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Kenya:Medici MFS:"In Kenya è catasftrofe umanitaria", "I profughi somali vendono il cibo per bere"
PASSIONE KENYA :: Il nostro Kenya :: L'angolo delle curiosità :: Emergenza "Siccità in Afirca Orienteale"
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Kenya:Medici MFS:"In Kenya è catasftrofe umanitaria", "I profughi somali vendono il cibo per bere"
"I profughi somali vendono il cibo per bere", Medici MFS: "In Kenya è catastrofe umanitaria".
11:18 - “Qui fa caldo, ma i rifugiati l’acqua non ce l’hanno. Dopo settimane di attesa ricevono una manciata di cibo che devono subito vendere. Per bere”. Questa la denuncia di uno dei medici dell’Associazione Medici Senza Frontiere, in missione a Dadaab, in Kenya, dove si trova il campo profughi più grande del mondo.
“Qui fa caldo, ma i rifugiati l’acqua non ce l’hanno. Dopo settimane di attesa ricevono una manciata di cibo che devono subito vendere. Per bere”. Questa la denuncia di uno dei medici dell’Associazione Medici Senza Frontiere, in missione a Dadaab, in Kenya, dove si trova il campo profughi più grande del mondo.
A Dadaab trovano rifugio quotidianamente migliaia di somali che scappano dal loro Paese, provato da vent’anni di conflitto armato. La loro condizione è grave non solo a causa della guerra, ma anche a causa della perdita dei raccolti e dei capi di bestiame, dovuta alla siccità, e del conseguente aumento del prezzo delle derrate alimentari.
Il campo attualmente accoglie 300 mila persone, ma la gente arriva al ritmo di 500 al giorno. Sono donne che partono con la speranza di dare un futuro migliore ai loro bambini e a quelli dei loro parenti, percorrendo più di 100 chilometri in un mese. “Li caricano nel carretto, trainato dall’asino, e si mettono in marcia. Ci hanno detto che i bambini più deboli sono morti durante il cammino”, ha scritto Mauro, un medico di MFS, in una mail pubblicata su Vanity Fair.
"Sono troppi, non c'è posto per tutti"
Così, non c’è posto per tutti. Chi non ce la fa ad entrare nel campo si ammassa in periferia e non viene nemmeno registrato. “Ci sono più di 8 mila persone fuori di qui”, racconta Nenna Arnold, un’infermiera di MSF. Persone che non ricevono né acqua, né cibo, né tende sotto le quali dormire. Semplicemente perché “sono troppi”.
Secondo Mohammed Gedi Abdi, direttore dell’ospedale del campo, è una situazione difficile da gestire, nonostante il personale specializzato a disposizione, dato che “il 90% dei pazienti sono giunti nel campo negli ultimi tre mesi” e non si sa quando si fermeranno gli arrivi. “La scorsa settimana ho visitato l’area dei nuovi arrivati”, racconta Mohammed, “e quando ho parlato con uno dei più vecchi, mi ha detto che i parenti che sono in Somalia gli hanno chiesto di occupargli uno spazio vicino a dove si sarebbe sistemato”.
"Catastrofe umanitaria"
La situazione è talmente grave che sembra riduttivo parlare di emergenza. I dati raccolti da MSF testimoniano che più del 40% dei bambini sono acutamente malnutriti, “ma nessuno ancora si muove”. Basta andare nei cimiteri per capire lo scempio che la mancanza di cibo e acqua sta provocando, come racconta lo stesso Mauro: “Tomba grande adulto, tomba piccola bambino. Di piccole ne ho contate più di 100, e recenti, e ce ne sono moltissime altre, che nei prossimi giorni faremo contare…”. Una vera e propria catastrofe umanitaria.
"Attualmente i profughi sono senza futuro"
Molte volte, i medici in missione si trovano davanti a situazioni familiari al limite, che aggravano ulteriormente la conduzione delle cure. Mauro, un giorno, ha dovuto fare un compromesso: “ho dovuto mandare a casa un bimbo di 7 mesi che pesava solo 3 chili perché la mamma doveva badare agli altri 9 figli e se ne sarebbe andata comunque”. Il piccolo sarà nutrito con latte terapeutico in day hospital, ma così facendo rischia di morire. Il medico l’ha detto al padre, che gli ha risposto: “devo scegliere, tra un bimbo malato e altri nove, ancora relativamente sani ma a rischio di diventare malati”. E i rifugiati più deboli e indifesi, sono ovviamente i bambini. Le prospettive future non sono per niente rosee. “La maggior parte dei profughi somali è senza sicurezza, riparo, acqua”, sottolinea Muhannad Daoud, coordinatore del progetto MFS. E, cioè, “senza un futurochiaro, sia qui che in altre zone”.
La testimonianza di una famiglia di profughi
Luul Sankus è una donna somala che ha camminato insieme a suo marito e ai suoi due figli per più di 160 km per raggiungere il villaggio di Hurufle, nella valle di Juba, e racconta così il suo viaggio della speranza: “Sono lontana dalla mia regione da più di 9 mesi ormai. Siamo agricoltori. Dopo l’inizio delle piogge e dopo aver terminato le scorte alimentari ci siamo incamminati verso Hurufle dove ora viviamo come sfollati. Al nostro arrivo, uno dei miei figli si è ammalato: non avevamo cure, riparo e cibo. Mi hanno consigliato di portarlo all’ospedale di Medici Senza Frontiere a Marere. Ecco perché sono qui”.
Fonte: TgCom
4.8.2011
11:18 - “Qui fa caldo, ma i rifugiati l’acqua non ce l’hanno. Dopo settimane di attesa ricevono una manciata di cibo che devono subito vendere. Per bere”. Questa la denuncia di uno dei medici dell’Associazione Medici Senza Frontiere, in missione a Dadaab, in Kenya, dove si trova il campo profughi più grande del mondo.
“Qui fa caldo, ma i rifugiati l’acqua non ce l’hanno. Dopo settimane di attesa ricevono una manciata di cibo che devono subito vendere. Per bere”. Questa la denuncia di uno dei medici dell’Associazione Medici Senza Frontiere, in missione a Dadaab, in Kenya, dove si trova il campo profughi più grande del mondo.
A Dadaab trovano rifugio quotidianamente migliaia di somali che scappano dal loro Paese, provato da vent’anni di conflitto armato. La loro condizione è grave non solo a causa della guerra, ma anche a causa della perdita dei raccolti e dei capi di bestiame, dovuta alla siccità, e del conseguente aumento del prezzo delle derrate alimentari.
Il campo attualmente accoglie 300 mila persone, ma la gente arriva al ritmo di 500 al giorno. Sono donne che partono con la speranza di dare un futuro migliore ai loro bambini e a quelli dei loro parenti, percorrendo più di 100 chilometri in un mese. “Li caricano nel carretto, trainato dall’asino, e si mettono in marcia. Ci hanno detto che i bambini più deboli sono morti durante il cammino”, ha scritto Mauro, un medico di MFS, in una mail pubblicata su Vanity Fair.
"Sono troppi, non c'è posto per tutti"
Così, non c’è posto per tutti. Chi non ce la fa ad entrare nel campo si ammassa in periferia e non viene nemmeno registrato. “Ci sono più di 8 mila persone fuori di qui”, racconta Nenna Arnold, un’infermiera di MSF. Persone che non ricevono né acqua, né cibo, né tende sotto le quali dormire. Semplicemente perché “sono troppi”.
Secondo Mohammed Gedi Abdi, direttore dell’ospedale del campo, è una situazione difficile da gestire, nonostante il personale specializzato a disposizione, dato che “il 90% dei pazienti sono giunti nel campo negli ultimi tre mesi” e non si sa quando si fermeranno gli arrivi. “La scorsa settimana ho visitato l’area dei nuovi arrivati”, racconta Mohammed, “e quando ho parlato con uno dei più vecchi, mi ha detto che i parenti che sono in Somalia gli hanno chiesto di occupargli uno spazio vicino a dove si sarebbe sistemato”.
"Catastrofe umanitaria"
La situazione è talmente grave che sembra riduttivo parlare di emergenza. I dati raccolti da MSF testimoniano che più del 40% dei bambini sono acutamente malnutriti, “ma nessuno ancora si muove”. Basta andare nei cimiteri per capire lo scempio che la mancanza di cibo e acqua sta provocando, come racconta lo stesso Mauro: “Tomba grande adulto, tomba piccola bambino. Di piccole ne ho contate più di 100, e recenti, e ce ne sono moltissime altre, che nei prossimi giorni faremo contare…”. Una vera e propria catastrofe umanitaria.
"Attualmente i profughi sono senza futuro"
Molte volte, i medici in missione si trovano davanti a situazioni familiari al limite, che aggravano ulteriormente la conduzione delle cure. Mauro, un giorno, ha dovuto fare un compromesso: “ho dovuto mandare a casa un bimbo di 7 mesi che pesava solo 3 chili perché la mamma doveva badare agli altri 9 figli e se ne sarebbe andata comunque”. Il piccolo sarà nutrito con latte terapeutico in day hospital, ma così facendo rischia di morire. Il medico l’ha detto al padre, che gli ha risposto: “devo scegliere, tra un bimbo malato e altri nove, ancora relativamente sani ma a rischio di diventare malati”. E i rifugiati più deboli e indifesi, sono ovviamente i bambini. Le prospettive future non sono per niente rosee. “La maggior parte dei profughi somali è senza sicurezza, riparo, acqua”, sottolinea Muhannad Daoud, coordinatore del progetto MFS. E, cioè, “senza un futurochiaro, sia qui che in altre zone”.
La testimonianza di una famiglia di profughi
Luul Sankus è una donna somala che ha camminato insieme a suo marito e ai suoi due figli per più di 160 km per raggiungere il villaggio di Hurufle, nella valle di Juba, e racconta così il suo viaggio della speranza: “Sono lontana dalla mia regione da più di 9 mesi ormai. Siamo agricoltori. Dopo l’inizio delle piogge e dopo aver terminato le scorte alimentari ci siamo incamminati verso Hurufle dove ora viviamo come sfollati. Al nostro arrivo, uno dei miei figli si è ammalato: non avevamo cure, riparo e cibo. Mi hanno consigliato di portarlo all’ospedale di Medici Senza Frontiere a Marere. Ecco perché sono qui”.
Fonte: TgCom
4.8.2011
dolcemagic- Sostenitore
- Numero di messaggi : 1817
Data d'iscrizione : 23.10.09
Età : 51
Località : Verbania ( lago Maggiore )!!!
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