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Anche l’Africa nella corsa alle “terre rare”: i minerali delle tecnologie del nostro domani
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Anche l’Africa nella corsa alle “terre rare”: i minerali delle tecnologie del nostro domani
Anche l’Africa nella corsa alle “terre rare”: i minerali delle tecnologie del nostro domani
Nella corsa per trovare nuove fonti di “terre rare” alternative alla Cina (che detiene il 97% della produzione mondiale di questi materiali strategici), non poteva mancare l’Africa. Con il nome di “terre rare” si classificano 17 elementi che sono usati nelle industrie ad alta tecnologia, da quella militare alla produzione di energia a basso impatto ambientale, come quella eolica. Il nome non deve comunque trarre in inganno, in quanto le “terre rare” non sono poi così introvabili. Il problema è il grado di concentrazione, che deve essere sufficientemente alto per giustificare i costi di estrazione, e il fatto che necessitano, per la loro separazione dagli altri elementi con i quali sono mescolati alcuni dei quali radioattivi, di processi chimici inquinanti. Per questo motivo nei Paesi occidentali è stata sospesa la loro estrazione, mentre la Cina ha invece aumentato la propria produzione, diventando un paese monopolista a livello globale.
Per ragioni politiche ed economiche, diversi Paesi stanno cercando fonti alternative a questi materiali. Tra questi vi sono Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Unione Europea. Oltre che negli stessi Stati Uniti (dove una miniera californiana chiusa qualche anno fa, dovrebbe essere riattivata nel 2012), le ricerche di fonti alternative di terre rare si stanno concentrando in Brasile, in alcuni Paesi asiatici, come il Vietnam, e in Australia. L’Africa, continente che dispone di ricchezze minerarie ancora in gran parte inesplorate o non sfruttate, non poteva non rientrare in questa nuova corsa, che ha implicazione economiche e strategiche molto importanti per i futuri assetti geopolitici mondiali. Al momento le ricerche si concentrano in Sudafrica, a Zandkopsdrift, nella regione di Namaqualand, nella provincia del Northern Cape, dove la produzione potrebbe iniziare nel 2012.
In Mozambico è stata annunciata la scoperta di un importante giacimento di alcune terre rare, in particolare di dysprosium, nel monte Muambe, a 60 km dalla città di Tete (capoluogo dell’omonima provincia nell’ovest del Paese). Il dysprosium è usato nella fabbricazione di laser e nelle barre di controllo del raffreddamento delle centrali nucleari; dal 2003 al 2009 il suo prezzo è aumentato di sette volte. Anche la Namibia ha un deposito minerario dove si trovano 14 dei 17 elementi classificati come “terre rare”
In Tanzania, infine, il deposito minerario di Wigu Hill, 200 km ad ovest della capitale Dar es Salaam, sembra essere molto promettente, anche perché grazie alla sua conformazione geologica permette l’estrazione delle terre rare senza il ricorso a procedimenti complessi, costosi e molto inquinanti. Occorre aggiungere, infine, che questi tre Paesi dell’Africa australe hanno il vantaggio dei bassi costi del lavoro e in Sudafrica godono della presenza di un’industria mineraria avanzata, alla quale possono appoggiarsi anche Mozambico e Tanzania.
L’Unione Europea ha pubblicato un elenco di 14 materie prime essenziali per l’industria continentale. Essi sono: antimonio, berillio, cobalto, fluorite, gallio, germanio, grafite, indio, magnesio, niobio, metalli del gruppo del platino (MGP), terre rare, tantalio (estratto dal Coltan della Repubblica Democratica del Congo) e tungsteno. La “nuova corsa all’Africa” per la ricerca di terre rare rischia però di innescare nuove ingiustizie (dall’inquinamento alla corruzione, finanche a tensioni politiche) delle quali le popolazioni locali non ne hanno bisogno..
Fonte: (L.M.) Agenzia Fides
Nella corsa per trovare nuove fonti di “terre rare” alternative alla Cina (che detiene il 97% della produzione mondiale di questi materiali strategici), non poteva mancare l’Africa. Con il nome di “terre rare” si classificano 17 elementi che sono usati nelle industrie ad alta tecnologia, da quella militare alla produzione di energia a basso impatto ambientale, come quella eolica. Il nome non deve comunque trarre in inganno, in quanto le “terre rare” non sono poi così introvabili. Il problema è il grado di concentrazione, che deve essere sufficientemente alto per giustificare i costi di estrazione, e il fatto che necessitano, per la loro separazione dagli altri elementi con i quali sono mescolati alcuni dei quali radioattivi, di processi chimici inquinanti. Per questo motivo nei Paesi occidentali è stata sospesa la loro estrazione, mentre la Cina ha invece aumentato la propria produzione, diventando un paese monopolista a livello globale.
Per ragioni politiche ed economiche, diversi Paesi stanno cercando fonti alternative a questi materiali. Tra questi vi sono Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Unione Europea. Oltre che negli stessi Stati Uniti (dove una miniera californiana chiusa qualche anno fa, dovrebbe essere riattivata nel 2012), le ricerche di fonti alternative di terre rare si stanno concentrando in Brasile, in alcuni Paesi asiatici, come il Vietnam, e in Australia. L’Africa, continente che dispone di ricchezze minerarie ancora in gran parte inesplorate o non sfruttate, non poteva non rientrare in questa nuova corsa, che ha implicazione economiche e strategiche molto importanti per i futuri assetti geopolitici mondiali. Al momento le ricerche si concentrano in Sudafrica, a Zandkopsdrift, nella regione di Namaqualand, nella provincia del Northern Cape, dove la produzione potrebbe iniziare nel 2012.
In Mozambico è stata annunciata la scoperta di un importante giacimento di alcune terre rare, in particolare di dysprosium, nel monte Muambe, a 60 km dalla città di Tete (capoluogo dell’omonima provincia nell’ovest del Paese). Il dysprosium è usato nella fabbricazione di laser e nelle barre di controllo del raffreddamento delle centrali nucleari; dal 2003 al 2009 il suo prezzo è aumentato di sette volte. Anche la Namibia ha un deposito minerario dove si trovano 14 dei 17 elementi classificati come “terre rare”
In Tanzania, infine, il deposito minerario di Wigu Hill, 200 km ad ovest della capitale Dar es Salaam, sembra essere molto promettente, anche perché grazie alla sua conformazione geologica permette l’estrazione delle terre rare senza il ricorso a procedimenti complessi, costosi e molto inquinanti. Occorre aggiungere, infine, che questi tre Paesi dell’Africa australe hanno il vantaggio dei bassi costi del lavoro e in Sudafrica godono della presenza di un’industria mineraria avanzata, alla quale possono appoggiarsi anche Mozambico e Tanzania.
L’Unione Europea ha pubblicato un elenco di 14 materie prime essenziali per l’industria continentale. Essi sono: antimonio, berillio, cobalto, fluorite, gallio, germanio, grafite, indio, magnesio, niobio, metalli del gruppo del platino (MGP), terre rare, tantalio (estratto dal Coltan della Repubblica Democratica del Congo) e tungsteno. La “nuova corsa all’Africa” per la ricerca di terre rare rischia però di innescare nuove ingiustizie (dall’inquinamento alla corruzione, finanche a tensioni politiche) delle quali le popolazioni locali non ne hanno bisogno..
Fonte: (L.M.) Agenzia Fides
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