che mi ospitava nell’auto ogni volta che mi vedeva uscire per fumare.
Il Museo della stazione
Nel ricordo dei miei viaggi ogni luogo è sempre associato ad una persona che ho incontrato. E così è stato per la mia visita al museo della stazione. Vi ho trascorso più di tre ore, anche se in sostanza è solo uno stanzone. Ma ho avuto una guida eccezionale: un personaggio unico nel suo genere appassionato della storia ferroviaria dell’Africa dell’est. E’ un mito perchè conosce la storia di tutti gli oggetti esposti nel museo e te la racconta con dovizie di particolari. E naturalmente mi ha anche raccontato la storia del leone di Tsavo mangiatore di uomini. Più che raccontarmela me l’ha mimata: sembrava uno di quegli attori di fotoromanzi quando ha voluto mimare nel vagone l’espressione prima di sorpresa e poi di orrore alla vista del leone. Lo spazio antistante il museo ospita infatti sia la locomotiva usata nel film La Mia Africa che il vagone dove venne aggredito o meglio sbranato uno dei due protagonisti della storia
Nakuru
Sono andata a Nakuru per due giorni ma non ho visitato il lago perchè mi avevano detto che era quasi del tutto prosciugato. Sulla strada Nairobi Nakuru il matatu costeggia un altro lago che è gratuito da visitare. Ha fenicotteri e le sue acque hanno la stessa consistenza di quelle di Nakuru. E’ il lago Elementeita. L’amico del museo della stazione mi aveva dato la dritta.
Abbiamo fittato un auto io, la mia amica di Lamu e due suoi amici che vivono a Nakuru e si amo andati a visitare Kericho e le sue piantagioni di tea. Non avevo mai visto una pianta di tea in vita mia. E faceva anche freddo me era interessante vedere un paesaggio così diverso da quello che avevo visto fino ad allora. Lungo la strada il ragazzo mi mostrava i campi dei profughi kenioti che avevano perso la casa in seguito alla violenza postelettorale e le case distrutte e bruciate. Era di quei giorni la notizia che il governo aveva dato l’ultimato per smantellare i campi profughi, chiaramente non avendo ancora costruito sufficienti alloggi. Il ragazzo mi raccontava questo con apprensione, quasi con la paura che lo smantellamento potesse far nascere nuovi tumulti, generare nuova violenza.
Diani
Avevo il numero di telefono del tassista che mi aveva accompagnato dall’aeroporto di Mombasa all’albergo il mio primo giorno in Kenya a Giugno. L’avevo chiamato da Nairobi per sapere quanto sarebbe costato il trasferimento dall’aereoporto di Mombasa a Diani, ed eccolo lì ad aspettarmi.
60 minuti di aereo nairobi mombasa, 3 ore e mezzo mombasa diani. L’ingorgo era per imbarcarsi a Likoni. 3 ore e mezzo in macchina fermi con un caldo allucinante. E’ vero che sono abituata al traffico napoletano ma è un po’ che vivo a Londra e non ho la macchina.
La tedesca
Sapendo quanto fosse cara Diani avevo deciso di alloggiare a casa di una signora tedesca che vive lì da più di 15 anni. Avevo mille dubbi: su di lei, su quanto la casa fosse distante da Ukunda e dal centro di Diani.
Non sono mai stata in una casa più bella: disegnata da un architetto italiano è letteralmente sulla spiaggia . Dalla terrazza della mia stanza al piano superiore ogni mattina vedevo il mare azzurro e quella spiaggia così bianca quasi accecante.
Diani per me rimarrà sempre legata alla tedesca: un misto di efficienza tedesca e cultura keniota. Vivere lì da 15 anni significa per forza assorbire il pole pole, significa per forza assimilare alcuni aspetti della realtà locale ma mantenendo un forte accento tedesco e conoscendo solo qualche espressione in Swahili.
La prima sera mi portò a cena al ristorante di un suo amico, Thomas. Come poi ho scoperto Thomas è la persona che devi conoscere se vuoi intraprendere un business nella zona o se cerchi un alloggio perchè conosce tutti. Altro personaggio utile da conoscere è il capo della polizia di Ukunda. Il giorno dopo il mio arrivo sono andata a pranzo con lui e la tedesca. Insomma l’impatto è stato alquanto strano.
Ma quello che mi ha sbalordito è sapere che è conosciuta come la mzungu degli asini.
Ingmar, è il suo nome, ha una specie di fattoria: 3 asini, 6capre, 5 cani e non ricordo più che altro. I suoi asini sono diventati un’attrazione sulla spiaggia. I turisti si fanno fotografare non solo con i cammelli ma anche con gli asini
Usa l’omeopotia per curare i suoi animali: fa oscillare un pendolino che rivela quale parte del corpo è infiammata. Potrebbe anche essere considerata uno stregone perchè usa la stessa tecnica con il personale che l’aiuta a gestire la casa.
Il beach operator di Diani
Rama da <ramadan. Puoi studiare lingua e letteratura swahili, puoi studiare la loro storia e civiltà ma è solo quando sei sul posto che riesci ad afferrare ed intuire quelle sfumature che i libri non ti danno. Ho chiesto al piccolo beach boy sulla spiaggia di fronte la casa dove alloggiavo: Come ti chiami? Rama. Sono nato durante il ramadan
Un ragazzino di 19 anni con gli occhiali da sole specchiati, il jeans abbassato secondo la moda e la maglietta lunga che mi aveva spiegato che lui non era un beach boy ma un beach operator. Quale sia la differenza non la ricordo ma mi fa ancora sorridere la sua espressione seria quando me l’aveva spiegata.
Annegare.
Non ho capito come si fa ad organizzare una gita alla barriera corallina quando non sai nuotare bene. Aveva bevuto acqua quando si era immerso per mostrarmi un pesce così quando gli ho proposto di ritornare a riva senza aspettare la barca ha cominciato ad andare in panico e mi si aggrappava chiaramente spingendomi sott’acqua. Panico lui, terrorizzata io, ero pronta a dargli un pugno per stordirlo quando per fortuna la barca è arrivata
La foresta sacra
Volevo visitare la foresta sacra Kaya Kinondo ma il piccolo beach boy non ci era mai stato ed era quasi spaventato. Alla fine ci siamo andati, da soli io e lui camminando sulla spiaggia per due chilometri e poi tagliando all’interno. Devi indossare un specie di pareo nero, coprire le spalle, non mostrare alcun atteggiamento di tipo sessuale. Insomma c’è tutto un rituale da rispettare per poter accedere alla foresta, alle zone sacre dove gli antenati sono sepolti. Ecco perchè aveva paura il piccolo beach boy, era il senso di rispetto verso gli spiriti ancestrali.
La famiglia
Mi ha portato poi a visitare la sua famiglia: e come al solito l’imbarazzo perchè tutti ti guardano tra l’incuriosito, il vergognoso e il rispetto. E ti offrono se ce l’hanno uno sgabello e se non ce l’hanno una cassetta della frutta dove sederti, perchè tu sei una mzungu e non sei abituata a sederti per terra. Così tu sei seduta sulla cassetta e loro per terra e tu non sai cosa fare e cosa dire e vorresti non essere venuta. Ma in fondo quella è la realtà e allora sorridi e gli dici quelle poche parole in Swahili che conosci ma chiaramente i bambini non parlano swahili e allora continui a sorridere. Alla fine tutti ridevamo perchè non sapevamo cosa dire e il sorriso per fortuna va oltre la barriera linguistica.
E così ritorno a Nairobi, dove ad aspettarmi c’è il mio compagno di fumo, leggi tassista, che dopo due sigarette ed una birra in giro di notte per la città, mi riaccompagna all’aeroporto.
Anche questo viaggio è terminato ma questa volta so che tra due mesi sarò di nuovo a Nairobi. E’ solo un arrivederci quello che dico al mio compagno di fumo Bossie. Magari al mio ritorno non ci sarà più il divieto.
Bianca- Nuovo utente
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