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Messaggio Da fio Mar Apr 16, 2013 6:58 pm

Misure cautelari nei confronti del Kenya e della Libia

La Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli ordina misure cautelari a carico dei due Stati africani

Il 15 marzo 2013 la Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, istituita sulla base del Protocollo addizionale alla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, ha disposto misure cautelari rispettivamente nei confronti del Kenya e della Libia, entrambi parti al Protocollo.

Nel primo caso (The African Commission on Human and Peoples’ Rights v. The Republic of Kenya, n° 006) la Corte è stata adita dalla Commissione africana sui diritti dell’uomo e dei popoli sulla base dell’articolo 5, par.1, lett. a) del Protocollo addizionale, in merito alla presunta commissione di gravi violazioni di massa dei diritti dei membri della comunità Ogiek. Si tratta di una gruppo indigeno, composta da circa 20.000 individui stanziati principalmente sui 400.000 ettari della foresta del Mau, in Kenya. Nell’ottobre 2009, il servizio forestale keniota ha emanato ordini di sfratto nei confronti degli Ogiek, fondandosi sulla natura pubblica dei lotti interessati, ai sensi della legislazione interna, e adducendo l’esigenza di sfruttare le riserve idriche della foresta. Le conseguenze economiche e socio-culturali che possono derivare da simili misure sono particolarmente negative per la vita degli Ogiek, i quali non solo dipendono dalla foresta per il proprio sostentamento quotidiano, ma intrattengono stretti legami culturali, religiosi e identitari con il territorio. A venire in gioco sono, in particolare, il rispetto dei diritti culturali e dei valori tradizionali, il diritto all’uguaglianza dinanzi alla legge e tramite la legge, la salvaguardia dell’integrità personale e del diritto di proprietà, nonché la garanzia del diritto allo sviluppo economico, sociale e culturale, consacrati agli articoli 2, 3, 4, 14, 17 paragrafi 2 e 3 e 22 della Carta africana. La situazione si è ulteriormente aggravata in seguito alla decisione del governo keniota, adottata nel novembre 2012, di elevare le restrizioni sulle transazioni fondiarie relative a piccoli lotti di terreno nell’ambito del complesso forestale Mau, ancora una volta a danno della comunità indigena locale.
Ai sensi dell’art. 27, par. 2 del Protocollo addizionale, la Corte africana, qualora sia prima facie competente ad esaminare il caso, può adottare le misure cautelari che ritiene necessarie a condizione che sussista una situazione di “estrema gravità ed urgenza” e che tali misure siano necessarie per “evitare danni irreparabili agli individui”. Nella specie la Corte ha considerato soddisfatti detti requisiti e ha quindi ordinato al Kenya, da un lato, di revocare immediatamente le restrizioni imposte sulle transazioni fondiarie nella foresta del Mau e, dall’altro, di astenersi dal porre in essere qualsiasi atto o attività che possa arrecare un pregiudizio irreparabile in pendenza della decisione sul merito.

Il secondo caso (The African Commission on Human and Peoples’ Rights v. Libya, n° 002/2013) fa seguito al procedimento avviato dinanzi la Corte africana dalla Commissione africana sui diritti dell’uomo e dei popoli contro la Libia in merito alle presunta violazione del diritto ad un giusto ed equo processo del Signor Seif al-Islam Gadhafi, figlio di Muammar Gaddafi, detenuto in un campo militare in Libia, a Zintan, dal novembre 2011. Secondo la Commissione, richiedente le misure cautelari, costui sarebbe detenuto arbitrariamente, in completo isolamento, in un luogo non precisamente identificato, sottoposto ad interrogatori senza poter beneficiare dell’assistenza di un avvocato e al rischio di un imminente processo non esclusivo della condanna alla pena di morte. Anche in questo caso la Corte africana si è ritenuta prima facie competente a statuire sul merito per poi rilevare l’esistenza di una situazione di “estrema gravità ed urgenza” e il “rischio di un danno irreparabile per il detenuto”. Le misure cautelari disposte nei confronti della Libia consistono nell’ordine di astenersi dal compiere azioni suscettibili di nuocere alla salute e all’integrità fisica e mentale del detenuto, di consentire allo stesso la consultazione di un avvocato di sua scelta e visite da parte di familiari ed amici.
Pubblicato da Claudia Nannini il 16 aprile 2013 su Internazionale

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