Il Kenya rimane al palo

A quasi un anno e mezzo dalle violenze post-elettorali che provocarono la morte di almeno 1.500 persone e la fuga di altre 350.000, il governo di unità nazionale in Kenya continua a deludere le attese. E se molti analisti ritengono che, in un modo o nell'altro, il presidente Mwai Kibaki e il premier Raila Odinga riusciranno a mantenere in piedi la loro fragile coalizione fino alle elezioni del 2012, il rischio è che il programma di riforme presentato l'anno scorso finisca definitivamente nel cassetto.

Nato con lo scopo di portare allo stesso tavolo gli uomini del presidente Mwai Kibaki e quelli del leader dell'opposizione, Raila Odinga, principali protagonisti politici del caos post elettorale dello scorso anno, il governo keniano finora ha passato più tempo a risolvere le beghe interne che ad affrontare i problemi che minacciano il futuro del Paese. Il risultato è una crescita economica che segna il passo, anche a causa della congiuntura internazionale, e una tensione sotterranea che permea tutto il Paese. L'opinione pubblica trova sempre meno comprensibile dover mantenere l'esecutivo più costoso della storia keniana (allargato a 41 ministeri per includere tutte le comunità del Paese) senza vedere risultati concreti.

In teoria la riforma agraria, che il Kenya attende dall'indipendenza, sarebbe dovuto essere uno dei primi punti all'ordine del giorno per il nuovo esecutivo. Ma non è solo la redistribuzione della terra a tenere banco. L'eredità degli scontri del gennaio 2008, che videro le bande delle comunità Kikuyu (da cui proviene Kibaki) e Luo (vicine al premier Odinga) scontrarsi in tutto il Paese, è ancora pesante, segno che la convivenza potrebbe essere stata compromessa per sempre. E le autorità, che vantano una classe politica tra le meglio pagate al mondo (lo stipendio di un parlamentare è quasi pari a quello di un senatore americano) non sono riuscite a sanare in profondità le ferite che lacerano la società.

Buona parte della responsabilità dello stallo è attribuita a Raila Odinga, il campione del popolo all'indomani delle elezioni presidenziali, i cui risultati sarebbero stati manipolati dall'entourage di Kibaki per garantire al presidente un secondo mandato. Ostacolato dai problemi interni all'esecutivo, secondo alcuni il premier si starebbe dedicando a conquistare l'elettorato Kikuyu in vista delle consultazioni del 2012. E se da una parte la cosa potrebbe segnare il superamento di una politica a base etnica che in Kenya è sempre stata la norma, dall'altra significherebbe tradire le speranze di cambiamento dei suoi sostenitori. Ammesso che la coalizione regga, il premier ha ancora tre anni di tempo per convincere gli scettici.

Fonte: www.peacereporter.it

Mah, è proprio vero che una volta seduti non ci si vuol più rialzare dalla sedia comoda. Se come in italia ci si può candidare fuori paese io lo farei per il Kenya e metterei alla fame come i loro connazionali tutti quelli che sono al governo ed i loro stipendi li distribuirei nelle varie bidonville.
maisha marefu