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La diga che asseta
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La diga che asseta
LA DIGA CHE ASSETA
La regione del lago Turkana è la più arida del Kenya, un deserto di sabbia e pietra che segna il delicato confine con l'Etiopia, il Sudan e l' Uganda. Là l'acqua è il bene più prezioso, tanto che si cammina fino ad otto ore sotto il sole battente per riportarne a casa qualche litro. Negli ultimi anni la siccità ha ridotto sensibilmente le piogge e i corsi d'acqua stagionali restano asciutti per la maggior parte del tempo.
Questa è la terra di Turkana, Borana, Samburu e Dasanech, comunità pastorali prevalentemente nomadi, da sempre in conflitto per lo sfruttamento delle scarse risorse disponibili. Sopravvivono allevando cammelli, capre, asini e contendendosi un terra impervia e l'accesso alle poche forniture idriche disponibili.
In questo ambiente ostile il lago è una risorsa fondamentale. Per alcune comunità è l'unica fonte di acqua che, nonostante sia salina, viene utilizzata per tutti gli usi domestici e per abbeverare il bestiame. Negli anni queste popolazioni dalle tradizioni millenarie hanno diversificato l'attività produttiva dedicandosi anche alla pesca. Attraverso una rudimentale catena di distribuzione e commercio, il pesce del lago Turkana arriva sui mercati di Nairobi e viene venduto anche in Uganda. Si stima che fra pescatori, distributori, commercianti e trasportatori la pesca sia l'unica fonte di reddito per 10mila famiglie, che da queste parti significa 80mila persone.
Questo fragile sistema di relazioni ecologiche e sociali potrebbe collassare per sempre se la costruzione della diga Gilgel Gibe III arriverà a compimento. Il fiume Omo scorre per 600 chilometri in Etiopia, garantendo il 90 per cento dell'acqua del lago Turkana. E proprio sul bacino dell'Omo il sodalizio fra il governo etiope e una nota azienda italiana, la Salini Costruttori S.p.A, ha dato vita al progetto della diga di Gibe III, che potrebbe generare una crisi ambientale e umanitaria senza precedenti in una regione tradizionalmente instabile. La diga, in costruzione dal 2006, sbarrerà completamente il corso del fiume con un muro di 240 metri, 500 chilometri a nord del Lago Turkana. In Etiopia, anche la valle dell'Omo è popolata da numerosa comunità indigene che vivono di agricoltura tradizionale basata sulle piene del fiume. Durante la stagione delle piogge, le esondazioni irrigano naturalmente le terre depositando la materia organica che ne aumenta la fertilità, la stessa tecnica utilizzata dagli antichi Egizi lungo le sponde del Nilo.
Ma in termini di siccità sarà la regione del Turkana a pagare il prezzo più alto. Si stima che il livello del lago scenderà di 10-12 metri aumentando la concentrazione salina dell'acqua e compromettendo definitivamente l'uso domestico e per l'allevamento. La biodiversità acquatica sarà drasticamente ridotta, creando una crisi irreversibile dell'economia locale. I conflitti fra le popolazioni locali saranno esacerbati dal deterioramento ambientale e dall'aumento della povertà.
Tutto ciò potrebbe avvenire sotto il segno dello sviluppo. La diga avrà un costo complessivo di un miliardo e 800 milioni di euro e potrebbe ricevere il sostegno della Banca Africana di Sviluppo e della Banca Europea per gli Investimenti. I soldi dei contribuenti europei così asseterebbero ulteriormente una regione già duramente colpita dal cambiamento climatico e farebbero precipitare questa ampia zona dell'Africa subshariana in una nuova spirale di conflitti.
articolo di Caterina Amicucci
La regione del lago Turkana è la più arida del Kenya, un deserto di sabbia e pietra che segna il delicato confine con l'Etiopia, il Sudan e l' Uganda. Là l'acqua è il bene più prezioso, tanto che si cammina fino ad otto ore sotto il sole battente per riportarne a casa qualche litro. Negli ultimi anni la siccità ha ridotto sensibilmente le piogge e i corsi d'acqua stagionali restano asciutti per la maggior parte del tempo.
Questa è la terra di Turkana, Borana, Samburu e Dasanech, comunità pastorali prevalentemente nomadi, da sempre in conflitto per lo sfruttamento delle scarse risorse disponibili. Sopravvivono allevando cammelli, capre, asini e contendendosi un terra impervia e l'accesso alle poche forniture idriche disponibili.
In questo ambiente ostile il lago è una risorsa fondamentale. Per alcune comunità è l'unica fonte di acqua che, nonostante sia salina, viene utilizzata per tutti gli usi domestici e per abbeverare il bestiame. Negli anni queste popolazioni dalle tradizioni millenarie hanno diversificato l'attività produttiva dedicandosi anche alla pesca. Attraverso una rudimentale catena di distribuzione e commercio, il pesce del lago Turkana arriva sui mercati di Nairobi e viene venduto anche in Uganda. Si stima che fra pescatori, distributori, commercianti e trasportatori la pesca sia l'unica fonte di reddito per 10mila famiglie, che da queste parti significa 80mila persone.
Questo fragile sistema di relazioni ecologiche e sociali potrebbe collassare per sempre se la costruzione della diga Gilgel Gibe III arriverà a compimento. Il fiume Omo scorre per 600 chilometri in Etiopia, garantendo il 90 per cento dell'acqua del lago Turkana. E proprio sul bacino dell'Omo il sodalizio fra il governo etiope e una nota azienda italiana, la Salini Costruttori S.p.A, ha dato vita al progetto della diga di Gibe III, che potrebbe generare una crisi ambientale e umanitaria senza precedenti in una regione tradizionalmente instabile. La diga, in costruzione dal 2006, sbarrerà completamente il corso del fiume con un muro di 240 metri, 500 chilometri a nord del Lago Turkana. In Etiopia, anche la valle dell'Omo è popolata da numerosa comunità indigene che vivono di agricoltura tradizionale basata sulle piene del fiume. Durante la stagione delle piogge, le esondazioni irrigano naturalmente le terre depositando la materia organica che ne aumenta la fertilità, la stessa tecnica utilizzata dagli antichi Egizi lungo le sponde del Nilo.
Ma in termini di siccità sarà la regione del Turkana a pagare il prezzo più alto. Si stima che il livello del lago scenderà di 10-12 metri aumentando la concentrazione salina dell'acqua e compromettendo definitivamente l'uso domestico e per l'allevamento. La biodiversità acquatica sarà drasticamente ridotta, creando una crisi irreversibile dell'economia locale. I conflitti fra le popolazioni locali saranno esacerbati dal deterioramento ambientale e dall'aumento della povertà.
Tutto ciò potrebbe avvenire sotto il segno dello sviluppo. La diga avrà un costo complessivo di un miliardo e 800 milioni di euro e potrebbe ricevere il sostegno della Banca Africana di Sviluppo e della Banca Europea per gli Investimenti. I soldi dei contribuenti europei così asseterebbero ulteriormente una regione già duramente colpita dal cambiamento climatico e farebbero precipitare questa ampia zona dell'Africa subshariana in una nuova spirale di conflitti.
articolo di Caterina Amicucci
Iaiaa- Utente
- Numero di messaggi : 306
Data d'iscrizione : 18.05.09
Età : 34
Località : na
Manifestazioni in Kenya contro la diga etiope Gibe3
Manifestazioni in Kenya contro la diga etiope Gibe3
2 febbraio
In quattro città del Kenya ci sono state manifestazioni contro la controversa costruzione di una diga che minaccia la sopravvivenza di centinaia di migliaia di indigeni nella bassa Valle dell’Omo, in Etiopia, e attorno al Lago Turkana in Kenya.
Il fiume Omo rappresenta una vera ancora di salvezza per diverse tribù etiopi che grazie alle sue fertili pianure alluvionali riescono a sostentarsi autonomamente in un ambiente altrimenti molto aspro. Il fiume è inoltre l’emissario più importante del famoso lago Turkana, da cui dipende la sopravvivenza di molte tribù keniote. In virtù delle loro eccezionali caratteristiche, sia la bassa Valle dell’Omo sia il lago Turkana sono stati dichiarati Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
L’associazione Amici del Lago Turkana ha promosso manifestazioni simultanee, ma a Nairobi ha dovuto organizzare una semplice conferenza stampa a causa del divieto di tenere manifestazioni pubbliche nella capitale .
“Basandoci sulle ricerche e le opinioni degli ambientalisti” ha dichiarato un portavoce dell’associazione, “noi Amici del Lago Turkana esprimiamo la nostra preoccupazione per i due anni che il riempimento della diga richiederà e la diminuzione della portata dell’acqua che verrà rilasciata al Lago Turkana, insufficiente a sopperire ai bisogni ecologici”.
Rispetto al Kenya, in Etiopia, è molto più difficile per l’opinione pubblica manifestare contro il progetto. Il governo ha introdotto infatti una legislazione speciale che ostacola il lavoro della società civile nel campo dei diritti umani, della democrazia, della giustizia e della promulgazione di leggi. La maggior parte della gente non sa praticamente nulla della diga e dell’impatto che essa avrà sui popoli e l’ambiente.
La costruzione della diga, chiamata Gibe 3, è già arrivata a un terzo dal completamento ed è appaltata alla società italiana Salini Costruttori. Il governo italiano e numerose banche multinazionali stanno ora considerando di finanziare il progetto.
Secondo esperti indipendenti, la diga comprometterà le esondazioni naturali e stagionali del fiume Omo riducendo le foreste attorno al fiume e rendendo quasi impossibile le coltivazioni praticate nella valle dalle numerose tribù locali.
Diverse Ong hanno inoltrato proteste formali alla Banca Africana di Sviluppo sollecitandola a non finanziare la diga.
Con l’entrata in funzione della diga, probabilmente, il volume dell’acqua che confluisce nel Lago Turkana diminuirà drammaticamente. Le tribù locali, tra cui i Turkana, i Dassanech, i Rendille e i Samburu, pascolano il bestiame lungo le rive del lago, vi coltivano il raccolto e pescano nelle sue acque.
Survival sta sollecitando il governo etiope a congelare il progetto della diga finché non sarà stato effettuato uno studio indipendente e completo del suo impatto ambientale e sociale e finché le tribù della Valle dell’Omo non saranno state adeguatamente consultate.
Fonte: www.survival.it
2 febbraio
In quattro città del Kenya ci sono state manifestazioni contro la controversa costruzione di una diga che minaccia la sopravvivenza di centinaia di migliaia di indigeni nella bassa Valle dell’Omo, in Etiopia, e attorno al Lago Turkana in Kenya.
Il fiume Omo rappresenta una vera ancora di salvezza per diverse tribù etiopi che grazie alle sue fertili pianure alluvionali riescono a sostentarsi autonomamente in un ambiente altrimenti molto aspro. Il fiume è inoltre l’emissario più importante del famoso lago Turkana, da cui dipende la sopravvivenza di molte tribù keniote. In virtù delle loro eccezionali caratteristiche, sia la bassa Valle dell’Omo sia il lago Turkana sono stati dichiarati Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
L’associazione Amici del Lago Turkana ha promosso manifestazioni simultanee, ma a Nairobi ha dovuto organizzare una semplice conferenza stampa a causa del divieto di tenere manifestazioni pubbliche nella capitale .
“Basandoci sulle ricerche e le opinioni degli ambientalisti” ha dichiarato un portavoce dell’associazione, “noi Amici del Lago Turkana esprimiamo la nostra preoccupazione per i due anni che il riempimento della diga richiederà e la diminuzione della portata dell’acqua che verrà rilasciata al Lago Turkana, insufficiente a sopperire ai bisogni ecologici”.
Rispetto al Kenya, in Etiopia, è molto più difficile per l’opinione pubblica manifestare contro il progetto. Il governo ha introdotto infatti una legislazione speciale che ostacola il lavoro della società civile nel campo dei diritti umani, della democrazia, della giustizia e della promulgazione di leggi. La maggior parte della gente non sa praticamente nulla della diga e dell’impatto che essa avrà sui popoli e l’ambiente.
La costruzione della diga, chiamata Gibe 3, è già arrivata a un terzo dal completamento ed è appaltata alla società italiana Salini Costruttori. Il governo italiano e numerose banche multinazionali stanno ora considerando di finanziare il progetto.
Secondo esperti indipendenti, la diga comprometterà le esondazioni naturali e stagionali del fiume Omo riducendo le foreste attorno al fiume e rendendo quasi impossibile le coltivazioni praticate nella valle dalle numerose tribù locali.
Diverse Ong hanno inoltrato proteste formali alla Banca Africana di Sviluppo sollecitandola a non finanziare la diga.
Con l’entrata in funzione della diga, probabilmente, il volume dell’acqua che confluisce nel Lago Turkana diminuirà drammaticamente. Le tribù locali, tra cui i Turkana, i Dassanech, i Rendille e i Samburu, pascolano il bestiame lungo le rive del lago, vi coltivano il raccolto e pescano nelle sue acque.
Survival sta sollecitando il governo etiope a congelare il progetto della diga finché non sarà stato effettuato uno studio indipendente e completo del suo impatto ambientale e sociale e finché le tribù della Valle dell’Omo non saranno state adeguatamente consultate.
Fonte: www.survival.it
Federica- ADMIN
- Numero di messaggi : 1935
Data d'iscrizione : 16.04.09
Età : 47
Località : Uboldo
Salviamo il Lago Turkana, tra Etiopia e Kenya, fermiamo la diga Gibe III
Salviamo il Lago Turkana, tra Etiopia e Kenya, fermiamo la diga Gibe III
24/02/11-Situazione conflittuale tra Etiopia e Kenya a causa di un problema di... acqua. Alcune proteste sono state organizzate il week-end scorso a Nairobi dove si è manifestato contro la diga Gibe III, che è in costruzione nel territorio dell' Etiopia. Il timore è che questa opera abbia un impatto diretto e pesante sul Kenya. Il problema è che il grande corso d'acqua intercettato, il fiume Omo, il principale emissario del Lago Turkana (un tempo Lago Rodolfo), non potrà più alimentare lo specchio d'acqua che già possiede una situazione idrica piuttosto critica. Sarebbe un colpo mortale per il paesaggio magico del Turkana e per l'economia e la vita delle popolazioni di pastori e pescatori che abitano le sue sponde, dagli albori dell'umanità.
I livelli dell'acqua sono già diminuiti negli anni passati, a causa della siccità e gli apporti ridotti del fiume Omo, e le rive di quello il lago di Giada per i suoi colori, ora si sono ritirare in profondità. Questo mutamento idrogeologico ha privato un settore della pesca già fiorente di gran parte del suo potenziale di cattura, con impianti chiusi e pescatori senza lavoro ormai quasi neanche in grado di trovare abbastanza pesce giornaliero per sfamare le loro famiglie. Anche i pastori dipendono dall'acqua del fiume, soffrono la siccità ed hanno iniziato ad asciugarsi a causa del continuo abbassarsi della falda freatica.
La zona del Lago non è interessata solamente dalla costruzione della diga nel territorio etiope: sul lato del confine keniota, sono previsti importanti investimenti per un massimo di 1.000 MW di produzione eolica. Gli ambientalisti sono in mobilitazione, il lago Turkana è considerato uno dei luoghi culla del genere umano, ricco di importanza storica, ma anche di grande bellezza ed attrazione turistica. Gli Amici del lago Turkana - con un movimento che cresce su Facebook www.facebook.com/turkana - hanno marciato verso l'ambasciata cinese in cui hanno consegnato una petizione contro il governo di Pechino, principale finanziatore dei lavori, chiedendo il fermo degli appalti in queste zone così critiche dal punto di vista ambientale.
Difficile che il governo di Addis Abeba possa fare marcia indietro, e quindi è molto elevato il rischio che le popolazioni che vivono sulle rive del Lago Turkana dovranno fuggire in cerca di sostentamento e verranno condannati a vivere in baraccopoli urbane. Solo una forte mobilitazione è forse in grado di salvare il Lago Turkana e le sue popolazioni che da sempre vivono delle sue ricchezze..
Fonte:Eturbonews
24/02/11-Situazione conflittuale tra Etiopia e Kenya a causa di un problema di... acqua. Alcune proteste sono state organizzate il week-end scorso a Nairobi dove si è manifestato contro la diga Gibe III, che è in costruzione nel territorio dell' Etiopia. Il timore è che questa opera abbia un impatto diretto e pesante sul Kenya. Il problema è che il grande corso d'acqua intercettato, il fiume Omo, il principale emissario del Lago Turkana (un tempo Lago Rodolfo), non potrà più alimentare lo specchio d'acqua che già possiede una situazione idrica piuttosto critica. Sarebbe un colpo mortale per il paesaggio magico del Turkana e per l'economia e la vita delle popolazioni di pastori e pescatori che abitano le sue sponde, dagli albori dell'umanità.
I livelli dell'acqua sono già diminuiti negli anni passati, a causa della siccità e gli apporti ridotti del fiume Omo, e le rive di quello il lago di Giada per i suoi colori, ora si sono ritirare in profondità. Questo mutamento idrogeologico ha privato un settore della pesca già fiorente di gran parte del suo potenziale di cattura, con impianti chiusi e pescatori senza lavoro ormai quasi neanche in grado di trovare abbastanza pesce giornaliero per sfamare le loro famiglie. Anche i pastori dipendono dall'acqua del fiume, soffrono la siccità ed hanno iniziato ad asciugarsi a causa del continuo abbassarsi della falda freatica.
La zona del Lago non è interessata solamente dalla costruzione della diga nel territorio etiope: sul lato del confine keniota, sono previsti importanti investimenti per un massimo di 1.000 MW di produzione eolica. Gli ambientalisti sono in mobilitazione, il lago Turkana è considerato uno dei luoghi culla del genere umano, ricco di importanza storica, ma anche di grande bellezza ed attrazione turistica. Gli Amici del lago Turkana - con un movimento che cresce su Facebook www.facebook.com/turkana - hanno marciato verso l'ambasciata cinese in cui hanno consegnato una petizione contro il governo di Pechino, principale finanziatore dei lavori, chiedendo il fermo degli appalti in queste zone così critiche dal punto di vista ambientale.
Difficile che il governo di Addis Abeba possa fare marcia indietro, e quindi è molto elevato il rischio che le popolazioni che vivono sulle rive del Lago Turkana dovranno fuggire in cerca di sostentamento e verranno condannati a vivere in baraccopoli urbane. Solo una forte mobilitazione è forse in grado di salvare il Lago Turkana e le sue popolazioni che da sempre vivono delle sue ricchezze..
Fonte:Eturbonews
fio- Sostenitore
- Numero di messaggi : 3168
Data d'iscrizione : 21.04.09
Età : 77
Località : Como-Malindi-Africa
Gibe III: sempre più contestata la mega-diga italiana in Etiopia
Gibe III: sempre più contestata la mega-diga italiana in Etiopia
La diga Gibe III, in Etiopia, che con i suoi 240 metri di altezza è la più alta diga del suo tipo mai realizzata, è oggetto di controversie almeno dal 2006. Se ne parla in tutto il mondo, visto l’enorme impatto che può avere sulle popolazioni locali, ma è il nostro Paese più di ogni altro ad essere direttamente coinvolto nel progetto: la costruzione della mega-opera è stata infatti appaltata dal governo etiope alla società italiana Salini Costruttori.
di Andrea Bertaglio - 27 Ottobre 2011
La mega-diga Gilgel Gibe III, il cui completamento è previsto per il luglio 2013, rappresenta benissimo la smania di esportare quello che noi occidentali consideriamo 'progresso', ossia la possibilità di far girare un sacco di soldi. Questo progetto ha subito le critiche, in quest’ultimo periodo, non solo di associazioni come Survival, che fin dall’inizio denunciano i pesanti effetti che il “più grande progetto idroelettrico mai concepito nel Paese” africano avrà sull’ambiente e sulle popolazioni locali, ma anche delle Nazioni Unite, che hanno richiesto ancora all’Etiopia “informazioni urgenti” a riguardo.
La diga Gibe III può avere un enorme impatto sulle popolazioni locali
Persino il governo italiano, generalmente ben poco sensibile in tema di ambiente e diritti, ha annunciato che a causa delle perplessità sull'impatto che quest’opera avrà sulle popolazioni locali non concederà più il prestito previsto di 250 milioni di euro.
In particolare attraverso la CERD, la Convenzione per l’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione Razziale, l’ONU ha espresso grandi preoccupazioni per la situazione, attivando nei confronti dell’Etiopia un 'ammonimento preventivo' ed una 'procedura d’azione urgente', dandole tempo fino alla fine del gennaio 2012 “per dimostrare in modo attendibile che siano state condotte valutazioni di impatto indipendenti” e soprattutto “che i popoli tribali nella regione siano stati adeguatamente consultati”. Il CERD auspica “un dialogo costruttivo” con il governo di Addis Abeba, sottolineando però che, come rende noto Survival, “le richieste inoltrate precedentemente dal Relatore speciale ONU per i diritti indigeni sono state ignorate”.
Il completamento della mega-diga Gilgel Gibe III è previsto per luglio del 2013
La condizione di queste aree e delle loro genti ha messo in apprensione anche l’Unesco che, nel 1997, riconobbe la Valle del fiume Omo (dove vivono ben otto diverse tribù) ed il lago in cui sfocia, il Turkana del Kenya, come Patrimoni dell’Umanità. L’Organizzazione, che ha trattato questo argomento anche all’interno del suo rapporto annuale, ha infatti sollecitato il governo etiope a “fermare immediatamente i lavori di costruzione della diga Gibe III”, chiedendo che “tutte le istituzioni che la sostengono sospendano i loro finanziamenti”.
Per la Salini Costruttori tutta questa preoccupazione è inutile. Dal suo sito fa infatti presente che il “catastrofismo” di alcune associazioni (come Survival) è ingiustificato. Per la ditta romana, infatti, la popolazione locale non è toccata dalla cosa, dato che “non ci sono abitazioni da rimuovere nell’ambito del bacino”, ed anche a livello ambientale l’impatto è ridotto, in quanto “il fiume non subisce riduzioni della portata media” e, di conseguenza, “dalla centrale elettrica uscirà esattamente tanta acqua quanta ne entra”.
“Si può serenamente concludere - scrive la Salini Costruttori - che ad impianto costruito ed in operazione, Gibe III porterà energia elettrica per l’intera Etiopia e per il Kenya, contribuendo alla stabilità politica regionale”. “Fornirà acqua per l’agricoltura e con essa sicurezza alimentare”, assicura l’azienda, “migliorerà le condizioni ambientali e sanitarie e contribuirà a ridurre gli attuali fattori di conflitto”.
Una visione idilliaca della situazione. Viene allora da chiedersi perché, nel vicino Kenya, sia lo stesso Parlamento a sollevare molti dubbi e ad avere molte preoccupazioni proprio sulla mega-diga italiana. In una mozione dibattuta nel parlamento del Kenia lo scorso 10 agosto, infatti, molti deputati hanno espresso i loro timori sull’impatto della Gibe III sulle tribù che vivono attorno al Lago Turkana.
Le accuse da parte di alcuni deputati al governo keniota riguardano in particolare il fatto di aver ignorato la difficile condizione del proprio popolo non opponendosi alla diga Gibe III, che – hanno dichiarato – potrebbe distruggere i mezzi di sussistenza della gente attorno al Lago Turkana e avere gravi ripercussioni sulla loro indipendenza. Risultato? Anche per il Parlamento il governo del Kenya dovrebbe chiedere a quello dell’Etiopia di fermare la costruzione della diga Gibe III, almeno fino a quando non sarà effettuato uno studio affidabile, completo ed indipendente sull’impatto ambientale e sociale della mega struttura.
I timori riguardano in particolare il fatto che “il fragile ciclo idrologico e le specie acquatiche sarebbero danneggiati dal significativo abbassamento del livello del lago provocato dalla diga”, ma si spingono oltre la questione della diga Gibe III. Secondo Survival International, infatti, alcune delle terre agricole più fertili dell’Etiopia sono state sottratte alle tribù locali per essere affittate ad aziende straniere: “Le società che si sono accaparrate la terra, le utilizzeranno sia per la produzione di biocarburanti sia per coltivare ed esportare prodotti alimentari mentre, contemporaneamente, migliaia di Etiopi stanno morendo di fame a causa della terribile siccità in corso”, denuncia il movimento per i popoli indigeni.
Ovviamente ci sono state numerose manifestazioni di opposizione contro l’accaparramento di queste terre, ma sono state brutalmente represse: sono infatti molti gli indigeni che sono stati picchiati e incarcerati, dopo avere cercato di esprimere il loro dissenso. Addirittura, secondo alcune segnalazioni pervenute a Survival, un poliziotto avrebbe detto a una comunità indigena che il governo è “come un bulldozer, e che chiunque oserà opporsi ai suoi progetti di sviluppo sarà schiacciato come una persona schierata davanti a un bulldozer”, appunto.
La Valle del fiume Omo ed il lago in cui sfocia, il Turkana del Kenya, sono stati dichiarati Patrimoni dell’Umanità
“Il governo etiope e i suoi partner stranieri sono determinati a derubare i popoli tribali della loro terra e a distruggere i loro mezzi di sostentamento”, ha commentato Stephen Corry, Direttore Generale di Survival: “Vogliono ridurre tribù oggi autosufficienti in uno stato di dipendenza, sbattere in prigione tutti quelli che non sono d’accordo, e fingere che questo abbia qualcosa a che fare con il ‘progresso’ e lo ‘sviluppo’. Tutto ciò è vergognoso, criminale, e dovrebbe essere osteggiato con vigore da chiunque abbia a cuore i fondamentali diritti umani”.
Ora, al di là del fatto che all’origine di questi 'piani di sviluppo ci sia proprio un’azienda italiana, le parole di Corry hanno particolare rilievo in questi giorni. Non solo per tutti gli etiopi oppressi da scelte fatte al di sopra di loro, ma anche se si pensa a quanto è accaduto a Roma il 15 ottobre, o in Valle di Susa lo scorso luglio. Forse, 'Padroni a casa nostra' ormai non lo siamo neppure noi.
www.ilcambiamento.it
La diga Gibe III, in Etiopia, che con i suoi 240 metri di altezza è la più alta diga del suo tipo mai realizzata, è oggetto di controversie almeno dal 2006. Se ne parla in tutto il mondo, visto l’enorme impatto che può avere sulle popolazioni locali, ma è il nostro Paese più di ogni altro ad essere direttamente coinvolto nel progetto: la costruzione della mega-opera è stata infatti appaltata dal governo etiope alla società italiana Salini Costruttori.
di Andrea Bertaglio - 27 Ottobre 2011
La mega-diga Gilgel Gibe III, il cui completamento è previsto per il luglio 2013, rappresenta benissimo la smania di esportare quello che noi occidentali consideriamo 'progresso', ossia la possibilità di far girare un sacco di soldi. Questo progetto ha subito le critiche, in quest’ultimo periodo, non solo di associazioni come Survival, che fin dall’inizio denunciano i pesanti effetti che il “più grande progetto idroelettrico mai concepito nel Paese” africano avrà sull’ambiente e sulle popolazioni locali, ma anche delle Nazioni Unite, che hanno richiesto ancora all’Etiopia “informazioni urgenti” a riguardo.
La diga Gibe III può avere un enorme impatto sulle popolazioni locali
Persino il governo italiano, generalmente ben poco sensibile in tema di ambiente e diritti, ha annunciato che a causa delle perplessità sull'impatto che quest’opera avrà sulle popolazioni locali non concederà più il prestito previsto di 250 milioni di euro.
In particolare attraverso la CERD, la Convenzione per l’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione Razziale, l’ONU ha espresso grandi preoccupazioni per la situazione, attivando nei confronti dell’Etiopia un 'ammonimento preventivo' ed una 'procedura d’azione urgente', dandole tempo fino alla fine del gennaio 2012 “per dimostrare in modo attendibile che siano state condotte valutazioni di impatto indipendenti” e soprattutto “che i popoli tribali nella regione siano stati adeguatamente consultati”. Il CERD auspica “un dialogo costruttivo” con il governo di Addis Abeba, sottolineando però che, come rende noto Survival, “le richieste inoltrate precedentemente dal Relatore speciale ONU per i diritti indigeni sono state ignorate”.
Il completamento della mega-diga Gilgel Gibe III è previsto per luglio del 2013
La condizione di queste aree e delle loro genti ha messo in apprensione anche l’Unesco che, nel 1997, riconobbe la Valle del fiume Omo (dove vivono ben otto diverse tribù) ed il lago in cui sfocia, il Turkana del Kenya, come Patrimoni dell’Umanità. L’Organizzazione, che ha trattato questo argomento anche all’interno del suo rapporto annuale, ha infatti sollecitato il governo etiope a “fermare immediatamente i lavori di costruzione della diga Gibe III”, chiedendo che “tutte le istituzioni che la sostengono sospendano i loro finanziamenti”.
Per la Salini Costruttori tutta questa preoccupazione è inutile. Dal suo sito fa infatti presente che il “catastrofismo” di alcune associazioni (come Survival) è ingiustificato. Per la ditta romana, infatti, la popolazione locale non è toccata dalla cosa, dato che “non ci sono abitazioni da rimuovere nell’ambito del bacino”, ed anche a livello ambientale l’impatto è ridotto, in quanto “il fiume non subisce riduzioni della portata media” e, di conseguenza, “dalla centrale elettrica uscirà esattamente tanta acqua quanta ne entra”.
“Si può serenamente concludere - scrive la Salini Costruttori - che ad impianto costruito ed in operazione, Gibe III porterà energia elettrica per l’intera Etiopia e per il Kenya, contribuendo alla stabilità politica regionale”. “Fornirà acqua per l’agricoltura e con essa sicurezza alimentare”, assicura l’azienda, “migliorerà le condizioni ambientali e sanitarie e contribuirà a ridurre gli attuali fattori di conflitto”.
Una visione idilliaca della situazione. Viene allora da chiedersi perché, nel vicino Kenya, sia lo stesso Parlamento a sollevare molti dubbi e ad avere molte preoccupazioni proprio sulla mega-diga italiana. In una mozione dibattuta nel parlamento del Kenia lo scorso 10 agosto, infatti, molti deputati hanno espresso i loro timori sull’impatto della Gibe III sulle tribù che vivono attorno al Lago Turkana.
Le accuse da parte di alcuni deputati al governo keniota riguardano in particolare il fatto di aver ignorato la difficile condizione del proprio popolo non opponendosi alla diga Gibe III, che – hanno dichiarato – potrebbe distruggere i mezzi di sussistenza della gente attorno al Lago Turkana e avere gravi ripercussioni sulla loro indipendenza. Risultato? Anche per il Parlamento il governo del Kenya dovrebbe chiedere a quello dell’Etiopia di fermare la costruzione della diga Gibe III, almeno fino a quando non sarà effettuato uno studio affidabile, completo ed indipendente sull’impatto ambientale e sociale della mega struttura.
I timori riguardano in particolare il fatto che “il fragile ciclo idrologico e le specie acquatiche sarebbero danneggiati dal significativo abbassamento del livello del lago provocato dalla diga”, ma si spingono oltre la questione della diga Gibe III. Secondo Survival International, infatti, alcune delle terre agricole più fertili dell’Etiopia sono state sottratte alle tribù locali per essere affittate ad aziende straniere: “Le società che si sono accaparrate la terra, le utilizzeranno sia per la produzione di biocarburanti sia per coltivare ed esportare prodotti alimentari mentre, contemporaneamente, migliaia di Etiopi stanno morendo di fame a causa della terribile siccità in corso”, denuncia il movimento per i popoli indigeni.
Ovviamente ci sono state numerose manifestazioni di opposizione contro l’accaparramento di queste terre, ma sono state brutalmente represse: sono infatti molti gli indigeni che sono stati picchiati e incarcerati, dopo avere cercato di esprimere il loro dissenso. Addirittura, secondo alcune segnalazioni pervenute a Survival, un poliziotto avrebbe detto a una comunità indigena che il governo è “come un bulldozer, e che chiunque oserà opporsi ai suoi progetti di sviluppo sarà schiacciato come una persona schierata davanti a un bulldozer”, appunto.
La Valle del fiume Omo ed il lago in cui sfocia, il Turkana del Kenya, sono stati dichiarati Patrimoni dell’Umanità
“Il governo etiope e i suoi partner stranieri sono determinati a derubare i popoli tribali della loro terra e a distruggere i loro mezzi di sostentamento”, ha commentato Stephen Corry, Direttore Generale di Survival: “Vogliono ridurre tribù oggi autosufficienti in uno stato di dipendenza, sbattere in prigione tutti quelli che non sono d’accordo, e fingere che questo abbia qualcosa a che fare con il ‘progresso’ e lo ‘sviluppo’. Tutto ciò è vergognoso, criminale, e dovrebbe essere osteggiato con vigore da chiunque abbia a cuore i fondamentali diritti umani”.
Ora, al di là del fatto che all’origine di questi 'piani di sviluppo ci sia proprio un’azienda italiana, le parole di Corry hanno particolare rilievo in questi giorni. Non solo per tutti gli etiopi oppressi da scelte fatte al di sopra di loro, ma anche se si pensa a quanto è accaduto a Roma il 15 ottobre, o in Valle di Susa lo scorso luglio. Forse, 'Padroni a casa nostra' ormai non lo siamo neppure noi.
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Federica- ADMIN
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