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Messaggio Da fio Lun Set 21, 2009 6:07 am

Chi siamo
I caschi bianchi. I Caschi bianchi sono giovani volontari e volontarie in servizio civile all'estero impegnati in missioni di promozione della pace, dei diritti umani, dello sviluppo e della cooperazione fra i popoli, all'interno di un progetto elaborato congiuntamente da: Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Caritas italiana, Volontari nel mondo – Focsiv, e Gavci, che vede i giovani alternarsi all’estero da più di dieci anni.
Il progetto caschi bianchi si fonda sull’eredità lasciata dagli obiettori di coscienza, nel percorso di costituzione dei corpi civili di pace, basati sui principi della difesa popolare nonviolenta, in situazioni di conflitto armato o di violenza strutturale e negazione dei diritti umani. Essi operano per la costruzione di una pace positiva, che non significa semplicemente assenza di conflitto.
La possibilità di adesione a questi progetti, già prevista dall’art. 9 della legge 230/1998 “Nuove norme in materia di Obiezione di Coscienza”, che ha riconosciuto agli Obiettori di Coscienza l’opportunità di operare all’estero, è oggi regolata dall’art. 9 della legge n. 64 del 2001. Tali norme riconoscono come ambiti operativi le “strutture per interventi di pacificazione e cooperazione fra i popoli, istituite dalla stessa Unione Europea o da organismi internazionali operanti con le medesime finalità”.
Dal 2002, attraverso il il decreto legislativo del 5 aprile 2002 n.77, si è esteso il limite d’età da 26 a 28 anni e si è aperta la possibilità di servizio civile ai giovani che hanno già svolto il servizio militare o il servizio di leva sostitutivo come obiettori di coscienza.
Il numero di questi giovani è in aumento: l’ultimo gruppo di caschi bianchi, che ha preso servizio a settembre-ottobre 2007, conta circa 200 giovani, in partenza per: Tanzania, Zambia, Burkina Faso, Kenya, Ruanda, Benin, Cameroun, Etiopia, Sudan, Mali, Senegal, Guinea Equatoriale, Madagascar, Equador, Cile, Bolivia, Guatemala, Brasile, Venezuela, Perù, El Salvador, Albania, Romania, Moldavia, Kossovo, Israele, Territori Palestinesi, India, Bangladesh.

Antenne di Pace. Da circa tre anni l’informazione costituisce un punto fondamentale del mandato del casco bianco. Facendo propria l'affermazione di Kapuscinski secondo la quale “non si può raccontare di qualcuno senza condividerne almeno in parte la vita", questi giovani sentono l’esigenza di parlare delle persone con cui spendono un anno della loro vita, a stretto contatto, in varie modalità, spesso condividendo non solo il tempo del lavoro e le proprie competenze o professionalità, ma ogni momento della giornata. Non sono giornalisti di professione, ma la scrittura è per essi parte di un momento fondante della loro identità di uomini e donne del “primo” mondo, che rifiutano l’indifferenza e cercano in prima persona di aprire gli occhi sulla realtà e di vivere un modo di relazionarsi con l’Altro che vada al di là degli interessi personali. Alla scrittura e all’uso dell’immagine fissa è dedicata per questo, una consistente parte della loro formazione. L’esigenza di narrazione da parte di questi giovani è forte tanto quanto la responsabilità che essi sentono, quali abitanti del mondo occidentale, verso le condizioni di vita delle persone che in un anno imparano a conoscere e ad amare, tanto quanto il desiderio di partecipare ad altri ciò che si può capire solo se vissuto in prima persona. Quello che emerge infatti è il desiderio di fornire un’informazione che non sia solo più completa rispetto a quella ufficiale, ma che soprattutto non esuli dal mettere in evidenza la sofferenza di tanti esseri umani che sta dietro le notizie, i conflitti, i processi di pacificazione o le realtà di sottosviluppo e di crisi economica, affinché questa sofferenza non sia vana, ma sappia parlare al cuore delle persone, spingendole a un atteggiamento che superi la facile tentazione di affidarsi a giudizi ed opinioni prefabbricate.
La spinta dei caschi bianchi nasce quindi dalla volontà di dare alle voci di chi non viene di solito ascoltato, la dignità di fonte, e la narrazione, nelle sue diverse modalità, diventa una forma di resistenza alla superficialità e al disinteresse imperanti.
Un’esperienza che si pone come l’occasione, in un mondo dominato dalla “dittatura dell’informazione”, di un contributo incisivo per quella parte della nostra società che si interroga sul senso di un’informazione in grado di esprimere una pluralità di punti di vista, finalizzata a una riflessione e ad un’azione consapevoli e responsabili. E’ un modo per contribuire, una volta riconosciuto che l’informazione è potere, a spostare questo potere verso il basso, a distribuirlo e decentralizzarlo.
Ne Il cinico non è adatto a questo mestiere, Ryszard Kapuscinski, rileva come oggi il giornalismo sia uno strumento pubblicitario più che culturale, ma anche come in questo coro si odano voci dissonanti, che stimolano a una riflessione. Antenne di Pace vuole unirsi a queste voci, consapevole che “il vero giornalismo è quello intenzionale, vale a dire quello che si dà uno scopo e che mira a produrre una qualche forma di cambiamento”, partendo dalla freschezza di giovani che assicurino un ricambio generazionale nel panorama dell’informazione, e con la loro scelta di condivisione aprano in esso nuove possibilità..
Fonte: Antenne di Pace
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