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KENYA - Un severo monito ai dirigenti locali
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KENYA - Un severo monito ai dirigenti locali
Un severo monito ai dirigenti locali dal rapporto sulle violenze post elettorali commissionato da un gruppo inter-religioso.
Nairobi-Il Kenya continua a interrogarsi sulle cause profonde delle violenze scoppiate all’indomani delle contestate elezioni presidenziali del dicembre 2007. Il Capo dello Stato uscente, Kibaki, venne rieletto ma la sua vittoria venne contestato dal principale esponente dell’opposizione, Raila Odinga. Lo scontro politico provocò la peggiore ondata di violenza della storia del Kenya post coloniale. Almeno 1200 persone persero la vita, migliaia rimasero ferite, mentre circa 2 milioni furono costretti a fuggire e a diventare rifugiati nel loro stesso Paese.
Per comprendere le ragioni di questa tragedia nazionale, un gruppo interconfessionale keniano, l’Inter-Religious Forum (IRF, del quale fa parte la Chiesa cattolica), ha commissionato uno studio intitolato “The Root Causes and Implications of the Post Election Violence of 2007” (“Le cause profonde e le implicazioni della violenza post elettorale del 2007”).
Le conclusioni del rapporto, presentato in questi giorni, sono un grave monito per tutti i keniani e specialmente per la classe dirigente. In particolare il rapporto afferma che il Kenya resterà instabile fino a quando continueranno ad essere irrisolti problemi di lunga data, come la distribuzione della terra e la marginalizzazione di alcuni gruppi dal contesto politico ed economico della società locale.
Sul piano politico lo studio critica l’approccio “il vincitore prende tutto” che caratterizza la classe politica locale, suggerendo invece l’adozione di misure per includere nel processo decisionale il maggior numero di keniani, e comunque un sistema nel quale nessun gruppo si senta escluso dalla vita politica.
Il decadimento morale della nazione, causa profonda del clima di violenza, deriva, secondo il rapporto, dalla perdita evidente dei valori sociali e morali del Paese esposto, a fattori che minacciano la sua stessa esistenza. In particolare, “la nascita della società dei consumi e la ricerca di gratificazioni materiali da parte di tutti con qualsiasi mezzo, compresa la corruzione su vasta scala, ha creato una tolleranza nella cattiva gestione della cosa pubblica, che ha comportato un aumento del divario sociale, e la negazione della giustizia sociale a milioni di keniani. La disuguaglianza sociale è di per sé una grave minaccia per la stabilità e la sicurezza nazionale”.
Un’instabilità accentuata dallo sfruttamento delle tensioni etniche e sociali da parte di alcuni candidati alle elezioni, e dalla mancata riforma delle istituzioni, compresa quella della Costituzione.
Nel presentare lo studio, il Presidente dell’IRF, Canon Peter Karanja ha detto: "Come leader religiosi chiediamo ai kenioti di essere disposti a pagare il prezzo che verrà chiesto a ognuno di noi per vivere in un Kenya stabile”, ma ha ammonito: “siamo in una situazione peggiore di quella del 2007. Molte tribù sono armate non solo con machete ma anche con armi da fuoco. Se gli sforzi negoziali per le riforme di base dovessero fallire, rischiamo di non avere un Paese”..
FONTE: (L.M.) (Agenzia Fides 21/9/2009
Nairobi-Il Kenya continua a interrogarsi sulle cause profonde delle violenze scoppiate all’indomani delle contestate elezioni presidenziali del dicembre 2007. Il Capo dello Stato uscente, Kibaki, venne rieletto ma la sua vittoria venne contestato dal principale esponente dell’opposizione, Raila Odinga. Lo scontro politico provocò la peggiore ondata di violenza della storia del Kenya post coloniale. Almeno 1200 persone persero la vita, migliaia rimasero ferite, mentre circa 2 milioni furono costretti a fuggire e a diventare rifugiati nel loro stesso Paese.
Per comprendere le ragioni di questa tragedia nazionale, un gruppo interconfessionale keniano, l’Inter-Religious Forum (IRF, del quale fa parte la Chiesa cattolica), ha commissionato uno studio intitolato “The Root Causes and Implications of the Post Election Violence of 2007” (“Le cause profonde e le implicazioni della violenza post elettorale del 2007”).
Le conclusioni del rapporto, presentato in questi giorni, sono un grave monito per tutti i keniani e specialmente per la classe dirigente. In particolare il rapporto afferma che il Kenya resterà instabile fino a quando continueranno ad essere irrisolti problemi di lunga data, come la distribuzione della terra e la marginalizzazione di alcuni gruppi dal contesto politico ed economico della società locale.
Sul piano politico lo studio critica l’approccio “il vincitore prende tutto” che caratterizza la classe politica locale, suggerendo invece l’adozione di misure per includere nel processo decisionale il maggior numero di keniani, e comunque un sistema nel quale nessun gruppo si senta escluso dalla vita politica.
Il decadimento morale della nazione, causa profonda del clima di violenza, deriva, secondo il rapporto, dalla perdita evidente dei valori sociali e morali del Paese esposto, a fattori che minacciano la sua stessa esistenza. In particolare, “la nascita della società dei consumi e la ricerca di gratificazioni materiali da parte di tutti con qualsiasi mezzo, compresa la corruzione su vasta scala, ha creato una tolleranza nella cattiva gestione della cosa pubblica, che ha comportato un aumento del divario sociale, e la negazione della giustizia sociale a milioni di keniani. La disuguaglianza sociale è di per sé una grave minaccia per la stabilità e la sicurezza nazionale”.
Un’instabilità accentuata dallo sfruttamento delle tensioni etniche e sociali da parte di alcuni candidati alle elezioni, e dalla mancata riforma delle istituzioni, compresa quella della Costituzione.
Nel presentare lo studio, il Presidente dell’IRF, Canon Peter Karanja ha detto: "Come leader religiosi chiediamo ai kenioti di essere disposti a pagare il prezzo che verrà chiesto a ognuno di noi per vivere in un Kenya stabile”, ma ha ammonito: “siamo in una situazione peggiore di quella del 2007. Molte tribù sono armate non solo con machete ma anche con armi da fuoco. Se gli sforzi negoziali per le riforme di base dovessero fallire, rischiamo di non avere un Paese”..
FONTE: (L.M.) (Agenzia Fides 21/9/2009
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Data d'iscrizione : 21.04.09
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