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Il biofuel che non affama i poveri
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Il biofuel che non affama i poveri
Il biofuel che non affama i poveri
Bocciati colza, granoturco e girasole, il Kenya si trasforma nel laboratorio per una pianta alternativa. La Jatropha è perfetta per i terreni aridi e ha una resa d'olio molto alta: anche l'Italia è interessata al progetto.
MARCO PIVATO
Il Kenya sceglie la strada delle energie pulite per rivoluzionare l'economia. Sono allo studio molte aree per ospitare una serie di coltivazioni - da 100 mila a un milione di ettari - destinate alla produzione di biofuel. Ora il governo attende investitori da tutto il mondo. «Anche l’Italia è interessata - dice Giancarlo Culazzo, addetto economico, finanziario e commerciale dell’ambasciata a Nairobi - e sono stati avviati accordi anche con il dipartimento di Agraria dell’Università di Firenze».
Quando se ne iniziò a parlare, il biofuel - ottenuto dal trattamento di olii vegetali - aveva destato l’entusiasmo sia degli ecologisti sia dei businessmen, ma pochi anni dopo, fatti i primi bilanci, ha generato una valanga di critiche: secondo l’Iea, l’Agenzia internazionale dell’energia, solo per sostituire il 5% dei consumi attuali di benzina e gasolio nell’Ue si dovrebbero destinare a colza e girasole il 20% di tutti terreni coltivabili in Europa. E molto studiato è anche il caso del granoturco. Gli scienziati dell’Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività del Cnr (l’Isof-Cnr) sostengono che, aggiungendo alla bilancia il costo di fertilizzanti, irrigazione, pesticidi, raccolta, trasporto, lavorazione e distribuzione, la bilancia energetica resta in perdita.
Colza, girasole e granoturco, quindi, sono bocciati. E la canna da zucchero? Il Brasile aveva avviato una politica di largo respiro, forte delle enormi superfici a disposizione: con il 5% del territorio coltivato a canna è riuscito a produrre bioetanolo sufficiente a risparmiare 11 miliardi di litri di benzina sui 16 mediamente consumati dalla popolazione. In Italia, invece, il discorso è vietato: consumiamo 18 miliardi di litri di benzina all’anno e per farne a meno ci servirebbero 26,2 miliardi di litri di bioetanolo. Una quantità da succhiare a non meno di 50 mila chilometri quadrati di canna da zucchero.
Ma il Kenya ha un asso nella manica: nome scientifico Jatropha Curcas. Dà il primo raccolto a un anno dalla semina, produce mezza tonnellata di semi per ettaro e, dal terzo anno in poi, fino a cinque tonnellate. I semi, che si trovano all’interno del fiore, offrono una resa del 97% di olio. Fiorisce tutto l’anno, cresce in terreni estremamente aridi, ideali per i climi africani, e queste caratteristiche offrono molti vantaggi. «Non servono i mastodontici apparati di irrigazione né le grandi quantità di fertilizzanti rispetto alle colture tradizionali - spiega Culazzo -. Grazie all’alta resa, poi, non rappresenta una minaccia alle colture destinate al sostentamento della popolazione locale, come mais e riso».
Il biofuel torna, dunque, in auge? Il Kenya lo spera. L'agricoltura è il settore trainante dell’economia e provvede alla sussistenza del 75% della popolazione. «La commercializzazione dei semi della Jatropha offrirebbe una fonte di reddito alle numerose comunità rurali. Il biofuel sarebbe utilizzato per trattori e generatori di energia elettrica dei villaggi, lampade e forni da cucina, riducendo sensibilmente l’attuale dipendenza dal kerosene. A livello nazionale ridurrebbe anche i costi dei trasporti su gomma e quelli della produzione di energia elettrica, abbattendo allo stesso tempo le emissioni di gas inquinanti».
Il Kenya sta cercando, faticosamente, una via per lo sviluppo. Nel 2007 la crescita del pil è stata del 7% e, benché le tensioni e le violenze tribali seguite alle controverse elezioni del dicembre dello stesso anno abbiano determinato una battuta d’arresto, l'economia sta tornando verso la normalità. Per il 2009 il Fondo Monetario, infatti, prevede un tasso di crescita pari al 6,4%.
Al momento, quindi, non stupisce che siano 30 le istituzioni keniote interessate alla Jatropha. E per attrarre investitori stranieri il governo ha emanato l’«Investment Promotion Act». La legge fissa un minimo di 500 mila dollari Usa per un’operazione di investimento e i gruppi internazionali devono anche firmare un accordo sulle «risorse umane»: si devono infatti impegnare alla graduale sostituzione dei propri tecnici con altri locali, formandoli appositamente.
La priorità del Kenya è riuscire a far affluire valuta estera, dando lavoro a una popolazione che perlopiù si trova in gravi difficoltà. «Dato che la maggior parte delle risorse del Paese è utilizzata per l’acquisto di prodotti petroliferi - 952 milioni di euro, pari al 7,4% del pil e al 25% degli scambi con l’estero - si capisce quanto sia importante per il Kenya sviluppare fonti di energia più economiche sul territorio», spiega Culazzo.
E, guadagni a parte, perché l’Italia dovrebbe essere interessata al biofuel kenyota? Per esempio, per mantenere le emissioni al di sotto della soglia che ha richiesto il Protocollo di Kyoto. Stando alle regole dell’Unione Europea, l’Italia deve ridurre le emissioni di anidride carbonica del 6,5% entro il 2012. Le stime dell’anno scorso mostrano che, invece, le abbiamo aumentate del 13%. Un boom che significa anche multe salate.
E il prezzo della Jatropha? E’ fissato, al momento, dai 3 ai 6 euro all’ettaro. Novantamila piantine stanno già producendo i loro frutti.
Fonte: www.lastampa.it
Bocciati colza, granoturco e girasole, il Kenya si trasforma nel laboratorio per una pianta alternativa. La Jatropha è perfetta per i terreni aridi e ha una resa d'olio molto alta: anche l'Italia è interessata al progetto.
MARCO PIVATO
Il Kenya sceglie la strada delle energie pulite per rivoluzionare l'economia. Sono allo studio molte aree per ospitare una serie di coltivazioni - da 100 mila a un milione di ettari - destinate alla produzione di biofuel. Ora il governo attende investitori da tutto il mondo. «Anche l’Italia è interessata - dice Giancarlo Culazzo, addetto economico, finanziario e commerciale dell’ambasciata a Nairobi - e sono stati avviati accordi anche con il dipartimento di Agraria dell’Università di Firenze».
Quando se ne iniziò a parlare, il biofuel - ottenuto dal trattamento di olii vegetali - aveva destato l’entusiasmo sia degli ecologisti sia dei businessmen, ma pochi anni dopo, fatti i primi bilanci, ha generato una valanga di critiche: secondo l’Iea, l’Agenzia internazionale dell’energia, solo per sostituire il 5% dei consumi attuali di benzina e gasolio nell’Ue si dovrebbero destinare a colza e girasole il 20% di tutti terreni coltivabili in Europa. E molto studiato è anche il caso del granoturco. Gli scienziati dell’Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività del Cnr (l’Isof-Cnr) sostengono che, aggiungendo alla bilancia il costo di fertilizzanti, irrigazione, pesticidi, raccolta, trasporto, lavorazione e distribuzione, la bilancia energetica resta in perdita.
Colza, girasole e granoturco, quindi, sono bocciati. E la canna da zucchero? Il Brasile aveva avviato una politica di largo respiro, forte delle enormi superfici a disposizione: con il 5% del territorio coltivato a canna è riuscito a produrre bioetanolo sufficiente a risparmiare 11 miliardi di litri di benzina sui 16 mediamente consumati dalla popolazione. In Italia, invece, il discorso è vietato: consumiamo 18 miliardi di litri di benzina all’anno e per farne a meno ci servirebbero 26,2 miliardi di litri di bioetanolo. Una quantità da succhiare a non meno di 50 mila chilometri quadrati di canna da zucchero.
Ma il Kenya ha un asso nella manica: nome scientifico Jatropha Curcas. Dà il primo raccolto a un anno dalla semina, produce mezza tonnellata di semi per ettaro e, dal terzo anno in poi, fino a cinque tonnellate. I semi, che si trovano all’interno del fiore, offrono una resa del 97% di olio. Fiorisce tutto l’anno, cresce in terreni estremamente aridi, ideali per i climi africani, e queste caratteristiche offrono molti vantaggi. «Non servono i mastodontici apparati di irrigazione né le grandi quantità di fertilizzanti rispetto alle colture tradizionali - spiega Culazzo -. Grazie all’alta resa, poi, non rappresenta una minaccia alle colture destinate al sostentamento della popolazione locale, come mais e riso».
Il biofuel torna, dunque, in auge? Il Kenya lo spera. L'agricoltura è il settore trainante dell’economia e provvede alla sussistenza del 75% della popolazione. «La commercializzazione dei semi della Jatropha offrirebbe una fonte di reddito alle numerose comunità rurali. Il biofuel sarebbe utilizzato per trattori e generatori di energia elettrica dei villaggi, lampade e forni da cucina, riducendo sensibilmente l’attuale dipendenza dal kerosene. A livello nazionale ridurrebbe anche i costi dei trasporti su gomma e quelli della produzione di energia elettrica, abbattendo allo stesso tempo le emissioni di gas inquinanti».
Il Kenya sta cercando, faticosamente, una via per lo sviluppo. Nel 2007 la crescita del pil è stata del 7% e, benché le tensioni e le violenze tribali seguite alle controverse elezioni del dicembre dello stesso anno abbiano determinato una battuta d’arresto, l'economia sta tornando verso la normalità. Per il 2009 il Fondo Monetario, infatti, prevede un tasso di crescita pari al 6,4%.
Al momento, quindi, non stupisce che siano 30 le istituzioni keniote interessate alla Jatropha. E per attrarre investitori stranieri il governo ha emanato l’«Investment Promotion Act». La legge fissa un minimo di 500 mila dollari Usa per un’operazione di investimento e i gruppi internazionali devono anche firmare un accordo sulle «risorse umane»: si devono infatti impegnare alla graduale sostituzione dei propri tecnici con altri locali, formandoli appositamente.
La priorità del Kenya è riuscire a far affluire valuta estera, dando lavoro a una popolazione che perlopiù si trova in gravi difficoltà. «Dato che la maggior parte delle risorse del Paese è utilizzata per l’acquisto di prodotti petroliferi - 952 milioni di euro, pari al 7,4% del pil e al 25% degli scambi con l’estero - si capisce quanto sia importante per il Kenya sviluppare fonti di energia più economiche sul territorio», spiega Culazzo.
E, guadagni a parte, perché l’Italia dovrebbe essere interessata al biofuel kenyota? Per esempio, per mantenere le emissioni al di sotto della soglia che ha richiesto il Protocollo di Kyoto. Stando alle regole dell’Unione Europea, l’Italia deve ridurre le emissioni di anidride carbonica del 6,5% entro il 2012. Le stime dell’anno scorso mostrano che, invece, le abbiamo aumentate del 13%. Un boom che significa anche multe salate.
E il prezzo della Jatropha? E’ fissato, al momento, dai 3 ai 6 euro all’ettaro. Novantamila piantine stanno già producendo i loro frutti.
Fonte: www.lastampa.it
Federica- ADMIN
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Data d'iscrizione : 16.04.09
Età : 47
Località : Uboldo
Re: Il biofuel che non affama i poveri
Approfondiamo questo interessante argomento, vi trascrivo un altro interessante articolo trovato sul web :
Jatropha Curcas, l’Unico Biocarburante Sostenibile. Dall’Africa all’India, dal Belgio ad Ascoli Piceno, il Biodiesel dalla natura realmente sostenibile. Le avanguardie di una rivoluzione possibile
Grazie alla Jatropha, la società finlandese Wärtsilä ha annunciato l’avvio della prima centrale elettrica a biocarburante in Belgio entro l’inizio del 2009. Una centrale da 9 MW per un costo di 7 milioni di €, proprietà di una joint venture fra gli sviluppatori Thenargo e le aziende agricole locali. Ma la Jatropha promette molto di più.
La Jatropha Curcas è un arbusto in grado di produrre un frutto ricco di olio (140%) tradizionalmente usato come carburante per il riscaldamento e l’illuminazione nelle comunità in via di sviluppo. Ma il valore della Jatropha Curcas è attestato soprattutto come materia prima prodotta su larga scala per la produzione di biocarburanti. La Jatropha Curcas è attualmente oggetto di ricerca e di sviluppo per il suo enorme potenziale d’uso nella produzione di biodiesel per i trasporti. Uno dei principali vantaggi della Jatropha risiede nella possibilità di essere coltivata in condizioni di scarsa piovosità e siccità e soprattutto dove altre colture è pressoché impossibile farle crescere.
La Jatropha Curcas non è una fonte di cibo per animali o esseri umani e nella corsa per la produzione di biocarburanti come sostituzione al combustibile fossile potrebbe rivelarsi una soluzione ideale. Ma come gli eventi recenti hanno fatto intuire ancora la produzione del biocarburante coinvolge il settore alimentare (biocarburanti di 1° generazione) con grano, mais, canola e olio di palma. “Per questo il biodiesel prodotto dalla Jatropha Curcas come fonte di energia elettrica e combustibile si dimostra essere una passo avanti verso un utilizzo sostenibile dei biocarburanti”, parole di Ronald Wärtsilä e aggiunge “l’olio estratto dalla Jatropha è un biocarburante che ha un grande potenziale in quanto la Jatropha può essere coltivata non nelle aree delle foreste pluviali (come la canna da zucchero N.D.T.), ma anche in prossimità del deserto”. L’impianto di Wartsila produrrà energia elettrica per 20.000 abitazioni mentre il calore prodotto verrà utilizzato da agricoltori locali per riscaldare le serre ed in particolari processi di asciugatura di fertilizzanti.
Ma già l’olio di Jatropha Curcas verrà utilizzato in una centrale italiana in provincia di Ascoli Piceno dove grazie ad un accordo fra la società impiantistica Troiani e Ciarocchi di Monteprandone e il governo del Madagascar dove verranno coltivati 100.000 ettari a Jatropha. L’investimento ammonta a 5 milioni di € grazie ai quali si prevedono di poter ricavare 300.000 tonnellate di olio vegetale. L’obiettivo spiegano i titolari dell’azienda italiana è quello di “poter favorire nel prossimo futuro (2-3 anni) la costruzione nel territorio ascolano di tante piccole centrali elettriche di piccole dimensioni, 1 MW ciascuna, alimentate proprio con l’olio di Jatropha Curcas del Madagascar. In quella zona e con l’estensione di coltivazioni, potremmo avere tanto materiale da sostenere l’intero fabbisogno energetico del Piceno fra cittadini ed imprese”.
Il presidente della Provincia di Ascoli Piceno, Massimo Rossi, sta lavorando affinché altre imprese picene partecipino al progetto. Sempre Rossi ha sottolineato “non stiamo sottraendo terreno fertile all’agricoltura poiché la Jatropha Curcas è una pianta che, al contrario del mais, del girasole o della soia, non occupa terreni destinati a colture commestibili. Inoltre una consistente quota dell’olio di Jatropha prodotto resta sul posto per lo sfruttamento locale. Questo scambio aprirà anche la strada ad altre relazioni tra la nostra Provincia e il Madagascar, in particolare in ambiti di eccellenza del nostro territorio come quelli dell’agricoltura, della viticoltura, della pesca e del turismo”.
Ma in tutto il mondo l’uso della Jatropha Curcas sta prendendo piede. In Tanzania le sorelle Vincenziane stanno facendo crescere con poca cura e poca acqua la pianta i cui semi assicurano un ottimo biocarburante. L’India ha inserito la Jatropha Curcas nel suo piano per l’indipendenza energetica e l’azienda inglese D1quotata all’Aim di Londar ha già fiutato il prossimo business dei biocarburanti. Sorella Kaja Peric nata in Bosnia ma che ora vive nel profondo sud della Tanzania spiega che “Non esiste una rete elettrica nazionale e nelle città qui intorno i black-out sono frequenti e possono durare fino ad 8 ore. Ma non nel nostro convento. Noi l’energia ce la coltiviamo in giardino”.
E davvero insieme al mais, ai girasoli, le sorelle coltivano per davvero anche l’elettricità grazie alla Jatropha Curcas. Kaja, responsabile del progetto sta facendo crescere dietro al convento 50.000 esemplari di Jatropha Curcas. La pianta che potrebbe cambiare se non i destini del mondo, almeno quelli dell’Africa. Sul tetto della chiesa c’è un gigantesco pannello solare fatto a V (in onore a San Vincenzo che ispira il convento) con una croce bianca nel centro. “Il sole ci fornisce l’energia sufficiente per il giorno” spiega Kaja. Durante la notte abbiamo il generatore a diesel che per ora funziona a combustibile fossile ma dal prossimo anno a biodiesel di Jatropha. Continua Kaja “Gli esperimenti gli abbiamo fatti: basta spremere i semi della pianta per ottenere un olio che, semplicemente filtrato mette in moto il generatore di elettricità, è una meraviglia. E tutto questo rispettando l’ambiente”.
Alla latitudine ad Arusha, abita Livinus Manyanga, Tanzania del Nord, quasi alle falde del Kilimangiaro, il sole sorge dopo poco le 6, ed è in quell’esatto momento che il business per Manyanga si mette in moto: quando l’energia del sole accende la fotosintesi clorofilliana. Nell’azienda di Arusha non ci sono ettari di coltivazioni ma solo un giardino. “Il mio vivaio è un piccolo centro di ricerca e di sviluppo. Il mio compito è quello di diffondere l’uso della Jatropha in Africa, insegnandone la coltivazione, distribuendo così una nuova ricchezza. Con gli scarti della produzione dell’olio, da 2 Kg di semi tritati e 5 l di acqua di produce abbastanza metano per cucinare 3 giorni”. Ma c’è di più “Con l’olio di Jatropha Curcas si fabbricano saponi che le donne dei villaggi possono vendere e i residui della macinazione sono un ottimo fertilizzante”. Manyanga lo battezza senza mezzi termini: “L’oro verde del deserto”. Mentre per il piano di indipendenza energetica entro il 2012 l’India ha deciso di piantare 160 milioni di esemplari di Jatropha Curcas.
La Jatropha Curcas, rivoluzione possibile
La Jatropha Curcas è originaria dei Caraibi, la pianta è stata traghettata per il mondo dai marinai portoghesi che la usavano per costruire recinzioni di protezione per i propri villaggi nelle colonie. La Jatropha ha bisogno di pochissima acqua mentre le sue radici proteggono il terreno. “In Tanzania -racconta Manyanga- la Jatropha è una pianta ben nota: viene infatti usata per recintare le tombe”. Le potenzialità della Jatropha Curcas spiega Manyanga ci sono. 1 ettaro di Jatropha produce 1.900 litri di olio che può essere bruciato da solo o in miscela. Così dall’India, alla Cina che sta dedicando milioni di ettari per uso combustibile, al Guatemala dove la Jatropha è stata usata per secoli come recinzioni. E a testimonianza di una rivoluzione alle porte in Francia è stato pubblicato un volume eloquente: “Jatropha, le meilleur des biocarburants”.
La Jatropha Curcas è velenosa e quindi libera da alcun impiego come materia prima alimentare, “Ma soprattutto cresce e prospera in tutta la fascia tropicale -sottolinea sorella Kaja- dove si concentra la gran parte della povertà del mondo.” Scientificamente parlando la Jatropha Curcas è una della 170 varietà di Jatropha della famiglia delle Euforbiacee. Originaria dei Caraibi è diffusa in Africa e in Asia da marinai e commercianti portoghesi. La Jatropha Curcas ha una vita media di 40-50 anni ed è in grado di fertilizzare il terreno con le sue foglie combattendo la desertificazione, aggiungiamo che la Jatropha Curcas contiene anche la “Jatrophina” che si ritiene avere proprietà anti-tumorali.
Come produrre biodiesel dalla Jatropha Curcas?
Il biodiesel dalla Jatropha Curcas si ottiene grazie ad un processo chimico dove dopo una scissione della molecola di trigliceridi viene effettuata una prima miscelazione di idrossido di sodio, poi una seconda di olio vegetale ed infine il composto viene lavato e filtrato per ottenere il biodiesel.
Il costo di produzione del biodiesel dalla Jatropha
Il costo del biodiesel estratto dalla Jatropha Curcas varia a seconda del paese ma mediamente risulta di circa 0,40 $ per litro risultandone l’olio di palma l’unico concorrente.
In conclusione la Jatropha Curcas risulta essere uno dei migliori sostituti sostenibili dei biocarburanti per il veloce esaurimento dei combustibili fossili, prevedendo addirittura una possibile riduzione dei prezzi dei carburanti automobilistici. Rimaniamo in attesa.
Questo articolo è stato pubblicato lo scorso anno su Genitronsviluppo.com
Jatropha Curcas, l’Unico Biocarburante Sostenibile. Dall’Africa all’India, dal Belgio ad Ascoli Piceno, il Biodiesel dalla natura realmente sostenibile. Le avanguardie di una rivoluzione possibile
Grazie alla Jatropha, la società finlandese Wärtsilä ha annunciato l’avvio della prima centrale elettrica a biocarburante in Belgio entro l’inizio del 2009. Una centrale da 9 MW per un costo di 7 milioni di €, proprietà di una joint venture fra gli sviluppatori Thenargo e le aziende agricole locali. Ma la Jatropha promette molto di più.
La Jatropha Curcas è un arbusto in grado di produrre un frutto ricco di olio (140%) tradizionalmente usato come carburante per il riscaldamento e l’illuminazione nelle comunità in via di sviluppo. Ma il valore della Jatropha Curcas è attestato soprattutto come materia prima prodotta su larga scala per la produzione di biocarburanti. La Jatropha Curcas è attualmente oggetto di ricerca e di sviluppo per il suo enorme potenziale d’uso nella produzione di biodiesel per i trasporti. Uno dei principali vantaggi della Jatropha risiede nella possibilità di essere coltivata in condizioni di scarsa piovosità e siccità e soprattutto dove altre colture è pressoché impossibile farle crescere.
La Jatropha Curcas non è una fonte di cibo per animali o esseri umani e nella corsa per la produzione di biocarburanti come sostituzione al combustibile fossile potrebbe rivelarsi una soluzione ideale. Ma come gli eventi recenti hanno fatto intuire ancora la produzione del biocarburante coinvolge il settore alimentare (biocarburanti di 1° generazione) con grano, mais, canola e olio di palma. “Per questo il biodiesel prodotto dalla Jatropha Curcas come fonte di energia elettrica e combustibile si dimostra essere una passo avanti verso un utilizzo sostenibile dei biocarburanti”, parole di Ronald Wärtsilä e aggiunge “l’olio estratto dalla Jatropha è un biocarburante che ha un grande potenziale in quanto la Jatropha può essere coltivata non nelle aree delle foreste pluviali (come la canna da zucchero N.D.T.), ma anche in prossimità del deserto”. L’impianto di Wartsila produrrà energia elettrica per 20.000 abitazioni mentre il calore prodotto verrà utilizzato da agricoltori locali per riscaldare le serre ed in particolari processi di asciugatura di fertilizzanti.
Ma già l’olio di Jatropha Curcas verrà utilizzato in una centrale italiana in provincia di Ascoli Piceno dove grazie ad un accordo fra la società impiantistica Troiani e Ciarocchi di Monteprandone e il governo del Madagascar dove verranno coltivati 100.000 ettari a Jatropha. L’investimento ammonta a 5 milioni di € grazie ai quali si prevedono di poter ricavare 300.000 tonnellate di olio vegetale. L’obiettivo spiegano i titolari dell’azienda italiana è quello di “poter favorire nel prossimo futuro (2-3 anni) la costruzione nel territorio ascolano di tante piccole centrali elettriche di piccole dimensioni, 1 MW ciascuna, alimentate proprio con l’olio di Jatropha Curcas del Madagascar. In quella zona e con l’estensione di coltivazioni, potremmo avere tanto materiale da sostenere l’intero fabbisogno energetico del Piceno fra cittadini ed imprese”.
Il presidente della Provincia di Ascoli Piceno, Massimo Rossi, sta lavorando affinché altre imprese picene partecipino al progetto. Sempre Rossi ha sottolineato “non stiamo sottraendo terreno fertile all’agricoltura poiché la Jatropha Curcas è una pianta che, al contrario del mais, del girasole o della soia, non occupa terreni destinati a colture commestibili. Inoltre una consistente quota dell’olio di Jatropha prodotto resta sul posto per lo sfruttamento locale. Questo scambio aprirà anche la strada ad altre relazioni tra la nostra Provincia e il Madagascar, in particolare in ambiti di eccellenza del nostro territorio come quelli dell’agricoltura, della viticoltura, della pesca e del turismo”.
Ma in tutto il mondo l’uso della Jatropha Curcas sta prendendo piede. In Tanzania le sorelle Vincenziane stanno facendo crescere con poca cura e poca acqua la pianta i cui semi assicurano un ottimo biocarburante. L’India ha inserito la Jatropha Curcas nel suo piano per l’indipendenza energetica e l’azienda inglese D1quotata all’Aim di Londar ha già fiutato il prossimo business dei biocarburanti. Sorella Kaja Peric nata in Bosnia ma che ora vive nel profondo sud della Tanzania spiega che “Non esiste una rete elettrica nazionale e nelle città qui intorno i black-out sono frequenti e possono durare fino ad 8 ore. Ma non nel nostro convento. Noi l’energia ce la coltiviamo in giardino”.
E davvero insieme al mais, ai girasoli, le sorelle coltivano per davvero anche l’elettricità grazie alla Jatropha Curcas. Kaja, responsabile del progetto sta facendo crescere dietro al convento 50.000 esemplari di Jatropha Curcas. La pianta che potrebbe cambiare se non i destini del mondo, almeno quelli dell’Africa. Sul tetto della chiesa c’è un gigantesco pannello solare fatto a V (in onore a San Vincenzo che ispira il convento) con una croce bianca nel centro. “Il sole ci fornisce l’energia sufficiente per il giorno” spiega Kaja. Durante la notte abbiamo il generatore a diesel che per ora funziona a combustibile fossile ma dal prossimo anno a biodiesel di Jatropha. Continua Kaja “Gli esperimenti gli abbiamo fatti: basta spremere i semi della pianta per ottenere un olio che, semplicemente filtrato mette in moto il generatore di elettricità, è una meraviglia. E tutto questo rispettando l’ambiente”.
Alla latitudine ad Arusha, abita Livinus Manyanga, Tanzania del Nord, quasi alle falde del Kilimangiaro, il sole sorge dopo poco le 6, ed è in quell’esatto momento che il business per Manyanga si mette in moto: quando l’energia del sole accende la fotosintesi clorofilliana. Nell’azienda di Arusha non ci sono ettari di coltivazioni ma solo un giardino. “Il mio vivaio è un piccolo centro di ricerca e di sviluppo. Il mio compito è quello di diffondere l’uso della Jatropha in Africa, insegnandone la coltivazione, distribuendo così una nuova ricchezza. Con gli scarti della produzione dell’olio, da 2 Kg di semi tritati e 5 l di acqua di produce abbastanza metano per cucinare 3 giorni”. Ma c’è di più “Con l’olio di Jatropha Curcas si fabbricano saponi che le donne dei villaggi possono vendere e i residui della macinazione sono un ottimo fertilizzante”. Manyanga lo battezza senza mezzi termini: “L’oro verde del deserto”. Mentre per il piano di indipendenza energetica entro il 2012 l’India ha deciso di piantare 160 milioni di esemplari di Jatropha Curcas.
La Jatropha Curcas, rivoluzione possibile
La Jatropha Curcas è originaria dei Caraibi, la pianta è stata traghettata per il mondo dai marinai portoghesi che la usavano per costruire recinzioni di protezione per i propri villaggi nelle colonie. La Jatropha ha bisogno di pochissima acqua mentre le sue radici proteggono il terreno. “In Tanzania -racconta Manyanga- la Jatropha è una pianta ben nota: viene infatti usata per recintare le tombe”. Le potenzialità della Jatropha Curcas spiega Manyanga ci sono. 1 ettaro di Jatropha produce 1.900 litri di olio che può essere bruciato da solo o in miscela. Così dall’India, alla Cina che sta dedicando milioni di ettari per uso combustibile, al Guatemala dove la Jatropha è stata usata per secoli come recinzioni. E a testimonianza di una rivoluzione alle porte in Francia è stato pubblicato un volume eloquente: “Jatropha, le meilleur des biocarburants”.
La Jatropha Curcas è velenosa e quindi libera da alcun impiego come materia prima alimentare, “Ma soprattutto cresce e prospera in tutta la fascia tropicale -sottolinea sorella Kaja- dove si concentra la gran parte della povertà del mondo.” Scientificamente parlando la Jatropha Curcas è una della 170 varietà di Jatropha della famiglia delle Euforbiacee. Originaria dei Caraibi è diffusa in Africa e in Asia da marinai e commercianti portoghesi. La Jatropha Curcas ha una vita media di 40-50 anni ed è in grado di fertilizzare il terreno con le sue foglie combattendo la desertificazione, aggiungiamo che la Jatropha Curcas contiene anche la “Jatrophina” che si ritiene avere proprietà anti-tumorali.
Come produrre biodiesel dalla Jatropha Curcas?
Il biodiesel dalla Jatropha Curcas si ottiene grazie ad un processo chimico dove dopo una scissione della molecola di trigliceridi viene effettuata una prima miscelazione di idrossido di sodio, poi una seconda di olio vegetale ed infine il composto viene lavato e filtrato per ottenere il biodiesel.
Il costo di produzione del biodiesel dalla Jatropha
Il costo del biodiesel estratto dalla Jatropha Curcas varia a seconda del paese ma mediamente risulta di circa 0,40 $ per litro risultandone l’olio di palma l’unico concorrente.
In conclusione la Jatropha Curcas risulta essere uno dei migliori sostituti sostenibili dei biocarburanti per il veloce esaurimento dei combustibili fossili, prevedendo addirittura una possibile riduzione dei prezzi dei carburanti automobilistici. Rimaniamo in attesa.
Questo articolo è stato pubblicato lo scorso anno su Genitronsviluppo.com
Re: Il biofuel che non affama i poveri
Direi che questa potrebbe essere veramente un'ottima possibilità di sviluppo per l'economia del Kenya, si potrebbero creare numerosi posti di lavoro, si abbatterebbero in modo sostanzioso i costi per il carburante, migliorerebbe notevolmente la qualità della vita...
Speriamo che riescano a seguire la scia di successo di questa nuova risorsa sfruttandola al meglio.
Speriamo che riescano a seguire la scia di successo di questa nuova risorsa sfruttandola al meglio.
KENYA ACCELERA SU BIOCARBURANTI
KENYA ACCELERA SU BIOCARBURANTI
AGIAFRO) ? Nairobi, 18 nov. ? Il Kenya ha deciso di procedere speditamente sulla via della produzione di biocarburanti, sia per le ricadute positive in termini di protezione dell?ambiente sia per le ricadute economiche derivanti da minori importazioni di idrocarburi di origine fossile. Il ministero dell?Energia ha dato il via a un piano strategico quinquennale per la produzione e la commercializzazione di carburante ?pulito? ottenuto dalla lavorazione di alcuni vegetali di produzione locale, come la jatropha.
Il segretario permanente all?Energia, Patrick Nyoike, si e? detto ?fiducioso che l?attuale strategia porti alla trasformazione del Paese da importatore di carburanti a produttore autosufficiente e perfino esportatore". Dopo aver rilevato che il Kenya ?fara? tesoro delle esperienze fatte in altri paesi?, Nyoike ha detto che Nairobi si impegna cosi' a contrastare l?effetto-serra. Secondo Nyoike, l?economia ricevera? impulso dall?attivita? delle bio-raffinerie, insieme con la realizzazione di una efficiente rete stradale e di adeguate infrastrutture per le necessita? idriche. (AGIAFRO) .
Fonte:www.agi.it
AGIAFRO) ? Nairobi, 18 nov. ? Il Kenya ha deciso di procedere speditamente sulla via della produzione di biocarburanti, sia per le ricadute positive in termini di protezione dell?ambiente sia per le ricadute economiche derivanti da minori importazioni di idrocarburi di origine fossile. Il ministero dell?Energia ha dato il via a un piano strategico quinquennale per la produzione e la commercializzazione di carburante ?pulito? ottenuto dalla lavorazione di alcuni vegetali di produzione locale, come la jatropha.
Il segretario permanente all?Energia, Patrick Nyoike, si e? detto ?fiducioso che l?attuale strategia porti alla trasformazione del Paese da importatore di carburanti a produttore autosufficiente e perfino esportatore". Dopo aver rilevato che il Kenya ?fara? tesoro delle esperienze fatte in altri paesi?, Nyoike ha detto che Nairobi si impegna cosi' a contrastare l?effetto-serra. Secondo Nyoike, l?economia ricevera? impulso dall?attivita? delle bio-raffinerie, insieme con la realizzazione di una efficiente rete stradale e di adeguate infrastrutture per le necessita? idriche. (AGIAFRO) .
Fonte:www.agi.it
Federica- ADMIN
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Re: Il biofuel che non affama i poveri
ECCO LA JATROPHA: PER I KENIOTI UN MIRACOLO DA PUMWANI UN ESEMPIO PER MIGLIORARE LA LORO VITA
L'occasione è stata data dalle celebrazioni per il Jamhuri Day, sabato scorso a Marikebuni, nel distretto di Magarini, uno dei più poveri della costa, a poche decine di chilometri da Malindi. I coniugi Adriano e Giovanna Ghirardello del Comitato Gaia, da tempo attivi nella sperimentazione della Jatropha Curcas, tra le varie colture che servono all'autosostentamento del loro Children Centre a Pumwani, hanno mostrato alla gente dei villaggi vicini e alle autorità presenti, le proprietà di questa pianta di cui ora finalmente in maniera ufficiale in Kenya si inizia a parlare bene e che (come al solito) alimenta business oltre a volontà di migliorare la vita della povera gente che vive in capanne senza luce. Adriano Ghirardello ha mostrato i semi della pianta coltivata in zona e poi l'olio ottenuto dalla loro spremitura a freddo. Dopodiché ha utilizzato l'olio per accendere una lampada che solitamente va a cherosene. Nello stupore generale tutti hanno potuto constatare come dalla lampada che fa luce non esca il fumo nero né il puzzo di cherosene. Proprio quel fumo e quell'odore sono nocivi per questa gente che è abituata nelle ore notturne a farne largo uso. La Jatropha è un combustibile pulito, ecosostenibile e nemmeno tanto dispendioso. Via dunque alle colture. "A Pumwani la Jatropha, insieme a ortaggi e verdure - spiega Giovanna Ghirardellio - permette all'orfanotrofio di iniziare ad autofinanziarsi". I Ghirardello, che hanno anche coltivazioni di enormi girasoli ed ettari di terreno coltivato a frutta e verdura, non sono gli unici a puntare sulla Jatropha Curcas, la speranza verde non soltanto per il Kenya e la sua povera gente, ma per il mondo intero.
Fonte : MalindiKenya
L'occasione è stata data dalle celebrazioni per il Jamhuri Day, sabato scorso a Marikebuni, nel distretto di Magarini, uno dei più poveri della costa, a poche decine di chilometri da Malindi. I coniugi Adriano e Giovanna Ghirardello del Comitato Gaia, da tempo attivi nella sperimentazione della Jatropha Curcas, tra le varie colture che servono all'autosostentamento del loro Children Centre a Pumwani, hanno mostrato alla gente dei villaggi vicini e alle autorità presenti, le proprietà di questa pianta di cui ora finalmente in maniera ufficiale in Kenya si inizia a parlare bene e che (come al solito) alimenta business oltre a volontà di migliorare la vita della povera gente che vive in capanne senza luce. Adriano Ghirardello ha mostrato i semi della pianta coltivata in zona e poi l'olio ottenuto dalla loro spremitura a freddo. Dopodiché ha utilizzato l'olio per accendere una lampada che solitamente va a cherosene. Nello stupore generale tutti hanno potuto constatare come dalla lampada che fa luce non esca il fumo nero né il puzzo di cherosene. Proprio quel fumo e quell'odore sono nocivi per questa gente che è abituata nelle ore notturne a farne largo uso. La Jatropha è un combustibile pulito, ecosostenibile e nemmeno tanto dispendioso. Via dunque alle colture. "A Pumwani la Jatropha, insieme a ortaggi e verdure - spiega Giovanna Ghirardellio - permette all'orfanotrofio di iniziare ad autofinanziarsi". I Ghirardello, che hanno anche coltivazioni di enormi girasoli ed ettari di terreno coltivato a frutta e verdura, non sono gli unici a puntare sulla Jatropha Curcas, la speranza verde non soltanto per il Kenya e la sua povera gente, ma per il mondo intero.
Fonte : MalindiKenya
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