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La voce degli slum: la prima radio dal ghetto
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La voce degli slum: la prima radio dal ghetto
La voce degli slum: la prima radio dal ghetto
Ezra Randy ha 22 anni, 4 anni fa ha creato nello slum di Korogocho la prima radio-ghetto. Oggi è una realtà consolidata e imitata in tutta l'Africa, siamo andati a conoscere il fondatore di un'emittente che ha cambiato il mondo degli slum.
Basta una buona idea per trasformare quattro pareti di fango in un progetto vincente. E il concetto di fondo è parlare alle persone a cui nessuno dice niente, prima che diventino sorde. Koch è il secondo slum di Nairobi per popolazione, ma il primo per criminalità e densità abitativa. Un inferno di latrine, escrementi e corpi intrecciati in una matassa inestricabile. Ezra Randy è nato qui nel 1988, è un keniota alto e capelluto (particolare piuttosto strano in un paese in cui tutti, uomini e donne, si rasano per paura dei pidocchi), veste all’occidentale, parla inglese perfettamente e ha una grande passione per la musica. Vive lo slum con orgoglio ma nuota nel fango per poterne uscire. Nel 2007 si mette in testa di aprire la prima radio di una baraccopoli. Molto scetticismo e pochi soldi. In un posto dove non si riesce a mettere insieme un piatto di verdure per la sera, pensare di aprire una radio sembra una follia. Infatti è una follia. Ma Ezra incontra due ragazzi di un’organizzazione non governativa norvegese e, passo dopo passo, donazione dopo donazione, nasce Koch fm 99.9.
Un'oasi in mezzo alla baraccopoli La sede è nel centro della baraccopoli, sul muro campeggia un murales con il simbolo dell’emittente. Dentro c’è una piccola oasi di creatività: le pareti sono tutte dipinte di rosso e il soffitto è insonorizzato con i cartoni delle uova, tutti di colori diversi. Dietro a un vetro spicca lo sguardo opalescente di Ezra incorniciato da delle cuffione da dj, lascia il mixer e viene ad accoglierci. “Siamo partiti tre anni fa grazie all’aiuto di una chiesa norvegese. Tutto quello che è qui lo abbiamo messo insieme un po’ per volta – ci racconta -, i mixer ce li hanno regalati, l’affitto non lo paghiamo e siamo tutti volontari. La nostra unica spesa viva è la corrente elettrica”.
Reggae, rap e informazione Quindici ragazzi, tutti dello slum, che si alternano alla conduzione di sei programmi radiofonici: tanta musica, ma anche intrattenimento, informazione e uno spazio per i più piccoli. “La nostra è una radio di quartiere, di comunità. Parliamo dei problemi del nostro slum e cerchiamo di trovare una soluzione. Tutti i media raccontano Koch come un inferno, un posto pericoloso in cui è impossibile vivere. Noi cerchiamo di raccontare un’altra faccia della città”. Un progetto senza scopo di lucro, non ci sono spazi pubblicitari e non ci sono guadagni. Solo volontari. “La radio per i giovani è una speranza. La possibilità di fare qualcosa di diverso. Senza denaro, senza lavoro e spesso senza una famiglia è facile cadere nel mondo della droga, lavorare qui può essere una via d’uscita”. Il rimando ai ghetti di New York, alla musica rap, agli artisti americani e all’icona di Obama è chiaro. Tutto fa brodo e tutto entra nel minestrone delle speranza. Anche la colonna sonora, infatti, è la stessa delle favelas di tutto il mondo: reggae, rap, musica tradizionale e i gruppi emergenti del ghetto. “Una volta alla settimana abbiamo uno spazio dedicato ai giovani del nostro quartiere e ai loro gruppi musicali, un modo per farli conoscere e dargli un po’ dell’attenzione che si meritano”.
Nel frattempo Ezra compulsa qualcosa al computer, forse una playlist. Poi, a passi lunghi, ci accompagna nel piccolo ufficio accanto allo studio di registrazione e ci fa firmare un libro delle presenze. Un pellegrinaggio di ospiti, la radio del ghetto è un’attrazione, la start up di un progetto che potrebbe diffondersi. “Avevamo iniziato pensando di produrre dei documentari, ma il progetto era troppo costoso e poi qui sono in pochi ad avere la televisione, la radio al momento è il modo più universale di comunicare”. Intanto il Kenya ha saltato una generazione tecnologica, quella delle parabole, dei telefoni fissi e delle connessioni via cavo, ora è esplosa la telefonia e la navigazione on line sul cellulare è all’ordine del giorno. Ed Ezra è lì, dietro il suo mixer, ma con l’orecchio sul binario della comunicazione. Nel frattempo a Nairobi, sulla frequenza 99,9 si può ancora ascoltare la speranza..
Fonte: Il Giornale.it
Ezra Randy ha 22 anni, 4 anni fa ha creato nello slum di Korogocho la prima radio-ghetto. Oggi è una realtà consolidata e imitata in tutta l'Africa, siamo andati a conoscere il fondatore di un'emittente che ha cambiato il mondo degli slum.
Basta una buona idea per trasformare quattro pareti di fango in un progetto vincente. E il concetto di fondo è parlare alle persone a cui nessuno dice niente, prima che diventino sorde. Koch è il secondo slum di Nairobi per popolazione, ma il primo per criminalità e densità abitativa. Un inferno di latrine, escrementi e corpi intrecciati in una matassa inestricabile. Ezra Randy è nato qui nel 1988, è un keniota alto e capelluto (particolare piuttosto strano in un paese in cui tutti, uomini e donne, si rasano per paura dei pidocchi), veste all’occidentale, parla inglese perfettamente e ha una grande passione per la musica. Vive lo slum con orgoglio ma nuota nel fango per poterne uscire. Nel 2007 si mette in testa di aprire la prima radio di una baraccopoli. Molto scetticismo e pochi soldi. In un posto dove non si riesce a mettere insieme un piatto di verdure per la sera, pensare di aprire una radio sembra una follia. Infatti è una follia. Ma Ezra incontra due ragazzi di un’organizzazione non governativa norvegese e, passo dopo passo, donazione dopo donazione, nasce Koch fm 99.9.
Un'oasi in mezzo alla baraccopoli La sede è nel centro della baraccopoli, sul muro campeggia un murales con il simbolo dell’emittente. Dentro c’è una piccola oasi di creatività: le pareti sono tutte dipinte di rosso e il soffitto è insonorizzato con i cartoni delle uova, tutti di colori diversi. Dietro a un vetro spicca lo sguardo opalescente di Ezra incorniciato da delle cuffione da dj, lascia il mixer e viene ad accoglierci. “Siamo partiti tre anni fa grazie all’aiuto di una chiesa norvegese. Tutto quello che è qui lo abbiamo messo insieme un po’ per volta – ci racconta -, i mixer ce li hanno regalati, l’affitto non lo paghiamo e siamo tutti volontari. La nostra unica spesa viva è la corrente elettrica”.
Reggae, rap e informazione Quindici ragazzi, tutti dello slum, che si alternano alla conduzione di sei programmi radiofonici: tanta musica, ma anche intrattenimento, informazione e uno spazio per i più piccoli. “La nostra è una radio di quartiere, di comunità. Parliamo dei problemi del nostro slum e cerchiamo di trovare una soluzione. Tutti i media raccontano Koch come un inferno, un posto pericoloso in cui è impossibile vivere. Noi cerchiamo di raccontare un’altra faccia della città”. Un progetto senza scopo di lucro, non ci sono spazi pubblicitari e non ci sono guadagni. Solo volontari. “La radio per i giovani è una speranza. La possibilità di fare qualcosa di diverso. Senza denaro, senza lavoro e spesso senza una famiglia è facile cadere nel mondo della droga, lavorare qui può essere una via d’uscita”. Il rimando ai ghetti di New York, alla musica rap, agli artisti americani e all’icona di Obama è chiaro. Tutto fa brodo e tutto entra nel minestrone delle speranza. Anche la colonna sonora, infatti, è la stessa delle favelas di tutto il mondo: reggae, rap, musica tradizionale e i gruppi emergenti del ghetto. “Una volta alla settimana abbiamo uno spazio dedicato ai giovani del nostro quartiere e ai loro gruppi musicali, un modo per farli conoscere e dargli un po’ dell’attenzione che si meritano”.
Nel frattempo Ezra compulsa qualcosa al computer, forse una playlist. Poi, a passi lunghi, ci accompagna nel piccolo ufficio accanto allo studio di registrazione e ci fa firmare un libro delle presenze. Un pellegrinaggio di ospiti, la radio del ghetto è un’attrazione, la start up di un progetto che potrebbe diffondersi. “Avevamo iniziato pensando di produrre dei documentari, ma il progetto era troppo costoso e poi qui sono in pochi ad avere la televisione, la radio al momento è il modo più universale di comunicare”. Intanto il Kenya ha saltato una generazione tecnologica, quella delle parabole, dei telefoni fissi e delle connessioni via cavo, ora è esplosa la telefonia e la navigazione on line sul cellulare è all’ordine del giorno. Ed Ezra è lì, dietro il suo mixer, ma con l’orecchio sul binario della comunicazione. Nel frattempo a Nairobi, sulla frequenza 99,9 si può ancora ascoltare la speranza..
Fonte: Il Giornale.it
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Località : Como-Malindi-Africa
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