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Nasce a Nairobi il sistema per segnalare emergenze e pericoli in tempo reale via cellulare.
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Nasce a Nairobi il sistema per segnalare emergenze e pericoli in tempo reale via cellulare.
Nasce a Nairobi il sistema per segnalare emergenze e pericoli in tempo reale via cellulare.
INVIATO A NAIROBI
Se gli abitanti di Washington DC travolti dallo Snowmaggedon vogliono sapere quali strade bisogna evitare per non restare impantanati devono ringraziare dei programmatori e dei «citizen journalists» kenyoti. Sempre loro sono gli inventori del sistema che dopo il terremoto ad Haiti veniva utilizzato dagli operatori umanitari per visualizzare in tempo reale i luoghi di maggiore emergenza. Di quello attraverso il quale si potevano denunciare i brogli elettorali alle elezioni federali messicane, o verificare i risultati del voto indiano. Di quello che forniva informazioni e notizie durante la cruenta invasione israeliana della Striscia di Gaza. Di quello che si sta sperimentando all’Università Orientale di Napoli per denunciare i roghi clandestini di immondizia.
A Nairobi è nata Ushahidi, una piattaforma digitale universale che serve a monitorare ed aggregare le informazioni in situazioni di crisi. Ushahidi - che in swahili significa «testimone» - tecnicamente è una piattaforma software di geolocalizzazione via Web scritta in codice open source. Dunque disponibile per chiunque la voglia utilizzare e modificare per le esigenze più diverse. E’ stata realizzata per la prima volta in Kenya all’inizio del 2008, nel momento più terribile degli scontri etnico-politici che hanno insanguinato il Paese est-africano dopo le contestatissime elezioni del dicembre 2007. Si era sull’orlo della guerra civile, con bande scatenate di assassini che attaccavano persone colpevoli di essere dell’etnia «sbagliata» nel posto sbagliato. In quei giorni era stata sospesa la programmazione radio e tv e chiusi i giornali, e Ushahidi - messo in piedi in pochissimi giorni da un collettivo di giornalisti-cittadini, informatici, bloggers a cavallo tra Africa, Usa ed Europa - diventò uno dei pochissimi modi per sapere cosa stava veramente succedendo in giro. Il sistema è semplice e geniale, perché sfrutta gli onnipresenti telefoni cellulari 3G, diffusissimi in Kenya anche tra le persone più povere.
Chiunque volesse segnalare un pericolo o un’informazione - ad esempio chi avesse visto un gruppo di tagliagole fermo a un check-point, pronto a uccidere, rubare e stuprare - poteva mandare un sms, o una foto, o un video fatto col telefonino al numero di Ushahidi. Che immediatamente compariva sulla mappa (fornita da GoogleMaps) visibile sul sito ushahidi.com. Un servizio (letteralmente) vitale, che soltanto nei primi tre giorni fu utilizzato da 250.000 persone. Un sistema tanto semplice ed efficiente di «informazione partecipata» da poter essere utilizzato in moltissime altre situazioni, ci racconta Erik Hersman, un americano di 34 anni che vive tra Nairobi e gli States. Erik è una delle anime di Ushahidi, insieme con Ory Okolloh, avvocatessa e attivista sudafricana laureata a Stanford.
Del collettivo di Ushahidi fanno parte - tutti volontari, attivi più o meno saltuariamente - programmatori, informatici, bloggers, operatori umanitari. Moltissimi sono africani, come Kennedy Kasina, kenyota, o Henry Addo, che vive nel natio Ghana, ad Accra. La piattaforma può funzionare benissimo per situazioni di crisi politica o umanitaria, che come spiega Erik è la sua funzione originaria, e la sua forza si basa proprio sulla partecipazione allo stesso tempo individuale e di massa da parte dei singoli utenti, che possono comunicare le informazioni attraverso cellulari, messaggi di posta elettronica, siti, twitter, e così via.
I report degli utenti, ove possibile, vengono verificati, e come tali indicati. Ma il software di Ushahidi è perfettamente adattabile a infiniti altri utilizzi creativi, sempre gratuitamente. Ad esempio, per mappare la scena culturale (vivacissima, dalla videoarte alle performance di strada alle cantine dove prospera la variante nairobita della musica hip-hop) della capitale del Kenya. Questo adattamento (il progetto urbanmirror.org) l’ha inventato Vincenzo Cavallo, un napoletano dall’ingegno acutissimo, innamorato dell’Africa che vive e lavora da anni in questa città vibrante di vita e gioventù. «Non siamo una struttura profit, non siamo no-profit, non siamo una Ong», dice Erik Hersman. Grazie ad alcuni finanziamenti da parte di enti e fondazioni Ushahidi è però riuscito a crescere e svilupparsi. E ha deciso di «restituire» alla città e alla comunità. Inventando l’iHub.
Il posto è un gigantesco e luminosissimo loft, potremmo essere a Berlino o a Seattle. Invece siamo al quarto piano del Bishop Magua Centre sulla Ngong Road a poca distanza dal centro, nonostante il traffico allucinante che paralizza le strade di Nairobi. Qui sta sorgendo una cosa che forse sorprenderà chi pensa che l’Africa sia soltanto un continente simbolo di miseria e disperazione, e non anche una terra in cui l’80% della popolazione ha meno di 20 anni, gente ricca di idee di fantasia di creatività di voglia di esserci. Grazie al lavoro infaticabile di un gruppo multietnico di giovani programmatori e operatori culturali costruito intorno a Ushahidi sta per nascere l’iHub, il centro per l’innovazione che accoglierà la comunità interessata alle nuove tecnologie informatiche della capitale del Kenya. Si parte il 3 marzo, con una grandissima festa: poi vi si potrà lavorare, tutto gratis, sfruttando la potente connessione internet disponibile a tutti.
L’iHub diventerà un potente magnete di innovazione e di idee. Un motore per una città animata da una scena musicale e culturale da fare invidia alle nostre stanche, opulente, vuote metropoli. Il Kenya è indipendente dall’Impero britannico dal 1963. In un territorio di 580 mila km quadrati abitano 39 milioni di persone di diverse etnie, di cui il 70% ha meno di 30 anni. L’80% della popolazione è cristiana (cattolici o protestanti). L’economia è basata prevalentemente sull’agricoltura.
Fonte: La Stampa.it
INVIATO A NAIROBI
Se gli abitanti di Washington DC travolti dallo Snowmaggedon vogliono sapere quali strade bisogna evitare per non restare impantanati devono ringraziare dei programmatori e dei «citizen journalists» kenyoti. Sempre loro sono gli inventori del sistema che dopo il terremoto ad Haiti veniva utilizzato dagli operatori umanitari per visualizzare in tempo reale i luoghi di maggiore emergenza. Di quello attraverso il quale si potevano denunciare i brogli elettorali alle elezioni federali messicane, o verificare i risultati del voto indiano. Di quello che forniva informazioni e notizie durante la cruenta invasione israeliana della Striscia di Gaza. Di quello che si sta sperimentando all’Università Orientale di Napoli per denunciare i roghi clandestini di immondizia.
A Nairobi è nata Ushahidi, una piattaforma digitale universale che serve a monitorare ed aggregare le informazioni in situazioni di crisi. Ushahidi - che in swahili significa «testimone» - tecnicamente è una piattaforma software di geolocalizzazione via Web scritta in codice open source. Dunque disponibile per chiunque la voglia utilizzare e modificare per le esigenze più diverse. E’ stata realizzata per la prima volta in Kenya all’inizio del 2008, nel momento più terribile degli scontri etnico-politici che hanno insanguinato il Paese est-africano dopo le contestatissime elezioni del dicembre 2007. Si era sull’orlo della guerra civile, con bande scatenate di assassini che attaccavano persone colpevoli di essere dell’etnia «sbagliata» nel posto sbagliato. In quei giorni era stata sospesa la programmazione radio e tv e chiusi i giornali, e Ushahidi - messo in piedi in pochissimi giorni da un collettivo di giornalisti-cittadini, informatici, bloggers a cavallo tra Africa, Usa ed Europa - diventò uno dei pochissimi modi per sapere cosa stava veramente succedendo in giro. Il sistema è semplice e geniale, perché sfrutta gli onnipresenti telefoni cellulari 3G, diffusissimi in Kenya anche tra le persone più povere.
Chiunque volesse segnalare un pericolo o un’informazione - ad esempio chi avesse visto un gruppo di tagliagole fermo a un check-point, pronto a uccidere, rubare e stuprare - poteva mandare un sms, o una foto, o un video fatto col telefonino al numero di Ushahidi. Che immediatamente compariva sulla mappa (fornita da GoogleMaps) visibile sul sito ushahidi.com. Un servizio (letteralmente) vitale, che soltanto nei primi tre giorni fu utilizzato da 250.000 persone. Un sistema tanto semplice ed efficiente di «informazione partecipata» da poter essere utilizzato in moltissime altre situazioni, ci racconta Erik Hersman, un americano di 34 anni che vive tra Nairobi e gli States. Erik è una delle anime di Ushahidi, insieme con Ory Okolloh, avvocatessa e attivista sudafricana laureata a Stanford.
Del collettivo di Ushahidi fanno parte - tutti volontari, attivi più o meno saltuariamente - programmatori, informatici, bloggers, operatori umanitari. Moltissimi sono africani, come Kennedy Kasina, kenyota, o Henry Addo, che vive nel natio Ghana, ad Accra. La piattaforma può funzionare benissimo per situazioni di crisi politica o umanitaria, che come spiega Erik è la sua funzione originaria, e la sua forza si basa proprio sulla partecipazione allo stesso tempo individuale e di massa da parte dei singoli utenti, che possono comunicare le informazioni attraverso cellulari, messaggi di posta elettronica, siti, twitter, e così via.
I report degli utenti, ove possibile, vengono verificati, e come tali indicati. Ma il software di Ushahidi è perfettamente adattabile a infiniti altri utilizzi creativi, sempre gratuitamente. Ad esempio, per mappare la scena culturale (vivacissima, dalla videoarte alle performance di strada alle cantine dove prospera la variante nairobita della musica hip-hop) della capitale del Kenya. Questo adattamento (il progetto urbanmirror.org) l’ha inventato Vincenzo Cavallo, un napoletano dall’ingegno acutissimo, innamorato dell’Africa che vive e lavora da anni in questa città vibrante di vita e gioventù. «Non siamo una struttura profit, non siamo no-profit, non siamo una Ong», dice Erik Hersman. Grazie ad alcuni finanziamenti da parte di enti e fondazioni Ushahidi è però riuscito a crescere e svilupparsi. E ha deciso di «restituire» alla città e alla comunità. Inventando l’iHub.
Il posto è un gigantesco e luminosissimo loft, potremmo essere a Berlino o a Seattle. Invece siamo al quarto piano del Bishop Magua Centre sulla Ngong Road a poca distanza dal centro, nonostante il traffico allucinante che paralizza le strade di Nairobi. Qui sta sorgendo una cosa che forse sorprenderà chi pensa che l’Africa sia soltanto un continente simbolo di miseria e disperazione, e non anche una terra in cui l’80% della popolazione ha meno di 20 anni, gente ricca di idee di fantasia di creatività di voglia di esserci. Grazie al lavoro infaticabile di un gruppo multietnico di giovani programmatori e operatori culturali costruito intorno a Ushahidi sta per nascere l’iHub, il centro per l’innovazione che accoglierà la comunità interessata alle nuove tecnologie informatiche della capitale del Kenya. Si parte il 3 marzo, con una grandissima festa: poi vi si potrà lavorare, tutto gratis, sfruttando la potente connessione internet disponibile a tutti.
L’iHub diventerà un potente magnete di innovazione e di idee. Un motore per una città animata da una scena musicale e culturale da fare invidia alle nostre stanche, opulente, vuote metropoli. Il Kenya è indipendente dall’Impero britannico dal 1963. In un territorio di 580 mila km quadrati abitano 39 milioni di persone di diverse etnie, di cui il 70% ha meno di 30 anni. L’80% della popolazione è cristiana (cattolici o protestanti). L’economia è basata prevalentemente sull’agricoltura.
Fonte: La Stampa.it
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