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Messaggio Da Federica Mar Giu 19, 2012 6:27 pm

Povertà, 42,5 milioni in fuga

Onu: nel 2011 l'incremento record.
di Michele Esposito

La terza città del Kenya, da qualche tempo, non è più Nakuru. È stata ormai ampiamente superata da una località situata a un centinaio di chilometri dal confine con la Somalia: Dadaab, il più grande campo profughi del mondo.
Con i suoi 500 mila abitanti, per lo più somali, è diventata, dopo Nairobi e Mombasa, la città più popolosa del Paese. Una città sull’orlo del collasso, incapace di incamerare ulteriori flussi, segnata da violenze e sequestri.
Un luogo, suo malgrado, diventato il simbolo delle tante aree di crisi prese in esame dal rapporto annuale dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr).
NEL 2011 IL RECORD DI RIFUGIATI. Nel documento stilato dall’agenzia dell’Onu emerge l’altra faccia dell’anno delle primavere arabe. «Un anno di crisi» e di «sofferenze memorabili», che ha visto un incremento record di rifugiati: 800 mila, il numero più alto dal 2000.
Mentre in totale sono state 4,3 milioni le persone costrette ad abbandonare la propria casa. In fuga da conflitti vecchi e nuovi, crisi umanitarie, regimi cruenti, violenze endemiche.
DAL 2010 SENSIBILE DECREMENTO. Il numero complessivo di quelle che a Ginevra - dove l’Unhcr ha sede - definiscono «displaced people», ha subito in realtà un sensibile decremento rispetto al 2010, passando da 43,7 a 42,5 milioni, tra rifugiati (15,2 milioni), sfollati interni (26,4 milioni) e richiedenti asilo (895 mila).
Il calo è dovuto in larga parte al rientro nelle proprie case di 3,2 milioni di sfollati interni, un record - questa volta positivo - da oltre un decennio.

Anche la Primavera araba e la guerra in Libia hanno pesato sui popoli in fuga


Le crisi del 2011 hanno però attenuato l’effetto del massiccio rientro: i lunghi e violenti disordini in Costa d’Avorio, l’endemico caos di una Somalia ridotta alla fame, le mai sopite violenze in Sudan e nella Repubblica democratica del Congo hanno rinfocolato la popolazione di chi fugge. Sulla quale, inevitabilmente, hanno anche pesato la Primavera araba e la guerra civile libica. Tutti conflitti che hanno reso l’Africa la protagonista in negativo dei flussi di rifugiati nel pianeta.
IN AFGHANISTAN 2,7 MLN IN FUGA. A testimoniarlo sono i nudi dati forniti dall’Unhcr: la classifica dei Paesi d’origine dei 10,4 milioni di rifugiati posti sotto la protezione dell’agenzia Onu (i restanti 4,8 milioni sono rifugiati palestinesi che rientrano nel mandato dell’Unrwa), è sì guidata ormai da anni da Afghanistan (2,7 milioni) e Iraq (1,4 milioni), ma vede sul podio anche la Somalia (1,1 milioni), seguita da Sudan (500 mila) e Repubblica Democratica del Congo (491 mila).
A DADAAB OLTRE 300 MILA SOMALI. Nel solo 2011, circa 200 mila ivoriani sono fuggiti dal conflitto innescato da Laurent Gbagbo e Alassane Ouattara - che a lungo si sono contesi la poltrona della presidenza – e solo in parte sono rientrati con la fine degli scontri. Mentre il campo profughi di Dadaab, inizialmente pensato per ospitare non più di 100 mila persone, è stato investito da più della metà dei 300 mila somali scampati alle violenze dei gruppi terroristi degli Shabaab.
CONDIZIONI SANITARIE PESSIME. Condizioni terribili alle quali si è aggiunta inoltre una carestia spaventosa. Dadaab, nata come area di salvezza, rischia di diventare un’area di crisi, sovraffollata, dalle condizioni sanitarie e di sicurezza critiche. E colpita da un’ondata di attacchi esplosivi sin da ottobre 2011. Lavorarci, oggi, è rischioso, e ciò si riflette inevitabilmente sulla fluidità della distribuzione degli aiuti.

Chi scappa rimane nella regione ed è ospitato da altri Paesi in via di sviluppo


Dal rapporto delle Nazioni unite, tuttavia, emerge anche un dato che va a confutare i rigurgiti populistici e nazionalistici che si rincorrono ormai da mesi in tutta Europa: chi scappa, nella gran parte dei casi, fugge nei Paesi limitrofi e difficilmente abbandona la propria macroregione di appartenenza. Con il risultato che i quattro quinti dei rifugiati sotto protezione dell’Unhcr sono ospitati da Paesi in via di sviluppo mentre i 48 Stati più poveri del pianeta accolgono, da soli, 2,3 milioni di rifugiati. E il loro peso economico non fa che creare nuove difficoltà ai già disastrati bilanci statali.
CHI SCAPPA SI RIFUGIA IN PAKISTAN. Pakistan (1,7 milioni), Iran (887 mila) e Siria (750 mila) sono in cima alla classifica dei Paesi ospitanti: i primi due accolgono in gran parte afghani. Il terzo era il porto sicuro di migliaia di iracheni, ma il recente deteriorarsi della crisi siriana ha aperto un nuovo, oscuro fronte nella loro sorte.
Al quarto posto, e prima in Europa, c’è la Germania, con 571 mila rifugiati. E l’Italia? Nonostante l’ondata di allarmismo che ha attraversato il Paese, alla fine del 2011 ospitava ‘solo’ 58 mila rifugiati.
ITALIA, UN RIFUGIATO PER 1.000 ABITANTI. Se in Germania la media è di sette rifugiati ogni 1.000 abitanti, in Svezia nove e in Francia e Regno Unito tra tre e quattro, l’Italia presenta meno di un rifugiato. Segno che, almeno nel breve periodo, l’effetto della crisi libica non è stato così imponente.
Le circa 150 mila persone fuggite nel 2011 dall’ex Quarta sponda si sono diretti per lo più in Tunisia per poi tornare a casa dopo la fine del conflitto. Anche se, per quanto riguarda l’Italia, la crisi nordafricana ha avuto evidenti ripercussioni sulle richieste d’asilo: 34 mila nel 2011, un record nella nostra storia recente.
NEL MEDITERRANEO 1.500 MORTI. In molti tuttavia, non sono neppure riusciti a raggiungere le coste italiane. Il rapporto dell’Unhcr conferma infatti che, nel 2011, circa 1.500 migranti (tra immigrati economici e potenziali richiedenti asilo) sono stati inghiottiti dal Mediterraneo, penalizzati da barconi sovraccarichi e instabili e, a volte, da soccorsi giunti in ritardo. E tra questi c’erano anche donne e bambini. Anche perché circa la metà dei rifugiati è composta da donne, mentre il 46% ha meno di 18 anni.
Tutti in fuga da una morte probabile e in attesa di un ritorno a casa che, per gran parte di loro, dopo oltre cinque anni di permanenza all’estero, non si è ancora concretizzato.

Lunedì, 18 Giugno 2012
Fonte: www.lettera43.it
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