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Malasanità/ Costose attrezzature e sprechi. Ecco perché in Italia la Sanità non funziona.Meglio in Kenya
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Malasanità/ Costose attrezzature e sprechi. Ecco perché in Italia la Sanità non funziona.Meglio in Kenya
Malasanità/ Costose attrezzature e sprechi. Ecco perché in Italia la Sanità non funziona.Meglio in Kenya
Dieci mesi per una mammografia nell'ospedale di Frosinone, addirittura tre anni per un eco doppler a Latina. Senza contare l'allarme infezioni nella terapia intensiva delle Molinette di Torino. Dopo gli scandali negli ospedali italiani, Alberto Bencivenga, specialista in chirurgia generale all'ospedale di Roma e Firenze, lancia su Affaritaliani.it la sua denuncia sul cattivo funzionamento della Sanità italiana. "Tornato in Italia, dopo 42 anni spesi a praticare chirurgia e ad insegnarla all'università in due Paesi europei (Germania e Svizzera) e due africani (Somalia, quando questa terra era un paradiso terrestre, e Kenya), mi sono scandalizzato per quello che ho trovato". Poi spiega: "Costose attrezzature, sprechi e tempi lunghissimi di degenza dove si possono anche contrarre le malattie più svariate. Ecco perchè la sanità in Italia funziona peggio che in Kenya". E infine ad Affari svela il metodo per far eccellere a livello mondiale le prestazioni cliniche italiane.
ITALIA PEGGIO DEL KENYA
Anni fa, ho fatto fare in Kenya da un mio studente una tesi di dottorato un po’ particolare. Gli ho fatto prendere 100 strisci dall’asfalto delle strade di Nairobi per farne esami culturali con antibiogramma. Questi esami non hanno mai mostrato alcunché di sostanzialmente pericoloso! Poi gli ho fatto prendere strisci cutanei lungo le più frequenti vie d’accesso alle ossa ad altri 100 malati, cominciando all’atto del ricovero e ripetendoli ogni ora, per 12 ore consecutive. I risultati furono sorprendenti, perché, all’atto del ricovero, si coltivavano pochi e innocenti saprofiti, mentre 8 ore dopo la permanenza in corsia, si coltivavano, in ciascun paziente, tutti i germi più pericolosi, dallo stafilococco aureo all’escherichia coli ed alla klebsiella, tutti abbondantemente antibiotico-resistenti! Col che si fondava scientificamente il principio che la routine più giusta è la seguente: un malato pianificato, va studiato ambulatoriamente e ricoverato mezz’ora prima dell’intervento chirurgico, per farlo arrivare direttamente in sala operatoria senza farlo passare prima per la corsia. Nel caso del traumatizzato acuto, questi deve passare dal pronto soccorso direttamente nella sala operatoria per le emergenze, dove un chirurgo vestito per operare, lo esamina, ottiene le radiografie indicate ed attua immediatamente le cure necessarie. Se il pronto soccorso riceve una frattura esposta, l’arto va immediatamente avvolto in un telino sterile, possibilmente imbevuto di Betadina acquosa e il paziente va portato, subito ed evitando ogni contatto con la corsia, direttamente in sala operatoria, dove viene trattato come sopra.
Tante volte, in casi di politraumatizzati, ho eseguito gli interventi di chirurgia viscerale necessari a salvare la vita e poi, ho lasciato il paziente sul tavolo alle cure dell’anestesista che, una volta rimesso il paziente in sesto, mi chiamava, anche dopo diverse ore, per farmi continuare la terapia con la fase delle osteosintesi! Questo tipo di routine non solo è la migliore profilassi delle infezioni post-operatorie, facendo risparmiare gli enormi costi finanziari e sociali delle complicazioni settiche, ma consente risultati funzionali finali eccezionalmente buoni, evitando i costi sociali di lunghe invalidità temporanee e riducendo drasticamente sia le invalidità post-traumatiche permanenti, sia le complicanze post-operatorie. E così continuo a chiedermi: perché questo mi era possibile in Africa e non si può fare a Roma? Possibile che qui non si possa fare nulla per portare la medicina del nostro Paese almeno al livello di quella kenyana?
Fonte:Affariitaliani
Dieci mesi per una mammografia nell'ospedale di Frosinone, addirittura tre anni per un eco doppler a Latina. Senza contare l'allarme infezioni nella terapia intensiva delle Molinette di Torino. Dopo gli scandali negli ospedali italiani, Alberto Bencivenga, specialista in chirurgia generale all'ospedale di Roma e Firenze, lancia su Affaritaliani.it la sua denuncia sul cattivo funzionamento della Sanità italiana. "Tornato in Italia, dopo 42 anni spesi a praticare chirurgia e ad insegnarla all'università in due Paesi europei (Germania e Svizzera) e due africani (Somalia, quando questa terra era un paradiso terrestre, e Kenya), mi sono scandalizzato per quello che ho trovato". Poi spiega: "Costose attrezzature, sprechi e tempi lunghissimi di degenza dove si possono anche contrarre le malattie più svariate. Ecco perchè la sanità in Italia funziona peggio che in Kenya". E infine ad Affari svela il metodo per far eccellere a livello mondiale le prestazioni cliniche italiane.
ITALIA PEGGIO DEL KENYA
Anni fa, ho fatto fare in Kenya da un mio studente una tesi di dottorato un po’ particolare. Gli ho fatto prendere 100 strisci dall’asfalto delle strade di Nairobi per farne esami culturali con antibiogramma. Questi esami non hanno mai mostrato alcunché di sostanzialmente pericoloso! Poi gli ho fatto prendere strisci cutanei lungo le più frequenti vie d’accesso alle ossa ad altri 100 malati, cominciando all’atto del ricovero e ripetendoli ogni ora, per 12 ore consecutive. I risultati furono sorprendenti, perché, all’atto del ricovero, si coltivavano pochi e innocenti saprofiti, mentre 8 ore dopo la permanenza in corsia, si coltivavano, in ciascun paziente, tutti i germi più pericolosi, dallo stafilococco aureo all’escherichia coli ed alla klebsiella, tutti abbondantemente antibiotico-resistenti! Col che si fondava scientificamente il principio che la routine più giusta è la seguente: un malato pianificato, va studiato ambulatoriamente e ricoverato mezz’ora prima dell’intervento chirurgico, per farlo arrivare direttamente in sala operatoria senza farlo passare prima per la corsia. Nel caso del traumatizzato acuto, questi deve passare dal pronto soccorso direttamente nella sala operatoria per le emergenze, dove un chirurgo vestito per operare, lo esamina, ottiene le radiografie indicate ed attua immediatamente le cure necessarie. Se il pronto soccorso riceve una frattura esposta, l’arto va immediatamente avvolto in un telino sterile, possibilmente imbevuto di Betadina acquosa e il paziente va portato, subito ed evitando ogni contatto con la corsia, direttamente in sala operatoria, dove viene trattato come sopra.
Tante volte, in casi di politraumatizzati, ho eseguito gli interventi di chirurgia viscerale necessari a salvare la vita e poi, ho lasciato il paziente sul tavolo alle cure dell’anestesista che, una volta rimesso il paziente in sesto, mi chiamava, anche dopo diverse ore, per farmi continuare la terapia con la fase delle osteosintesi! Questo tipo di routine non solo è la migliore profilassi delle infezioni post-operatorie, facendo risparmiare gli enormi costi finanziari e sociali delle complicazioni settiche, ma consente risultati funzionali finali eccezionalmente buoni, evitando i costi sociali di lunghe invalidità temporanee e riducendo drasticamente sia le invalidità post-traumatiche permanenti, sia le complicanze post-operatorie. E così continuo a chiedermi: perché questo mi era possibile in Africa e non si può fare a Roma? Possibile che qui non si possa fare nulla per portare la medicina del nostro Paese almeno al livello di quella kenyana?
Fonte:Affariitaliani
fio- Sostenitore
- Numero di messaggi : 3168
Data d'iscrizione : 21.04.09
Età : 77
Località : Como-Malindi-Africa
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