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Notizie dell'altro mondo....
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Notizie dell'altro mondo....
"Come mai oggi ci stiamo mettendo più tempo del solito? La strada mi sembra in ottime condizioni" mi chiede mio padre che ero andato a prendere all'aeroporto di Mombasa ieri mattina.
Erano da poco passate le 12:30, ed eravamo quasi arrivati a Malindi, avendo già superato da una decina di chilometri Gede, ma per delle persone che erano in viaggio dal giorno prima anche 10 minuti in più sarebbero sembrati lunghissimi. Inoltre la fame cominciava a farsi sentire, ma almeno il tempo nuvoloso e senza pioggia era ideale per viaggiare.
"Sono andato piano, in fondo non abbiamo fretta, e comunque siamo quasi arrivati" gli rispondo mentre rallento. In lontananza infatti, un poliziotto si era messo in mezzo alla strada con il braccio alzato, facendo chiaramente segno di fermarsi.
Prudentemente metto la freccia e fermo il pulmino, accostando sulla sinistra.
Apro il finestrino: "Habari?" chiedo al poliziotto.
"Mzuri" dice lui mentre mi osserva attraverso il vetro del parabrezza a cui aveva avvicinato di molto il viso per leggere la scadenza scritta sul tagliando dell'assicurazione. Io lo guardo e gli sorrido mentre lui comincia un controllo dettagliatissimo del mezzo. Osserva le gomme che avranno percorso poche migliaia di chilometri e a cui avevo controllato la pressione la sera prima in vista della mia andata a Mombasa, poi guarda chi e' seduto in macchina, infine osserva di sbieco la carrozzeria.
Poi si mette di nuovo di fronte al pulmino e fa un paio di passi indietro. Si riavvicina, e bussa con le nocche vicino al parabrezza.
"Questo parabrezza ha un problema" dice.
Li per li ho pensato che probabilmente il vetro aveva un qualche microscopico graffio di cui non mi ero mai accorto. Mi metto un po' sulla difensiva: sapevo che cercava una scusa qualsiasi per un "Kitu Kidogo".
Osservo per bene il parabrezza mentre avevo ancora le mani sul volante e la cintura allacciata e non vedo assolutamente niente. "Qual'è' il problema?" chiedo.
Non riesco neanche a finire di formulare la domanda. "Riflette troppo" risponde.
Mi scappa per un attimo un sorriso, ma gli rispondo serio: "non ho capito", gli dico.
"Il parabrezza riflette! Mi favorisca la patente". Mentre mi slaccio la cintura per liberare meglio i miei movimenti traduco incredulo dall'inglese a mio padre e ai suoi ospiti che erano seduti dietro e che osservavano l'evolversi della situazione con aria preoccupata: "Ha detto che il parabrezza riflette!".
Recupero la patente dal cassetto e la porgo al poliziotto. Lui prende la patente e attraversa la strada per raggiungere la macchina di servizio parcheggiata dal lato opposto. Recupera da questa il blocchetto delle contravvenzioni, riattraversa la strada, si avvicina al mio finestrino e comincia a scrivere copiando le mie generalità dalla patente.
"Guardi, mi scusi, non ho capito bene. Mi dice qual'è il problema per favore?" chiedo di nuovo. "Il suo parabrezza riflette troppo, scenda dalla macchina prego".
In quel momento passava un'altra macchina, con dentro due kenioti. Lui fa segno a questa di fermarsi poco davanti al mio pulmino. Si avvicina alla macchina e scambia due parole in kiswahili. Controlla l'assicurazione della macchina fermata e mi fa "Venga qui".
Gli vado vicino. "Vede come il vetro della sua macchina riflette di più di questa?". "No" gli dico io un po' stizzito, "a me sembra che riflettano proprio in egual misura, forse il mio vetro e' un po' più pulito".
"Lei ha gli occhiali da sole e non vede la differenza"dice lui.
Mi levo gli occhiali: "Non vedo nessuna differenza!" dico io. Il poliziotto a questo punto aspettava chiaramente che gli sganciassi qualcosa, ma io ero ben deciso a resistere. Mi guarda di nuovo e non vedendo la mia mano intraprendere nessuna azione, finisce di scrivere il verbale e me lo porge.
Risalgo in macchina e lo leggo: non ci potevo credere! Alla voce "Answer a Charge of" c'era scritto: "REFLECTIVE FRONT WINDSCREEN"!
Aveva davvero scritto che il mio parabrezza rifletteva, motivo per il quale avrei dovuto presentarmi in corte di fronte al giudice il giorno dopo (questa mattina) alle 8 del mattino.
Arrivato a Malindi faccio una fotocopia del verbale e vado verso il centro cercando qualcuno a cui raccontare la mia storia che sapevo avere dell'incredibile. Cosi' ho fatto: ho raccontato tutto a chiunque avessi incontrato italiani kenioti o tedeschi... anche semplicemente per sfogarmi.
In corte questa mattina comunque non ci sono andato: un amico keniota a cui avevo raccontato il tutto, e che aveva evidentemente qualche amico nelle alte sfere della polizia, mi telefona la sera verso le undici e mezza dicendomi che aveva fatto sistemare la cosa.
Io sono convinto che l'abbia fatto per fare un piacere alla polizia, piu' che a me: non avevo chiesto un simile intervento e mi e' anche un po' dispiaciuto che sa finita cosi'... avrei voluto davvero vedere di cosa mi avrebbe potuto accusare il giudice il giorno dopo: "Colpevole di riflettere troppo".
Tratto da Maldimalindi
Erano da poco passate le 12:30, ed eravamo quasi arrivati a Malindi, avendo già superato da una decina di chilometri Gede, ma per delle persone che erano in viaggio dal giorno prima anche 10 minuti in più sarebbero sembrati lunghissimi. Inoltre la fame cominciava a farsi sentire, ma almeno il tempo nuvoloso e senza pioggia era ideale per viaggiare.
"Sono andato piano, in fondo non abbiamo fretta, e comunque siamo quasi arrivati" gli rispondo mentre rallento. In lontananza infatti, un poliziotto si era messo in mezzo alla strada con il braccio alzato, facendo chiaramente segno di fermarsi.
Prudentemente metto la freccia e fermo il pulmino, accostando sulla sinistra.
Apro il finestrino: "Habari?" chiedo al poliziotto.
"Mzuri" dice lui mentre mi osserva attraverso il vetro del parabrezza a cui aveva avvicinato di molto il viso per leggere la scadenza scritta sul tagliando dell'assicurazione. Io lo guardo e gli sorrido mentre lui comincia un controllo dettagliatissimo del mezzo. Osserva le gomme che avranno percorso poche migliaia di chilometri e a cui avevo controllato la pressione la sera prima in vista della mia andata a Mombasa, poi guarda chi e' seduto in macchina, infine osserva di sbieco la carrozzeria.
Poi si mette di nuovo di fronte al pulmino e fa un paio di passi indietro. Si riavvicina, e bussa con le nocche vicino al parabrezza.
"Questo parabrezza ha un problema" dice.
Li per li ho pensato che probabilmente il vetro aveva un qualche microscopico graffio di cui non mi ero mai accorto. Mi metto un po' sulla difensiva: sapevo che cercava una scusa qualsiasi per un "Kitu Kidogo".
Osservo per bene il parabrezza mentre avevo ancora le mani sul volante e la cintura allacciata e non vedo assolutamente niente. "Qual'è' il problema?" chiedo.
Non riesco neanche a finire di formulare la domanda. "Riflette troppo" risponde.
Mi scappa per un attimo un sorriso, ma gli rispondo serio: "non ho capito", gli dico.
"Il parabrezza riflette! Mi favorisca la patente". Mentre mi slaccio la cintura per liberare meglio i miei movimenti traduco incredulo dall'inglese a mio padre e ai suoi ospiti che erano seduti dietro e che osservavano l'evolversi della situazione con aria preoccupata: "Ha detto che il parabrezza riflette!".
Recupero la patente dal cassetto e la porgo al poliziotto. Lui prende la patente e attraversa la strada per raggiungere la macchina di servizio parcheggiata dal lato opposto. Recupera da questa il blocchetto delle contravvenzioni, riattraversa la strada, si avvicina al mio finestrino e comincia a scrivere copiando le mie generalità dalla patente.
"Guardi, mi scusi, non ho capito bene. Mi dice qual'è il problema per favore?" chiedo di nuovo. "Il suo parabrezza riflette troppo, scenda dalla macchina prego".
In quel momento passava un'altra macchina, con dentro due kenioti. Lui fa segno a questa di fermarsi poco davanti al mio pulmino. Si avvicina alla macchina e scambia due parole in kiswahili. Controlla l'assicurazione della macchina fermata e mi fa "Venga qui".
Gli vado vicino. "Vede come il vetro della sua macchina riflette di più di questa?". "No" gli dico io un po' stizzito, "a me sembra che riflettano proprio in egual misura, forse il mio vetro e' un po' più pulito".
"Lei ha gli occhiali da sole e non vede la differenza"dice lui.
Mi levo gli occhiali: "Non vedo nessuna differenza!" dico io. Il poliziotto a questo punto aspettava chiaramente che gli sganciassi qualcosa, ma io ero ben deciso a resistere. Mi guarda di nuovo e non vedendo la mia mano intraprendere nessuna azione, finisce di scrivere il verbale e me lo porge.
Risalgo in macchina e lo leggo: non ci potevo credere! Alla voce "Answer a Charge of" c'era scritto: "REFLECTIVE FRONT WINDSCREEN"!
Aveva davvero scritto che il mio parabrezza rifletteva, motivo per il quale avrei dovuto presentarmi in corte di fronte al giudice il giorno dopo (questa mattina) alle 8 del mattino.
Arrivato a Malindi faccio una fotocopia del verbale e vado verso il centro cercando qualcuno a cui raccontare la mia storia che sapevo avere dell'incredibile. Cosi' ho fatto: ho raccontato tutto a chiunque avessi incontrato italiani kenioti o tedeschi... anche semplicemente per sfogarmi.
In corte questa mattina comunque non ci sono andato: un amico keniota a cui avevo raccontato il tutto, e che aveva evidentemente qualche amico nelle alte sfere della polizia, mi telefona la sera verso le undici e mezza dicendomi che aveva fatto sistemare la cosa.
Io sono convinto che l'abbia fatto per fare un piacere alla polizia, piu' che a me: non avevo chiesto un simile intervento e mi e' anche un po' dispiaciuto che sa finita cosi'... avrei voluto davvero vedere di cosa mi avrebbe potuto accusare il giudice il giorno dopo: "Colpevole di riflettere troppo".
Tratto da Maldimalindi
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