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La costituzione solo un unizio per il nuovo Kenya.
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La costituzione solo un unizio per il nuovo Kenya.
La costituzione solo un unizio per il nuovo Kenya.
Finalmente il Kenya ha una nuova Costituzione, una cosa che il nostro Paese ha eluso per decenni, anche se quasi tutti sapevano che era necessaria. Il fatto che il referendum sulla nuova Costituzione si sia svolto in modo così pacifico - sono passati solo pochi anni da quando il mio Paese è stato devastato da un’elezione presidenziale violentemente contestata - merita di essere celebrato. Evitando la violenza, i kenioti hanno dimostrato di saper comporre le proprie dispute pacificamente.
La ricerca di una nuova Costituzione è stata lunga e dolorosa. Quando, nel 2002, Mwai Kibaki si candidò per la prima volta alla carica di presidente, promise che, se avesse vinto, il suo governo avrebbe promulgato una nuova Carta nei primi cento giorni. Sotto la guida di Yash Pal Ghai, celebre costituzionalista, il cui curriculum internazionale include la stesura della Carta dell’Afghanistan, si avviò la Conferenza nazionale costituzionale. Ma cento giorni dopo non c’era traccia di una nuova Costituzione. E neppure duecento giorni dopo. I giorni divennero mesi, i mesi anni. Nel 2004 il processo franò per forti dissensi tra il campo di Kibaki e il resto del Paese. La Conferenza nazionale costituzionale venne sciolta.
Dopo questo fallimento, Kibaki ordinò all’avvocato Generale della Magistratura, Amos Wako, di assumersi la paternità della versione governativa di una nuova Carta. Nel 2005 Kibaki indisse un referendum per votare il documento di Wako. I kenioti lo respinsero.
Questo fallimento spaccò la coalizione di governo e divise il Paese. Nel 2007, quando Kibaki si presentò per un secondo mandato presidenziale, i kenioti erano assai meno ottimisti sul futuro del loro Paese di quando non lo fossero quando si era insediato. Gran parte del loro disincanto era conseguenza dell’incapacità di Kibaki a mantenere le promesse fatte nel 2002, tra le quali appunto il varo di una nuova Costituzione. Quando, dopo il voto del 2007, Kibaki fu dichiarato vincitore in circostanze dubbie, la pazienza dei kenioti finì. Il Paese esplose in violenze etniche, che causarono la morte di oltre mille persone e creò centinaia di migliaia di profughi.
Per fortuna quella violenza sembra essere dietro di noi. Oggi abbiamo una nuova Costituzione e i kenioti festeggiano. Ma che cosa festeggiamo esattamente? Io penso che, nella foga della campagna per il referendum, abbiamo dimenticato di chiederci in che modo sostituire la vecchia Costituzione con una nuova cambierà le nostre vite. Abbiamo pensato che il semplice atto di ratificarla avrebbe istantaneamente posto fine ai tanti problemi del nostro Paese.
Ma i kenioti non devono essere fuorviati da questa vittoria politica; il nostro Paese non cambierà con un tratto di penna. Il mio scetticismo (non pessimismo) deriva dalla tradizione keniota di rispetto della legge. Non c’è bisogno di un costituzionalista per osservare che nella vecchia Costituzione c’erano delle ottime leggi che non sono mai state fatte rispettare.
Un esempio è la Legge sulla Disabilità del 2003. Quando fu promulgata, i difensori dei diritti dell’uomo la lodarono come legge che avrebbe messo fine alle sofferenze dei disabili del Kenya. Sette anni dopo, pochissimi di loro ne hanno beneficiato. Una delle più lampanti violazioni riguarda l’articolo 23, che impone a tutti i mezzi di trasporto pubblici di essere accessibili ai disabili. Ma a Nairobi, nelle ore di punta, è pressoché impossibile per loro raggiungere in autobus i loro posti di lustrascarpe o venditori di dolciumi sui marciapiedi. Alla sera, i disabili che non lasciano la città presto devono aspettare fin dopo il tramonto per trovare un posto su un bus. Intanto il governo continua a concedere nuove licenze a veicoli che non rispettano questa legge.
Ovviamente, c’è poi l’ignobile piaga della corruzione, nella magistratura come nelle forze di polizia. Crediamo davvero che le forze dell’ordine e quanti lavorano nelle varie agenzie governative smetteranno di prendere bustarelle solo perché i kenioti hanno approvato una nuova Costituzione? Questa non avrà grandi effetti se noi non facciamo autocritica. Il processo di ratifica, per quanto lungo e difficile, era un gioco da ragazzi rispetto a quanto ci aspetta. Perché la Costituzione mantenga le sue grandi promesse, abbiamo bisogno di un cambiamento culturale che combatta la corruzione. Non possiamo più stare seduti e puntare il dito contro quelli al governo, e intanto aggirare la legge pagando tangenti. La dura verità è che sono corrotti sia quelli che prendono le bustarelle sia quelli che le danno. La corruzione fiorisce solo perché la maggior parte dei kenioti paga tangenti. Se non accettiamo questo semplice fatto, quando arriveranno le elezioni del 2012 ci troveremo esattamente al punto dov’eravamo dopo le discusse elezioni 2007.
Fonte: La Stampa.it
Finalmente il Kenya ha una nuova Costituzione, una cosa che il nostro Paese ha eluso per decenni, anche se quasi tutti sapevano che era necessaria. Il fatto che il referendum sulla nuova Costituzione si sia svolto in modo così pacifico - sono passati solo pochi anni da quando il mio Paese è stato devastato da un’elezione presidenziale violentemente contestata - merita di essere celebrato. Evitando la violenza, i kenioti hanno dimostrato di saper comporre le proprie dispute pacificamente.
La ricerca di una nuova Costituzione è stata lunga e dolorosa. Quando, nel 2002, Mwai Kibaki si candidò per la prima volta alla carica di presidente, promise che, se avesse vinto, il suo governo avrebbe promulgato una nuova Carta nei primi cento giorni. Sotto la guida di Yash Pal Ghai, celebre costituzionalista, il cui curriculum internazionale include la stesura della Carta dell’Afghanistan, si avviò la Conferenza nazionale costituzionale. Ma cento giorni dopo non c’era traccia di una nuova Costituzione. E neppure duecento giorni dopo. I giorni divennero mesi, i mesi anni. Nel 2004 il processo franò per forti dissensi tra il campo di Kibaki e il resto del Paese. La Conferenza nazionale costituzionale venne sciolta.
Dopo questo fallimento, Kibaki ordinò all’avvocato Generale della Magistratura, Amos Wako, di assumersi la paternità della versione governativa di una nuova Carta. Nel 2005 Kibaki indisse un referendum per votare il documento di Wako. I kenioti lo respinsero.
Questo fallimento spaccò la coalizione di governo e divise il Paese. Nel 2007, quando Kibaki si presentò per un secondo mandato presidenziale, i kenioti erano assai meno ottimisti sul futuro del loro Paese di quando non lo fossero quando si era insediato. Gran parte del loro disincanto era conseguenza dell’incapacità di Kibaki a mantenere le promesse fatte nel 2002, tra le quali appunto il varo di una nuova Costituzione. Quando, dopo il voto del 2007, Kibaki fu dichiarato vincitore in circostanze dubbie, la pazienza dei kenioti finì. Il Paese esplose in violenze etniche, che causarono la morte di oltre mille persone e creò centinaia di migliaia di profughi.
Per fortuna quella violenza sembra essere dietro di noi. Oggi abbiamo una nuova Costituzione e i kenioti festeggiano. Ma che cosa festeggiamo esattamente? Io penso che, nella foga della campagna per il referendum, abbiamo dimenticato di chiederci in che modo sostituire la vecchia Costituzione con una nuova cambierà le nostre vite. Abbiamo pensato che il semplice atto di ratificarla avrebbe istantaneamente posto fine ai tanti problemi del nostro Paese.
Ma i kenioti non devono essere fuorviati da questa vittoria politica; il nostro Paese non cambierà con un tratto di penna. Il mio scetticismo (non pessimismo) deriva dalla tradizione keniota di rispetto della legge. Non c’è bisogno di un costituzionalista per osservare che nella vecchia Costituzione c’erano delle ottime leggi che non sono mai state fatte rispettare.
Un esempio è la Legge sulla Disabilità del 2003. Quando fu promulgata, i difensori dei diritti dell’uomo la lodarono come legge che avrebbe messo fine alle sofferenze dei disabili del Kenya. Sette anni dopo, pochissimi di loro ne hanno beneficiato. Una delle più lampanti violazioni riguarda l’articolo 23, che impone a tutti i mezzi di trasporto pubblici di essere accessibili ai disabili. Ma a Nairobi, nelle ore di punta, è pressoché impossibile per loro raggiungere in autobus i loro posti di lustrascarpe o venditori di dolciumi sui marciapiedi. Alla sera, i disabili che non lasciano la città presto devono aspettare fin dopo il tramonto per trovare un posto su un bus. Intanto il governo continua a concedere nuove licenze a veicoli che non rispettano questa legge.
Ovviamente, c’è poi l’ignobile piaga della corruzione, nella magistratura come nelle forze di polizia. Crediamo davvero che le forze dell’ordine e quanti lavorano nelle varie agenzie governative smetteranno di prendere bustarelle solo perché i kenioti hanno approvato una nuova Costituzione? Questa non avrà grandi effetti se noi non facciamo autocritica. Il processo di ratifica, per quanto lungo e difficile, era un gioco da ragazzi rispetto a quanto ci aspetta. Perché la Costituzione mantenga le sue grandi promesse, abbiamo bisogno di un cambiamento culturale che combatta la corruzione. Non possiamo più stare seduti e puntare il dito contro quelli al governo, e intanto aggirare la legge pagando tangenti. La dura verità è che sono corrotti sia quelli che prendono le bustarelle sia quelli che le danno. La corruzione fiorisce solo perché la maggior parte dei kenioti paga tangenti. Se non accettiamo questo semplice fatto, quando arriveranno le elezioni del 2012 ci troveremo esattamente al punto dov’eravamo dopo le discusse elezioni 2007.
Fonte: La Stampa.it
dolcemagic- Sostenitore
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