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Integralismo somalo: a rischio anche Paesi confinanti.
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Integralismo somalo: a rischio anche Paesi confinanti.
“Il clima di paura, innescato soprattutto dai recenti attentati terroristici, ma anche dalla consapevolezza della forza che sta assumendo il movimento islamico somalo, fa registrare un crescente numero d'episodi di xenofobia, retate e deportazioni nei confronti degli sfollati e profughi somali”, si legge in una nota dell'Unhcr
Si cerca di esportare l’integralismo dalla Somalia anche ai Paesi confinanti. E’ questo la valutazione che si ricava analizzando gli eventi accaduti nelle ultime settimane nel Corno d’Africa. Gli integralisti islamici di al Shabaab, gioventù in arabo, che è un gruppo di ribelli islamici considerato vicino all'organizzazione terroristica di al Qaeda, combattono in Somalia per rovesciare il debole governo di transizione somalo, tfg, guidato dal presidente Sheikh Sharif Ahmed, in carica dal 2009. Un governo che resta ‘in piedi’ solo grazie al sostegno che riceve dall'Occidente e della forza di pace militare dell'Unione africana, Ua, denominata Amisom. I ribelli, il cui leader è Mohamed Abdi Godane, alias Abu Zubayr però, ormai controllano tutto il sud della Somalia, larga parte del centro e centro ovest, e la quasi totalità di Mogadiscio. La capitale somala di fatto è l’ultimo baluardo del tfg in Somalia. Un baluardo difeso strenuamente, ma scontro dopo scontro la realtà dei fatti sta venendo fuori. Gli al Shabaab presto controlleranno la Somalia. Lo si capisce dal fatto che negli ultimi giorni si sono intensificati i loro attacchi alle postazioni governative e dei Peacekeeper dell’Amisom, e violenti combattimenti sono in corso ininterrottamente a Mogadiscio tra i miliziani al Shabaab da una parte e le forze governative e truppe Ua dall’altra parte. Combattimenti condotti anche con l'artiglieria pesante. Tutto questo sta provocando, come sempre, la morte soprattutto di numerosi civili in quanto i combattimenti si svolgono nella totale noncuranza per la sicurezza e la tutela della popolazione civile. E questo con colpevole consapevolezza di tutte le parti coinvolte. Persino dell’Amisom, come la stessa Ua ha confermato in un recente rapporto. Il movimento degli al Shabaab nato alla fine del 2006 dai resti dell’Unione delle Corti islamiche,Uci, sconfitte nel dicembre dello stesso anno dalle truppe etiopi inviate in soccorso del governo di Mogadiscio, punta ad assumere il controllo della Somalia e ad imporre una rigida forma della Sharia, la legge islamica. Dopo che ci saranno riusciti nessuno si potrà più dire al sicuro da queste milizie integraliste. Tanto è vero che gli USA hanno inserito il gruppo nella lista nera ONU delle organizzazioni terroristiche. I primi segnali si stanno registrando in queste ultime settimane. Nelle ultime ore si sono verificati intensi combattimenti fra le forze della regione semiautonoma somala del Puntland, e gruppi di ribelli armati guidati da Mohamed Said Atam che è legato agli integralisti somali. Said Atam è un religioso salafita del nord della Somalia ed è inserito nella lista nera dell'ONU per avere contrabbandato armi per i miliziani. Sembra che le forze di sicurezza locali abbiano attaccato i campi di addestramento ubicati nella zona montuosa di Gargala e usati da al Qaeda e dai mujahidin somali. I combattimenti si sono verificati soprattutto presso i villaggi di Sanag e Karan nella provincia di Bari, nord est della Somalia. Nei giorni scorsi la stampa araba aveva denunciato la presenza nel nord del Puntland di un nuovo santuario di al Qaeda, paragonandolo addirittura a quello di Tora Bora in Afghanistan, e dove almeno 400 mujahidin si addestrano per la Jihad, la guerra santa. Il Puntland finora era restato fuori dallo scontro tra tfg e integralisti somali, ma evidentemente a quest’ultimi non interessa più tenerli fuori dallo scontro ed ora la regione è sotto crescente tensione. Tanto è vero che sempre ieri, nella capitale della regione semiautonoma somala, Bosaso si è verificato un attentato terroristico. Segnale tangibile questo, della volontà dei ribelli somali di cercare di allargare il loro controllo anche nel nord del Paese africano. Il Puntland che già si trovava a dover affrontare l’emergenze pirateria ora si vede aperto un nuovo fronte, quello della minaccia che viene dai ribelli di al Shabaab che già controllano gran parte del territorio somalo. Prima ancora che si verificassero questi episodi, sempre la scorsa settimana, si era registrato, al confine tra il Kenya e la Somalia, uno scontro armato tra forze di sicurezza kenyane e miliziani somali degli al Shabaab. Le milizia somale già in passato hanno minacciato di attaccare il Kenya. Il governo di questo Paese appoggia quello somalo. Tutto questo ha reso la regione di confine tra Kenya e Somalia pericolossissima e il governo di Nairobi ha inoltre espresso il timore di subire attentati suicidi anche sul suo territorio, come è accaduto poche settimane fa a Kampala, in Uganda. L’Uganda insieme al Burundi è il Paese africano che dal 2007 contribuisce con uomini e mezzi alla missione di pace dell’Ua in Somalia. Gli al Shabab gli definiscono ‘invasori africani’ e l’attentato è stato un atto intimidatorio nei confronti dell’Uganda compiuto dagli integralisti somali che ne hanno rivendicato la paternità giustificandolo come punizione per i civili morti nel corso della guerra in Somalia. Di fatto è stato il loro primo atto terroristico compiuto al di fuori del territorio somalo. Di certo non sarà nemmeno l’ultimo, in quanto hanno promesso stesso trattamento al Burundi e a tutti i Paesi che appoggiano il tfg somalo. L'Ua ha immediatamente annunciato che anche la Guinea invierà un contingente di soldati a Mogadiscio nell'ambito della missione Amisom. A causa di tutto questo la Somalia sta vivendo anche una delle peggiori crisi al mondo. Quasi la metà della popolazione civile somala dipende dagli aiuti umanitari. Per il fatto che, nel Paese del Corno d’Africa, sono 1,4 milioni le persone che hanno lo status di sfollati interni e oltre 600mila quelle di rifugiati nei Paesi confinanti, la Somalia è il terzo Paese nel mondo per provenienza di rifugiati, superato solo da Afghanistan e Iraq. A causa poi, degli intensi combattimenti di questi giorni sono state costrette alla fuga altri 18mila somali. Da questo emerge un’altra conseguenza meno nota delle azioni degli al Shabaab. La preoccupazione per l'aggravarsi del modo in cui questi civili somali, costretti alla fuga per sfuggire al dramma della guerra, sono trattati sia all'interno della Somalia stessa sia nei Paesi confinanti. Una denuncia che giunge dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Unhcr. “Il clima di paura, innescato soprattutto dai recenti attentati terroristici, ma anche dalla consapevolezza della forza che sta assumendo il movimento islamico somalo, fa registrare un crescente numero d'episodi di xenofobia, retate e deportazioni nei confronti degli sfollati e profughi somali”, si legge in una nota dell’agenzia ONU. Non si contano più infatti, i casi di molestie fisiche e verbali così come gli arresti e la detenzione irregolare, oltre all'estorsione e anche ai respingimenti di rifugiati somali da parte dei Paesi confinanti. Un’azione questa che l’Unhcr condanna e pone all’attenzione della comunità internazionale. “I somali sono in fuga da anni di violenze, vittime del terrore e dei conflitti che hanno causato la perdita di migliaia di vite e la fuga di milioni di persone”, ricorda l’agenzia per i profughi nella nota. Anche la regione semiautonoma del Puntland, che di fatto è in Somalia, respinge gli sfollati che provengono dalle aree di conflitto della Somalia centrale. Nella nota diffusa dall'Unhcr si legge ancora che essa riconosce la preoccupazione dei governi dei Paesi interessati. Però pur sostenendo la legittimità di controlli di sicurezza e delle pratiche di registrazione al fine di assicurare una maggior protezione ai rifugiati e rispondere alle loro esigenze, condanna ogni pratica che lede il loro status di rifugiati o profughi. “Solo i civili possono essere rifugiati e chi porta avanti un'azione armata, e crea violenza e terrore nel Paese di asilo, non può essere considerato un rifugiato”, sottolinea la nota dell’agenzia ONU.
Ferdinando Pelliccia
Fonte:Liberoreporter.it
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