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Cinema africano, il «prete ruvido» che denunciava i crimini di Stato
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Cinema africano, il «prete ruvido» che denunciava i crimini di Stato
Cinema africano, il «prete ruvido» che denunciava i crimini di Stato
EVENTO SPECIALE. Dal Kenya il film che ha vinto il Premio Verona. «The Rugged Priest», ispirato alla vita di John Kaiser è il secondo lungometraggio di Bob Nyanja girato con pochi mezzi e forse troppe ambizioni
19/11/2011
Verona. «Rugged» è un aggettivo inglese comunemente associato al terreno, col significato di accidentato, aspro. Lo si può usare anche per descrivere un essere umano, che diventerà forte, burbero, dal carattere difficile. The Rugged Priest, film kenyota presentato fuori concorso al XXXI Festival di Cinema Africano, nonché vincitore del Premio Verona, racconta la storia di un ministro della fede col cuore d'un combattente, ucciso da una cospirazione dopo aver denunciato la collusione del governo nel genocidio dei suoi fedeli. Figura liberamente ispirata a quella di John Anthony Kaiser, prete americano che accusò il presidente del Kenya di crimini contro l'umanità ed i suoi ministri di stupro e omicidio. Fu trovato morto il 23 agosto del 2000, un omicidio liquidato dalle autorità come suicidio.
UNA FIGURA DIFFICILE. Bob Nyanja, al suo secondo lungometraggio dopo il successo di Malooned, costruisce un'agiografia sui generis, lavorando con mezzi ristretti e incrollabile fede nella potenza del soggetto. La pellicola, purtroppo, come già successo con l'ultimo film in concorso A Little Town Called Descent, soffre di un problema comune in questa fase di sviluppo del cinema africano: non è all'altezza della sua ambizione. Questo è un male per la fruizione del pubblico occidentale (che non è il target di quest'opera), che la troverà tecnicamente povera e a tratti ingenua. Un bene, al contrario, per la settima arte kenyota: che scalpita irrequieta per diventare voce internazionale, alla quale nessuna storia sia preclusa. Sogno che si realizzerà presto.
Protagonista della pellicola è l'attore Collins Simpson, al debutto davanti alla telecamera dopo una vita passata sul palcoscenico. Il suo prete non disdegna l'alcol e gira armato di doppietta, con la quale uccide gazzelle per sfamare bambini e operai. Una figura difficile da gestire che Simpson, con spirito troppo teatrale, rischia di trasformare in una vignetta perennemente urlante e gesticolante. Non lo aiuta l'impossibilità di usare il suono in presa diretta nella quasi totalità delle scene all'aperto: il doppiaggio è spesso gravemente fuori sincrono e toglie molto, soprattutto ai due bravi comprimari come Lwanda Jawar e Serah Ndanu. Il fatto che il film superi abbondantemente le due ore non aiuta.
PASSIONE E POCHI SOLDI. Restano i dubbi sulla legittimità di un giudizio equo per opere dalla genesi così turbolenta: Nyanja ha girato con una RED Camera digitale in prestito, un modesto parco luci, pompe da giardino per «l'effetto pioggia» e un gruppo di tecnici di primo livello spinti più dall'entusiasmo che dalle prospettive di guadagno. In quest'ottica The Rugged Priest è un miracolo di passione e industriosità.
Il massimo favore che possiamo fargli è pertanto trattarlo come qualsiasi altro prodotto cinematografico, milionario o indipendente. L'Africa ed i suoi artisti, capaci di puntare al top, a differenza di molti italiani ed europei ormai rassegnati, non hanno certo bisogno di false benevolenze.
Adamo Dagradi
Fonte: www.larena.it
EVENTO SPECIALE. Dal Kenya il film che ha vinto il Premio Verona. «The Rugged Priest», ispirato alla vita di John Kaiser è il secondo lungometraggio di Bob Nyanja girato con pochi mezzi e forse troppe ambizioni
19/11/2011
Verona. «Rugged» è un aggettivo inglese comunemente associato al terreno, col significato di accidentato, aspro. Lo si può usare anche per descrivere un essere umano, che diventerà forte, burbero, dal carattere difficile. The Rugged Priest, film kenyota presentato fuori concorso al XXXI Festival di Cinema Africano, nonché vincitore del Premio Verona, racconta la storia di un ministro della fede col cuore d'un combattente, ucciso da una cospirazione dopo aver denunciato la collusione del governo nel genocidio dei suoi fedeli. Figura liberamente ispirata a quella di John Anthony Kaiser, prete americano che accusò il presidente del Kenya di crimini contro l'umanità ed i suoi ministri di stupro e omicidio. Fu trovato morto il 23 agosto del 2000, un omicidio liquidato dalle autorità come suicidio.
UNA FIGURA DIFFICILE. Bob Nyanja, al suo secondo lungometraggio dopo il successo di Malooned, costruisce un'agiografia sui generis, lavorando con mezzi ristretti e incrollabile fede nella potenza del soggetto. La pellicola, purtroppo, come già successo con l'ultimo film in concorso A Little Town Called Descent, soffre di un problema comune in questa fase di sviluppo del cinema africano: non è all'altezza della sua ambizione. Questo è un male per la fruizione del pubblico occidentale (che non è il target di quest'opera), che la troverà tecnicamente povera e a tratti ingenua. Un bene, al contrario, per la settima arte kenyota: che scalpita irrequieta per diventare voce internazionale, alla quale nessuna storia sia preclusa. Sogno che si realizzerà presto.
Protagonista della pellicola è l'attore Collins Simpson, al debutto davanti alla telecamera dopo una vita passata sul palcoscenico. Il suo prete non disdegna l'alcol e gira armato di doppietta, con la quale uccide gazzelle per sfamare bambini e operai. Una figura difficile da gestire che Simpson, con spirito troppo teatrale, rischia di trasformare in una vignetta perennemente urlante e gesticolante. Non lo aiuta l'impossibilità di usare il suono in presa diretta nella quasi totalità delle scene all'aperto: il doppiaggio è spesso gravemente fuori sincrono e toglie molto, soprattutto ai due bravi comprimari come Lwanda Jawar e Serah Ndanu. Il fatto che il film superi abbondantemente le due ore non aiuta.
PASSIONE E POCHI SOLDI. Restano i dubbi sulla legittimità di un giudizio equo per opere dalla genesi così turbolenta: Nyanja ha girato con una RED Camera digitale in prestito, un modesto parco luci, pompe da giardino per «l'effetto pioggia» e un gruppo di tecnici di primo livello spinti più dall'entusiasmo che dalle prospettive di guadagno. In quest'ottica The Rugged Priest è un miracolo di passione e industriosità.
Il massimo favore che possiamo fargli è pertanto trattarlo come qualsiasi altro prodotto cinematografico, milionario o indipendente. L'Africa ed i suoi artisti, capaci di puntare al top, a differenza di molti italiani ed europei ormai rassegnati, non hanno certo bisogno di false benevolenze.
Adamo Dagradi
Fonte: www.larena.it
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