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"Il Nilo non basta più". E' guerra dell'acqua tra Egitto e Africa nera
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"Il Nilo non basta più". E' guerra dell'acqua tra Egitto e Africa nera
"Il Nilo non basta più". E' guerra dell'acqua tra Egitto e Africa nera
I Paesi del Sud denunciano gli accordi: ne abbiamo troppo poca. Il Cairo minaccia rappresaglie: «E' questione di vita o di morte»
17/5/2010 - REPORTAGE
DOMENICO QUIRICO
IL CAIRO
Strano destino quello del Nilo! Scorrono i secoli, imperi e civiltà sono inghiottiti dal tempo, e la geopolitica è ancora ferma a quanto scriveva il greco Erodoto: «L’Egitto è un dono del Nilo». Senza il fiume che attraversa l’Africa come una vena lunga 6700 chilometri e si nutre e si gonfia dei suoi corsi d’acqua e delle sue tempeste non esisterebbero il delta, il quattro per cento di terre agricole infisse in un immenso deserto e non potrebbero vivere i suoi ottanta milioni di abitanti. Moufid Chébab, ministro degli Affari giuridici e parlamentari, non faceva che ripetere ieri l’onnipotenza della formula di Erodoto, una specie di credo nazionale: «Nulla potrà mai mettere in discussione i nostri diritti storici su queste acque. Per noi è una questione di vita o di morte».
Tantalizzato dal «suo» fiume, l’Egitto ora ha paura; antiche certezze cadono come foglie d’autunno. Dopo 10 anni di inutili trattative quattro Paesi dell’Africa dell’Est, Etiopia, Uganda, Tanzania e Ruanda, riuniti a Entebbe, hanno per la prima volta deciso di infrangere l’accordo che risale all’epoca in cui dal Capo di Buona Speranza a Suez l’Africa era inglese; che attribuisce all’Egitto (e al Sudan) l’87 per cento delle acque del fiume. Il Kenya ha già annunciato che lo firmerà il più presto possibile. Questo significa che i Paesi rivieraschi vogliono scorticare il giogo egiziano e avviare imponenti progetti di dighe idroelettriche e canali di irrigazione capaci di modificare in dosi non autorizzate la situazione idrica dell’Egitto. Non è un problema solo di antichi sussieghi diplomatici. Perché l’Egitto adora il Nilo ma in maniera tirannica.
Al Cairo, ove ormai la popolazione supera i diciassette milioni di abitanti, interi quartieri sono di frequente privi di acqua per molti giorni. In una situazione sociale esplosiva, mentre si attende la scomparsa del declinante faraone Mubarak, la mancanza di acqua ha già provocato nei quartieri succhiati dalla miseria violente rivolte. Il governo egiziano ha reagito con rabbia. Il ministro dell’Acqua Mohammed Allam ha annunciato «misure legali e diplomatiche per difendere i suoi diritti». Si parla di ricorso al tribunale internazionale dell’Aja. Ma, anche se nessuno osa dirlo, si delinea il rischio di una guerra dell’acqua. Nessuno ha dimenticato la frase dell’ex ministro degli Esteri egiziano Boutros Ghali: la prossima guerra nella regione sarà per l’acqua. Già nel 1995 il Sudan fece balenare la costruzione di una nuova diga e l’intenzione di denunciare l’accordo con l’Egitto: ebbene, Il Cairo pianificò un raid aereo su Karthum che venne annullato solo all’ultimo istante.
Le ragioni dell’Egitto sono giuridicamente fragili, infettate dal sacrilegio dell’anacronismo: la monopolistica spartizione delle acque del 1929, poi ribadita nel 1959, è un’eredità coloniale. Londra all’epoca voleva favorire l’Egitto, punto chiave del suo impero e delle rotte per l’India. Il Cairo ha sempre reclamato e declamato che l’accordo vincolava anche i nuovi Stati africani diventati indipendenti, e ha avvolto i suoi «diritti» nella bambagia di una dimenticanza protettiva. Ora però i progetti di sfruttamento delle acque si sono fatti imponenti. Il regime etiopico ha bisogno di assicurare un minimo di sicurezza alimentare a popolazioni sempre più inquiete. Il potenziale di terre irrigue è di almeno 2,7 milioni di ettari. I progetti prevedono di prelevare 7,5 miliardi di metri cubi dal Lago Tana che permetterebbero subito di rendere fertili 90 mila ettari. Trentasei dighe sono previste nel Wollo e nel Tigré.
Addis Abeba fonda le sue ragioni sul fatto che il Nilo Blu e gli altri fiumi Sobat e Atbara costituiscono fino all’86 per cento del volume del Nilo in Egitto, fatto indolente nel ramo principale dall’evaporazione nell’immensa palude del Sudd. La Tanzania ha pronto un progetto di pompaggio delle acque del Lago Vittoria per irrigare 250 mila ettari. Gli altri Paesi rivieraschi vogliono mettere a coltura 4,5 milioni di ettari entro quindici anni. Per l’Egitto sono campane a morto: cosa resterà loro al termine di questa immensa opera di sbarramento e di deviazione? In realtà ha usato male il suo lungo monopolio. Il bacino del Lago Nasser, creato con la diga di Assuan, fa evaporare dieci miliardi di metri cubi. La salinizzazione della terre, unita all’aumento della popolazione, ha fatto sì che la disponibilità di acqua per abitante che nel 1990 era di 922 metri cubi nel 2025 non supererà i 337.
La superficie coltivata continua a ridursi e il Paese è ormai il quarto importatore mondiale di grano (spendendo 2,54 miliardi di dollari ogni anno). L’acqua è gratuita e quindi le tecniche più razionali di irrigazione, l’aspersione e il goccia a goccia, sono inutilizzate. Il governo ha lanciato progetti di costruzione di città-miracolo nel deserto che si basano sulla sfruttamento delle falde fossili; esaurite queste si prenderà l’acqua del Nilo. Seicentomila ettari dovrebbero essere messi a coltura dai coloni di queste nuove città di frontiera nella valle della Toskha, nel deserto occidentale e in quattro oasi. Ma il Nilo continuerà ad essere un dono dell’Africa?
Fonte: www.lastampa.it
I Paesi del Sud denunciano gli accordi: ne abbiamo troppo poca. Il Cairo minaccia rappresaglie: «E' questione di vita o di morte»
17/5/2010 - REPORTAGE
DOMENICO QUIRICO
IL CAIRO
Strano destino quello del Nilo! Scorrono i secoli, imperi e civiltà sono inghiottiti dal tempo, e la geopolitica è ancora ferma a quanto scriveva il greco Erodoto: «L’Egitto è un dono del Nilo». Senza il fiume che attraversa l’Africa come una vena lunga 6700 chilometri e si nutre e si gonfia dei suoi corsi d’acqua e delle sue tempeste non esisterebbero il delta, il quattro per cento di terre agricole infisse in un immenso deserto e non potrebbero vivere i suoi ottanta milioni di abitanti. Moufid Chébab, ministro degli Affari giuridici e parlamentari, non faceva che ripetere ieri l’onnipotenza della formula di Erodoto, una specie di credo nazionale: «Nulla potrà mai mettere in discussione i nostri diritti storici su queste acque. Per noi è una questione di vita o di morte».
Tantalizzato dal «suo» fiume, l’Egitto ora ha paura; antiche certezze cadono come foglie d’autunno. Dopo 10 anni di inutili trattative quattro Paesi dell’Africa dell’Est, Etiopia, Uganda, Tanzania e Ruanda, riuniti a Entebbe, hanno per la prima volta deciso di infrangere l’accordo che risale all’epoca in cui dal Capo di Buona Speranza a Suez l’Africa era inglese; che attribuisce all’Egitto (e al Sudan) l’87 per cento delle acque del fiume. Il Kenya ha già annunciato che lo firmerà il più presto possibile. Questo significa che i Paesi rivieraschi vogliono scorticare il giogo egiziano e avviare imponenti progetti di dighe idroelettriche e canali di irrigazione capaci di modificare in dosi non autorizzate la situazione idrica dell’Egitto. Non è un problema solo di antichi sussieghi diplomatici. Perché l’Egitto adora il Nilo ma in maniera tirannica.
Al Cairo, ove ormai la popolazione supera i diciassette milioni di abitanti, interi quartieri sono di frequente privi di acqua per molti giorni. In una situazione sociale esplosiva, mentre si attende la scomparsa del declinante faraone Mubarak, la mancanza di acqua ha già provocato nei quartieri succhiati dalla miseria violente rivolte. Il governo egiziano ha reagito con rabbia. Il ministro dell’Acqua Mohammed Allam ha annunciato «misure legali e diplomatiche per difendere i suoi diritti». Si parla di ricorso al tribunale internazionale dell’Aja. Ma, anche se nessuno osa dirlo, si delinea il rischio di una guerra dell’acqua. Nessuno ha dimenticato la frase dell’ex ministro degli Esteri egiziano Boutros Ghali: la prossima guerra nella regione sarà per l’acqua. Già nel 1995 il Sudan fece balenare la costruzione di una nuova diga e l’intenzione di denunciare l’accordo con l’Egitto: ebbene, Il Cairo pianificò un raid aereo su Karthum che venne annullato solo all’ultimo istante.
Le ragioni dell’Egitto sono giuridicamente fragili, infettate dal sacrilegio dell’anacronismo: la monopolistica spartizione delle acque del 1929, poi ribadita nel 1959, è un’eredità coloniale. Londra all’epoca voleva favorire l’Egitto, punto chiave del suo impero e delle rotte per l’India. Il Cairo ha sempre reclamato e declamato che l’accordo vincolava anche i nuovi Stati africani diventati indipendenti, e ha avvolto i suoi «diritti» nella bambagia di una dimenticanza protettiva. Ora però i progetti di sfruttamento delle acque si sono fatti imponenti. Il regime etiopico ha bisogno di assicurare un minimo di sicurezza alimentare a popolazioni sempre più inquiete. Il potenziale di terre irrigue è di almeno 2,7 milioni di ettari. I progetti prevedono di prelevare 7,5 miliardi di metri cubi dal Lago Tana che permetterebbero subito di rendere fertili 90 mila ettari. Trentasei dighe sono previste nel Wollo e nel Tigré.
Addis Abeba fonda le sue ragioni sul fatto che il Nilo Blu e gli altri fiumi Sobat e Atbara costituiscono fino all’86 per cento del volume del Nilo in Egitto, fatto indolente nel ramo principale dall’evaporazione nell’immensa palude del Sudd. La Tanzania ha pronto un progetto di pompaggio delle acque del Lago Vittoria per irrigare 250 mila ettari. Gli altri Paesi rivieraschi vogliono mettere a coltura 4,5 milioni di ettari entro quindici anni. Per l’Egitto sono campane a morto: cosa resterà loro al termine di questa immensa opera di sbarramento e di deviazione? In realtà ha usato male il suo lungo monopolio. Il bacino del Lago Nasser, creato con la diga di Assuan, fa evaporare dieci miliardi di metri cubi. La salinizzazione della terre, unita all’aumento della popolazione, ha fatto sì che la disponibilità di acqua per abitante che nel 1990 era di 922 metri cubi nel 2025 non supererà i 337.
La superficie coltivata continua a ridursi e il Paese è ormai il quarto importatore mondiale di grano (spendendo 2,54 miliardi di dollari ogni anno). L’acqua è gratuita e quindi le tecniche più razionali di irrigazione, l’aspersione e il goccia a goccia, sono inutilizzate. Il governo ha lanciato progetti di costruzione di città-miracolo nel deserto che si basano sulla sfruttamento delle falde fossili; esaurite queste si prenderà l’acqua del Nilo. Seicentomila ettari dovrebbero essere messi a coltura dai coloni di queste nuove città di frontiera nella valle della Toskha, nel deserto occidentale e in quattro oasi. Ma il Nilo continuerà ad essere un dono dell’Africa?
Fonte: www.lastampa.it
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